Ivan Cimmarusti, Erica Dellapasqua e Matteo Vincenzoni, Il Tempo 10-11/5/2014, 11 maggio 2014
MANLIO CERRONI: «SOLDI, REGALI, COMPLOTTI. SUI RIFIUTI D’ORO ORA PARLO IO»
[parte 1 e parte 2]
«Allora, cari giornalisti. Sui giornali mi avete descritto come il Monopolista, il Supremo, il Corruttore, l’Assoluto, l’Inquinatore. Di tutto avete scritto. Adesso basta. Parlo io, ma a una condizione: voi fate qualsiasi domanda, anche la più scomoda. Poi però mettete integralmente la risposta. Perché io meritavo la cittadinanza onoraria di Roma per quello che ho fatto in tutta la mia vita e invece rischio di passare per il bandito che non sono. Cominciamo?».
Nel roof garden di un hotel a Fiumicino il re delle discariche Manlio<ET>Cerroni, indagato nello scandalo sui rifiuti d’oro, ci accoglie più battagliero che mai. È in grande forma, 88 anni portati alla grande, tanti sassolini da togliersi. Si capisce subito che sarà un’intervista pirotecnica.
Senta Cerroni, non è che anche lei adesso pensa a un complotto, vero?
«Ecco, la parola giusta: complotto. Quel che è stato fatto ai miei danni è un complotto in piena regola finalizzato a scipparmi il business dei rifiuti che gestisco da una vita. Se avete pazienza vi spiego perché. Occorre partire da lontano, dalle beghe delle discariche alternative a Malagrotta».
Prego. Cominciamo col prefetto di Roma, Giuseppe Pecoraro. Annunciò in conferenza stampa, nel 2011, che i siti migliori tra quelli individuati dalla Regione per la nuova discarica di servizio erano due: Riano-Quadro Alto, come prima scelta, Corcolle come seconda. Perché Corcolle divenne poi la prima scelta?
«La risposta è negli atti, è sugli articoli di giornali. Il prefetto e più ancora la governatrice del Lazio, Renata Polverini, a un certo punto dissero che la cava di Quadro Alto era del "monopolista", cioè io. Mi chiamano così. Di conseguenza vennero date disposizioni che tutti i siti legati al sottoscritto "monopolista" semplicemnte non potevano esistere».
Quindi sta dicendo che a un certo punto la valutazione del prefetto Pecoraro cambia e lei non capisce perché?
«Già, cambia con Corcolle».
E come se lo spiega che dalla lista dei sette siti scelti dalla Regione Lazio improvvisamente scompare Allumiere e compare Corcolle?
«Fu una sorpresa non solo mia, ma di tutti. Per scoprire l’arcano occorre andare al 1975, quando la discarica di Rocca Cencia va in esaurimento e la città necessita di una una discarica di servizio. E poiché Corcolle è la più vicina a Rocca Cencia, da cui dista solo tre o quattro chilometri, il mio gruppo decide di puntare su Corcolle. Tra l’altro conoscevo molto bene il proprietario, Salini. Pensai, ma sì, gli do’ un’allargata ed è fatta. Magari riuscissi a fare una discarica così».
Lei, dunque, aveva un’opzione su Corcolle?
«Certo certo. Ma prima bisognava sentire le autorità, fare una serie di sondaggi. Poi venne fuori che in quel sito ci andavano i romani la domenica a prendere l’acqua, e l’idea di una discarica fu abbandonata. Allora puntammo sull’area di Malagrotta, dove c’erano spazi enormi ed erano già presenti delle cave perché era stato prelevato materiale per realizzare le piste dell’aeroporto di Fiumicino. Roma, inoltre, a quel tempo aveva un problema con il nuovo Centro carni. Non sapevano come smaltire gli avanzi della macellazione, le budella, la coratella, le frattaglie. A quel tempo, poi, a Malagrotta non c’erano case. Era un sito totalmente isolato. Poi ci hanno assediato con tutti gli insediamenti spontanei che sono sorti. Quando si scelse Malagrotta abbandonando l’idea di Corcolle nessuno parlava ancora di Villa Adriana che sta lì da qualche secolo. Nessuno si pose mai il problema della vicinanza o meno dal sito archeologico».
