Marco Belpoliti, La Stampa 10/5/2014, 10 maggio 2014
L’UNIVERSITÀ, ULTIMA SCUSA DEI NUOVI QUESTUANTI
Mentre attraverso la piazza di una città di provincia dove esiste una facoltà d’ingegneria, vengo avvicinato da un ragazzo di colore. Mi ferma e, parlandomi un po’ in francese – un bel francese – e un po’ in italiano, mi spiega che lui studia al Politecnico; vorrebbe completare gli studi d’ingegnere, ma ha delle difficoltà, perché deve piazzare la sua merce – accendini – nei bar e sulla strada. Adesso non l’ha con sé.
Non vuole certo vendermi nulla, solo chiedermi un modesto contributo per il prosieguo degli studi. Gli allungo 5 euro. Provo un sentimento di empatia verso di lui: vuole studiare, e ha un desiderio nella vita. Lui mi ringrazia molto con grande garbo e se ne va. Una settimana dopo a Milano, nella zona di Città Studi, mi capita la stessa scena. Non è la medesima persona, ma il discorso è quasi identico. Questa volta dico che non ho soldi con me, e scivolo via lasciando il mio interlocutore un po’ deluso. Subito abborda un altro passante. Solo dopo un po’ di tempo capisco. Si tratta di una nuova tecnica d’approccio per chiedere l’elemosina. Il caso di Abdelmoula Khadir, detto Rachid, il ragazzo marocchino che, vendendo accendini, si è laureato al Politecnico di Torino, ha fatto scuola. Il modello per chiedere l’elemosina, il riferimento concreto, è lui. Qualche tempo fa ho letto un bellissimo saggio di quell’inconsueto antropologo del presente che è Franco La Cecla dedicato all’azione del mendicare (Non è cosa, Eleuthera). Spiegava che i mendicanti sono dei naturali selezionatori nella massa, che capiscono a chi chiedere l’obolo. Individuano il donatore con precisione millimetrica e a distanza. L’elemosina è un’attività che richiede infatti una grande sensibilità alla composizione della società che ci si trova davanti, scrive La Cecla. La fenomenologia del mendicante comprende vari tipi d’abbordaggio: la ragazza madre, il giovane con il cane, l’uomo ben vestito caduto in disgrazia, la vecchia che sta inginocchiata per ore, fino alle zingare che vogliono leggerti la mano e minacciano di farti il malocchio se non le allunghi una moneta. Ci sono poi luoghi topici. Una volta era la porta della chiesa, cui è succeduto il supermarket, dove all’uscita t’attende la ragazza che allatta il piccino al seno, due luoghi dove agisce il nostro inevitabile senso di colpa. Anche il semaforo e il ristorante sono diventati luoghi della richiesta: dalla macchina non si può negare una moneta a chi non ha niente, così seduti davanti al cibo si è in difficoltà nel voltarsi dall’altra parte mentre ti offrono una rosa per le signore e, se non compri, chiedono almeno un euro per mangiare. Poi c’è il mendicante del treno con il biglietto prestampato, che passa rapido nel corridoio e deposita l’appello dove denuncia la grave malattia sua o del figlio, oppure gli allegri suonatori della metropolitana, che allungano il bicchierino dopo l’esibizione. La Cecla parla nel suo scritto dei mendicanti come di persone-nicchia che stanno fermi in un posto e ti attendono, sottolineando come questo mestiere dello «stare fermi da qualche parte» tende a scomparire nella nostra società: bigliettai, guardiani, portieri non ci sono quasi più. Lì ora entrano i nuovi questuanti, che si pongono a metà tra l’elemosina e la mancia. Adesso anche l’università è tra i luoghi prescelti per la richiesta. Meglio che offrire accendini, fazzoletti o pulire il vetro dell’auto. Testimonio che almeno una volta, la prima, e senza agire sul mio senso di colpa, funziona.
Marco Belpoliti, La Stampa 10/5/2014