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 2014  maggio 10 Sabato calendario

MENO VINCOLI AGLI APPALTI PER RIPARTIRE


Mentre il vento della nuova tangentopoli soffia minaccioso sui partiti, il Governo si appresta ad allentare i vincoli del codice degli appalti, che rallenta la presentazione dei progetti indispensabili a non perdere i 22,6 miliardi di fondi strutturali europei per lo sviluppo. Somma pari più o meno a quanto speso di risorse Ue negli ultimi 7 anni.
Una bozza di decreto legge dal titolo «misure urgenti su scuola e difesa del suolo», da finanziare con soldi europei, è già pronta e potrebbe essere varata dal Consiglio dei ministri la prossima settimana. Sempre che il Governo non decida di prendere più tempo per limare ulteriormente il testo, in modo da garantirne una blindatura anti-corruzione, imprescindibile dopo la bufera abbattutasi sull’Expo.
I rischi politici dell’operazione sono ben chiari a Matteo Renzi, che però non vuol perdere il treno dei finanziamenti europei, proprio mentre il suo sottosegretario alla Presidenza, Graziano Delrio, ha avviato una trattativa con la commissione Ue per non conteggiare a deficit sui 22,6 miliardi di fondi strutturali i 9 che spetta all’Italia mettere sul piatto. Operazione difficile da finanziare ricorrendo a tagli di spesa, soprattutto dopo aver deciso di dirottare buona parte della spending review a copertura degli 80 euro di bonus Irpef. E senza soldi made in Italy addio anche agli oltre 13 miliardi di quota Ue. Il tempo stringe perché la dead line per spendere quel che l’Europa offre sul piatto è il 31 dicembre 2015. Una corsa contro il tempo che ha spinto Delrio a fare più o meno questo discorso ai partner europei: «Anziché intavolare una trattativa per allentare il vincolo del 3% del rapporto deficit/Pil, ridiamogli ossigeno non conteggiando ai fini del parametro le quote nazionali di finanziamento dei fondi strutturali. Che vanno su progetti già bollinati dall’Europa favorevoli allo sviluppo». Della deroga se ne riparlerà dopo le elezioni europee, anche se la proposta per ora non ha incontrato muri invalicabili. Il problema però è quello che ha rimarcato lo stesso premier ieri l’altro in tv, ammettendo che «non possiamo battere i pugni sul tavolo in Europa quando poi non siamo capaci di spendere le risorse che questa ci mette a disposizione». Sempre Delrio nei giorni scorsi ha ammesso che almeno 5 miliardi rientreranno nei forzieri di Bruxelles perché Regioni ed Enti locali non sono stati capaci di mettere giù nemmeno uno straccio di progetto. «Un atto di autolesionismo, tanto più a fronte dei dati allarmanti sull’occupazione», rimarca Guglielmo Loy, segretario confederale della Uil Servizio politiche territoriali, che ha scattato una fotografia desolante sull’uso dei fondi Ue. Del Fondo europeo di sviluppo regionale, che finanzia gli investimenti, su un totale di 33,4 miliardi ne sono stati impegnati poco meno della metà, 16,4. Va un po’ meglio per il Fondo sociale europeo, che alimenta azioni per l’occupazione, l’istruzione e la formazione. Qui dei 14,3 miliardi a disposizione ne sono stati utilizzati 8,8, il 61,2%.
Se poi si guarda al problema dal punto di vista delle Regioni si ripresenta la consueta spaccatura Nord-Sud, anche se meno accentuata del solito. Solo perché qui brutta figura la fanno un po’ tutti. Certo, Campania e Sicilia rischiano di perdere rispettivamente il 65,2% (3,6 miliardi) e il 57,9% (3,5 miliari) dei fondi europei a loro disposizione. Ma anche il Centro-Nord non brilla, con in testa il Lazio, che deve spendere ancora il 41,3% delle risorse, mentre Liguria e Umbria sono più o meno lì con il 40% di fondi inutilizzati. Male anche le amministrazioni centrali dello Stato che hanno 5,3 miliardi sul piatto (pari al 45,6% delle risorse) ma non riescono o non sanno allungare la mano. Ora il governo proverà ad aiutarle. Evitando di favorire mani più leste, ma con intenti meno nobili del voler creare sviluppo e occupazione.

Paolo Russo, La Stampa 10/5/2014