Scusi avvocato, qualcosa non torna. Perché la prima scelta del prefetto Pecoraro nel 2011 ricade sul «suo» Quadro Alto (Riano) se lui sa che quel sito è del "monopolista", cioè suo? Nel suo libro che andrà a breve in stampa lei è a dir poco rancoroso nei confronti del prefetto. Dica la verità, c’è rimasto male?
«No no, attenzione! C’è una lettera ben precisa in cui richiamo le responsabilità, i fatti come si sono svolti. Ho detto al prefetto "se questa è la situazione mi dica lei cosa devo fare". Nel libro che voi richiamate c’è un passaggio in cui appare chiaro che la risposta a quella domanda è arrivata il 9 gennaio. Il giorno dell’arresto».
Sta dicendo che Pecoraro la molla quando scoppia l’inchiesta? Non è che davvero si sta perdendo dietro a ipotesi complottiste?
«Allora non volete proprio capire. È stato un complotto, un disegno di chi vuol fare giochi per interessi propri. Occorreva far fuori il monopolista, l’unico al mondo in grado di gestire i rifiuti della Capitale. Dovevano togliere di mezzo il<ET>Supremo è ci sono riusciti».
Ma chi ci sarebbe dietro il complotto?
«Un mix di politica, giudiziaria, alta finanza. Si sono dovuti impegnare parecchio a far fuori il Supremo che persino in Australia è riconosicuto urbi et orbi imparadigmabile».
"Imparadi..." che?
«Vuol dire che sono riconosciuto universalmente come il migliore di tutti, in Italia e in Europa, nel settore del trattamento dei rifiuti».
Lasciamo perdere per un secondo i complotti e andiamo all’inchiesta vera e propria. Cosa ha rappresentato per lei?
«Uno tsunami. Un ciclone che dopo tanti spifferi ha investito me, la mia famiglia, il mio gruppo. Con i carabinieri che un bel giorno si presentano con un mandato e arrestano 21 persone con accuse incredibili: io ero a capo di un’organizzazione malavitosa che teneva in ostaggio Roma e il Lazio. All’inchiesta è seguita una martellante campagna stampa denigratoria che mi dipingeva come un criminale, dominus di attività illecite mai contestate in più di 50 anni di attività con 33 sindaci da me conosciuti personalmente. Con una descrizione del genere era naturale che la gente applaudisse affinché fosse fatta giustizia. Nessuna voce si è levata in mia difesa, nessun politico che per anni mi era stato vicino ha detto una parola. Nemmeno voi, giornalisti, vi siete preoccupati di sentire l’altra campana. Che come vedete non suona ancora a morto. Perché io sono piùvivo di prima».
L’ipotesi della procura è che lei abbia costituito un sistema, come ci ha raccontato il prefetto Giuseppe Pecoraro, che ha consentito che diventasse il "monopolista" dei rifiuti nella Regione.
«Non l’ho creato io il monopolio. È il monopolio che si è portato a me».
Si spieghi meglio.
«Nessun altro mai ha presentato proposte alternative sui rifiuti, nessuno era in grado di farle. Noi e solo noi abbiamo salvato Roma e gestito al meglio la monnezza di una Capitale europea. Negli anni sono sempre andato dagli amministratori pubblici e ho offerto soluzioni per risolvere i problemi e a detta di tutti l’ho fatto in modo egregio. C’era solo il mio gruppo. Nessun altro si è presentato. Io sono in grado di offrire servizi al 50 per cento in meno rispetto a quello che si paga a Milano. Sfido tutti. L’ho detto ai magistrati che mi ninterrogavano, l’avevo detto anche al prefetto Pecoraro nel 2011, durante un incontro con il dirigente regionale Marotta. Fui chiamato a risolvere il caso Roma, perché a Malagrotta erano esaurite le volumetrie e nel corso degli anni nessuno si era preoccupato di trovare un sito di riserva. Pecoraro mi chiese: "Allora avvocato, che si fa?". Risposi che c’era una cosa sola da fare: recuperare sui 120 ettari di Malagrotta le volumetrie necessarie ad affrontare l’emergenza. Così accesi i motori dei miei 57 mostri Caterpillar, lavorammo dal 10 settembre 2011 fino all’8 dicembre e facemmo il miracolo grazie anche al Padreterno che non fece piovere un solo giorno. Così abbiamo recuperato volumetrie per 1 milione e 280mila metri cubi. A Natale ci incontrammo di nuovo. Durante quella riunione ci è stato detto che Roma era salva e Pecoraro aggiunse, rivolgendosi a me: "Ancora una volta Roma si salva grazie a lei"».
In quei mesi la Capitale era anche nel mirino dell’Europa.
«Esatto. Il 6 giugno di quell’anno l’Europa aveva contestato a Roma gravi irregolarità. Secondo la Commissione europea si portavano a Malagrotta rifiuti non trattati, mentre la legge europea proibiva fin dal 2007 il conferimento del tal quale in discarica. Ci dissero che eravamo fuori legge, in infrazione. Bisognava fare in modo che a Malagrotta fossero conferiti rifiuti trattati, ma per far questo c’era bisogno di quelle volumetrie. La Regione, di fronte alle richieste dell’Europa, si mise in allarme. Sapevano che Malagrotta stava per esauristi. Allora abbiamo proposto Quadro Alto, Pian dell’Olmo e Monti dell’Ortaccio».
Prenda fiato, avvocato. Parliamo dei regali ai politici?
«(sorride) Ma si, parliamone».
A leggere gli atti di procura distribuiva cadeaux importanti a tanti, diremmo quasi tutti, i politici di Roma e del circondario.
«Ho sempre detto che non sono un benefattore, su questo non ci sono dubbi. Mi sento più un missionario, sono generoso, io. I regali...Sì, ne ho sempre fatti, e allora? Li fanno tutti, solo per me sono una forma di corruzione? Ricordo di un giorno, all’Eur, al bar Palombini. Era passato Natale. Mi si avvicina un dipendente e sottovoce, segretamente, mi dice "Avvoca’, è venuta la finanza e ha sequestrato la nota dei regali».
Bella lunga la lista...
«Ogni anno mandavo una bottiglia di champagne al sindaco, a presidenti, ai politici».
Molti politici hanno detto di averglieli rispediti indietro?
«(risata fragorosa). La verità? Un solo regalo è tornato indietro, ed è un regalo che inviai alla dottoressa Pompa, che aveva sostituto Marotta alla Regione. Il resto della classe politica ha brindato grazie a me».
Sempre dalle carte e dalle intercettazioni emerge un suo fitto rapporto con la politica.
«E a chi altro avrebbero dovuto rivolgersi per risolvere i guai che loro producevano? Quello che ho fatto io in questo settore, ripeto, è imparadigmabile. Provate a trovare un altro nel mondo, un altro imprenditore dei rifiuti che abbia smaltito quello che l’Italia produce in cinque anni, cioè 150 milioni di tonnellate. Lo spazio per il business me lo sono creato da solo, perché trattare rifiuti è sempre stato il mio mestiere. Ho avuto rapporti con tutti, presidenti, ministri, assessori, consiglieri, erano loro che non potevano dire di "no" alle mie proposte. Erano loro che mi chiedevano di trovare soluzioni alternative, erano loro che mi dovevano pagare, non io pagare loro».
Quanti soldi ha investito nelle campagne elettorali? Dica la verità...
«Ho investito quello che dovevo, che potevo, ma che ne so. E comunque tutto quello che ho dato ai politici è rendicontato al centesimo. Mai un soldo in nero, insisto, mai. Scrivetelo grosso: MAI. Però, caso strano, dalle indagini è uscito solo l’episodio dell’ex ministro all’ambiente, come si chiamava?».
Ronchi?
«Ecco sì, Ronchi. Perché è venuto alla luce solo e soltanto quel contributo?»
Lei ha aiutato tutti i politici di tutti i partiti?
«Tutti i partiti».
Anche il Pd?
«Anche se un tempo si chiamava in altro modo. Anche il Pd, tutti».
Con i sindaci come sta messo?
«Bene con tutti».
Tutti e 33?
«Più o meno».
Chi è stato il miglior sindaco di Roma?
«Il migliore Rutelli, che all’inizio mi ha fatto la guerra, poi si è documentato, ha capito, e ha cambiato idea».
Alemanno, invece?
«Non l’ho neanche votato».
Diceva che la politica, quando scoppia l’inchiesta, le gira le spalle.
«Verissimo. Improvvisamente sordi, muti, ciechi. Destra e sinistra scompaiono dalla mia vita».
C’è un politico che alla luce del sole le ha sempre fatto la guerra?
«Vetere, ma con una chiara onestà intellettuale».
E gli ambientalisti?
«Gli ambientalisti, mah. In principio mi sono stati addosso, tutti contro, fino a quando non mi hanno conosciuto. Ricordo i braccio di ferro con Realacci, poi pure con Mario Di Carlo. Nel 1986 li ho trovati seduti su Malagrotta che dicevano "adesso ti facciamo vedere noi, ndo vai, sui nostri corpi devi passare". Dopodiché, pure loro hanno capito. Io con Di Carlo, il comunista, alla fine ci sono diventato pure amico».
Ci perdoni l’insistenza. Ma quel ronzio del complotto ci torna sempre in mente. Pensa di essere stato vittima di altre trame in passato?
«Vi confesso una cosa: nel 1973 sono stato investito da uno tsunami più grosso di questo».
Addirittura?
«Tale Gelli da Arezzo, Villa Wanda, vi dice qualcosa?».
Licio, il venerabile a capo della Loggia P2. Dopo il complotto la massoneria deviata? Su Cerroni...
«Fatemi parlare, siete i soliti giornalisti».
Prego.
«Una mattina vennero 36 finanzieri e sequestrarono tutti i bilanci degli impianti di Rocca Cencia. Dissero che Amerigo Petrucci (ex sindaco di Roma, ndr), che vinse il congresso con Andreotti, era sponsorizzato dal sottoscritto e che dunque Cerroni poteva tutto. Così avviarono la pratica per distruggermi e si inventarono la storia che io raddoppiavo i pesi, le tonnellate, dei rifiuti. Vennero il 3 settembre e andarono via il giovedì santo del 1974. Spulciarono dappertutto ma non trovarono nulla, però provarono a rovinarmi in ogni modo. Nitto Palma, il pm di allora, quello che oggi fa il deputato col Pdl, alla fine dovette arrendersi perché quando la Guardia di Finanza accertò che ogni lira era al suo posto e nessun inghippo era stato fatto, capii come stavano le cose».
Andò tutto bene, al contrario di oggi.
«Sì, ma i sistemi sono gli stessi, si ripetono, quando ti vogliono rovinare fanno di tutto. All’epoca mi dissero: lei non si droga, non sniffa, fa una vita monastica. Se solo avessi avuto un vizio sarebbe stato ingigantito e per me sarebbe stata a la fine».
Senta Cerroni, lei parla di «complotto» ma ci gira intorno. Dice e non dice.
«Sentite, cari ragazzi. Il complotto c’è ed è comprovato. Però se proprio volete saperne di più, prendiamoci un caffè, che il discorso è lungo e tocca argomenti delicati. Vogliamo cominciare con l’Acea?».
SECONDA PARTE DELL’INTERVISTA 11/05/2014–
PARLA MANLIO CERRONI: «AFFARI E POTERI FORTI, COSÌ MI HANNO FATTO FUORI»–
Ecco la seconda parte dell’intervista a Manlio Cerroni, re delle discariche, indagato dalla procura di Roma per l’affaire rifiuti. Nella prima parte del botta e risposta con Il Tempo, Cerroni ha affrontato vari capitoli scottanti. Ha parlato di un complotto ordito ai suoi danni, della politica (di destra, di centro e di sinistra) che dopo aver beneficiato dei suoi finanziamenti ha fatto finta di non conoscerlo, ha spiegato il perché della chiusura della discarica di Malagrotta e dei tentativi di aprire altri siti per non far soffocare Roma sotto la monnezza. Alla fine della prima parte Cerroni lasciava intendere che dietro al complotto che starebbe all’origine del suo disarcionamento dal business dei rifiuti, potevano esserci varie "entità" politiche, economico-finanziarie, persino giudiziarie. Accuse pesanti. Riprendiamo proprio dall’ultima frase con quell’accenno all’Acea che per la giornata di ieri ha mandato in fibrillazione la politica romana incuriosita da ciò che state per leggere.
«Buono, il caffè... allora ragazzi, dove eravamo rimasti?»
All’Acea avvocato, e al complotto messo in piedi dalla politica e dall’alta finanza per farla fuori dal business dei rifiuti. Così almeno ha detto lei. Che fa, ritratta?
«No, no, ma che ritratto. Anzi. Rilancio. Osservatori attenti non fanno fatica a intravedere un guadagno enorme, pazzesco, per chi riuscirà - se mai ci riuscirà - a soppiantarmi. I rifiuti sono oro, e certa gente lo sa bene, per questo punta a prendersi il mercato che era, anzi è, mio».
Si va bene, avvocato, ma l’Acea che c’entra?
«Ci arrivo. Non vi dice niente che nel consorzio Coema (istituito per gestire il gassificatore di Albano, ndr) io ho solo l’8 per cento delle quote, mentre Ama e Acea hanno il 67 per cento? Qualcuno ha favoleggiato sui rapporti tra me e l’ingegner Caltagirone, che è in Acea. Dicono che io ho contattato lui, che lui ha contattato me, che ci odiamo, ci amiamo. Hanno detto di tutto, ma una cosa è certa anche perché non l’ha mai nascosta: Caltagirone ha un grande interesse per i rifiuti».
È un imprenditore. Fa affari sui rifiuti all’estero. Che c’è di male?
«Nulla. Peccato che il suo giornale a un certo punto ha preso ad attaccarmi in modo pesante».
Tutti, noi compresi, non le abbiamo risparmiato critiche.
«C’è modo e modo. Tutta questa storia dell’inchiesta, del Supremo, del Monopolista, del Ras della monnezza - per usare espressioni care al prefetto Pecoraro o alla signora Renata Polverini - ha qualcosa di kafkiano. Voi giornalisti ci avete inzuppato il pane in questo minestrone ma nessuno si è soffermato a leggerle bene le carte giudiziarie perchè le cose sono assolutamente diverse da come le avete raccontate».
E cos’è che non avremmo raccontato?
«Anche dalla cattività, dall’esilio cui sono stato relegato, ho trascorso gran parte delle giornate di questi mesi a leggere documenti, informative, ragionamenti degli investigatori, e soprattutto giornali. Ho letto cose che qualificare come velenose è un eufemismo, cose che difficilmente inciampavano nella verità. Ho scritto a chi ha scritto male di me, spiegando i fatti. Ma la contrapposizione, a ridosso delle indagini poi sfociate negli arresti, si è fatta più intensa. Nonostante le ripetute diffide alla fine li ho dovuti querelare».
Non è per difendere la categoria, ma se poi lei è precipitato nello scandalo rifiuti che c’entrano i giornalisti?
«Lasciate stare quest’argomento che è meglio».
Senta avvocato, sta dicendo che a un certo punto con Caltagirone lei stava per entrare in affari? È così?
«Ho seguito attentamente l’Ingegnere durante la sua campagna d’Oltralpe. Mi era piaciuto».
Si riferisce al braccio di ferro con la società Gaz de France sulle quote di Acea?
«Proprio quella».
Cerroni a questo punto allunga una mano sul tavolo, afferra un bicchiere e butta giù come se avesse attraversato il deserto del Sahara. Due ore filate a ribattere punto su punto. Riparte a sorpresa.
«L’ho incontrato, su suo invito, a marzo del 2012 negli uffici di via Barberini. Abbiamo avuto un lungo incontro e ci siamo salutati con l’intesa di arricchire la documentazione e di rivederci per trovare, se possibile, anche attraverso Acea, soluzioni utili per questa città. Con Francesco (Caltagirone, ndr), ci siamo ritrovati poi per parlare di prospettive mettendo a fuoco anche l’aspetto industriale».
A ottobre dell’anno scorso?
«(allarga le braccia sconsolato). E da allora non ho saputo più nulla».
Seguendo il suo tortuoso ragionamento ci sta dicendo che dopo la politica anche l’alta finanza le ha voltato le spalle?
«Rileggetevi gli articoli al vetriolo del Messaggero. La risposta la trovate lì. Hanno suonato le campane a morto ma io, come vedete, sono più vivo di quanto pensano gli interessati a far soldi sui rifiuti. Il biogas è l’oro del domani».
Passiamo ad altro. Che farà il Supremo adesso?
«Ho grandissimi progetti. Mi aspettano in tutto il mondo, da Monaco a Buenos Aires fino in Australia, dopo che hanno visitato Malagrotta. Continuerò a far crescere il mio gruppo perché non dimenticate che nel mondo dei rifiuti io sono il numero uno. Voglio mandare avanti quel famoso discorso di alimentare i mezzi dell’Ama e dell’Atac con il combustibile prodotto dai rifiuti. Oggi ci sono le condizioni per farlo».
Quanta energia si produce con i rifiuti?
«Da un chilo di monnezza si ottiene un chilowatt. Ma la parte più interessante per la città è il metano».
A proposito di città. In che rapporti è con il rappresentante dei cittadini romani?
«Su Ignazio Marino occorre un po’ di pazienza. Intanto voglio raccontarvi di quando ero bambino».
Un altro flashback avvocato? No, per favore...
«Sarò breve. Come sapete sono nato nella campagna romana, a Pisoniano. Da ragazzino vedevo i carri pieni di verdura partire per i mercati di Roma. Poi li vedevo tornare con gli scarti. Tanti scarti. Montagne di scarti. Allora pensai a cosa si potesse fare con quegli scarti. Da lì è nato tutto ed oggi produrre combustibile da rifiuti è il vero business legato alla monnezza. L’hanno capito in tanti. Forse troppi. L’aveva capito pure il sindaco Marino...».
E poi cosa è successo?
«Il sindaco mi ha chiamato il 29 settembre. Diceva che ci dovevamo vedere. Io dico: e vediamoci. Vado in Campidoglio. Marino mi mostra il suo ufficio e mi fa notare che è disadorno. Figuratevi. A me, che di sindaci ne ho visti 33, e che le stanze le ho viste sempre imponenti e importanti, quell’ufficioa somigliava più a quello dell’usciere del Campidoglio che al salotto del sindaco di Roma. Vabbè. A un certo punto mi allunga una mano sull’avambraccio e mi dice: "Avvocato io voglio progettare Roma 2035, con chi lo devo fare?" Allora io gli dico: "Ma tu l’hai visto che io ho 88 anni? Hai visto che è dal ’26 che vado avanti coi rifiuti?" Lui non fa una grinza. Inizia a raccontarmi dei Fori Imperiali, dell’isola pedonale. Fori di qua. Fori di là. Di questo, di quello. E penso: ma mica l’hai fatti tu i Fori, l’hanno fatti i romani».
Sì, ok. Ma qualche consiglio gliel’ha dato a Marino sullo smaltimento della monnezza romana?
«Gli ho detto che aveva la possibilità di passare alla storia, un progetto che io e l’ex sindaco Rutelli avevamo pensato alla fine degli anni Novanta. E cioè trasformare biogas in biometano in quantità sufficiente per alimentare i camion della monnezza e non solo. Altro che Fori senza macchine»
Perché non realizzò quel progetto con Rutelli?
«All’epoca non si poteva fare perché Roma non produceva abbastanza differenziata. Inoltre oggi la legislazione consente di immettere in rete il metano in purezza. E a Malagrotta c’è un impianto in grado di renderlo puro al 97%».
A Marino piace tanto la mobilità sostenibile. Dunque l’idea poteva piacergli...
«Piacergli? Ha detto che era un’idea fantastica e che dovevano approfondirla. E poi è successo quello che è successo. È arrivato lo tzunami, il complotto, le manette e son scappati tutti».
Malagrotta continuerà a produrre biogas anche post mortem?
«Post mortem di chi? (sorride e con la mano fa il segno di darci un sacco di botte, ndr)».
Di Malagrotta avvocato, di Malagrotta, per carità!
«Malagrotta continuerà a produrre energia per altri 35 anni. Sarà una produzione sempre più in calo fino a quando esaurirà le sue risorse».
Chi pagherà il capping (chiusura totale, ndr) di Malagrotta?
«C’è un progetto presentato in Regione ed è in istruttoria. Devono decidere ancora chi. Noi siamo disposti a pagare per la nostra parte».
A proposito di soldi. Ci ha già raccontato del complotto ordito, a suo dire, nel 1973 dalla Loggia P2 di Licio Gelli per toglierle il giocattolo dei rifiuti. All’epoca il pm Nitto Palma indagò sull’ipotesi che lei avesse manomesso le bilance che pesavano i rifiuti in entrata per "fare la cresta" sui rimborsi. Oggi la Procura le contesta una sovrafatturazione. Come risponde a quest’accusa. Anche questo fa parte del complotto?
«La risposta è semplice: perché non sono stati fatti riscontri con le autorità di vigilanza sui conti del Gruppo? Non solo. A riprova dell’assoluta trasparenza ho condiviso l’idea che il conto del consorzio Colari sia affidato al Prefetto de Sena e che ne diventi il presidente. Il Supremo Monopolista non ha nulla da nascondere».
Ancora una nota dolente, avvocato. L’inquinamento dell’area intorno a Malagrotta. Anche su questo non ha nulla da nascondere? Secondo uno studio del Politecnico di Torino ci sarebbero fuoriuscite di percolato dal polder (rivestimento che isola il terreno dalla discarica, ndr).
«Dire che Malagrotta inquina è una bestialità. L’Arpa (agenzia regionale protezione ambientale, ndr) ha condotto per tutti questi anni periodiche verifiche attraverso la centralina che ha installato nell’area della discarica. I parametri sono nella media delle altre zone della città».
Non ci riferivamo all’aria, infatti. Ma al sottosuolo. Nel rio Galeria le macchie si vedono a occhio nudo.
«I parametri del rio Galeria sono nella norma. Il percolato di Malagrotta viene trasferito negli impianti di depurazione, nella maniera più assoluta».
Ci ha raccontato di aver salvato più volte la Capitale e di essere corso in soccorso di tutti i sindaci. Ma qualche errore lo avrà pure commesso in oltre mezzo secoldo di attività?
«Mettiamola così. Ho pensato troppo a lavorare e poco alle pubbliche relazioni, si dice così? Public relations? Lavoro e famiglia, famiglia e lavoro. Non c’era altro per me. Posso dire di aver fatto una vita monastica, da vero missionario».
Dalle intercettazioni, però, lei intratteneva rapporti altissimi, a tutti i livelli, con sindaci, ministri, assessori, consiglieri...
«Loro venivano da me, non io da loro».
Ma qualcuno le ha mai detto grazie per questa sua "vita da missionario"?
«Di grazie ne ho ricevuti tanti ma la riconoscenza è il sentimento della vigilia».
Lei si sente deluso dalla politica, lo ripete in continuazione...
«Ho dato tutto me stesso, e di fronte ai guai, tutti se la sono data a gambe».
Cosa avrebbe dovuto fare la classe politica? Cosa si aspettava?
«Impegno, riconoscenza pubblica, serietà. Tranne rari casi, la politica non si è dimostrata alla mia altezza. Prendete Alemanno. Una volta gli dissi: se tu fossi un sindaco consapevole chiederesti alla regina d’Inghilterra una di quelle belle carrozze che ha usato per il matrimonio del nipote (il principe William, ndr), la spediresti a prendermi a Malagrotta e mi faresti scortare in Campidoglio. Ad Alemanno ho scritto lettere, ho spiegato tutto nel settembre 2010, ho pure preparato un convegno dove rassicuravo la gestione dei rifiuti a Roma per un ventennio. In più ho fatto fare una stele di marmo per la dipartita di Malagrotta, se volete saperla tutta intitoleremo lo stradone il "Viale della fortuna di Roma". ( Cerroni prende fiato ).Scherzavo naturalmente sulla carrozza della Regina».
Mica tanto avvocato. Questo aneddoto lo ha raccontato anche al pubblico ministero, durante l’interrogatorio.
«La verità è che oltre a sommi poeti come Carducci o illustri letterati, la cittadinanza di Roma mi spetta di diritto. Perchè io ho dei meriti che altri insigni cittadini onorari non hanno. Ad Alemanno ho scritto lettere, ho spiegato tutto».
Senta Cerroni, ma lei la fa la raccolta differenziata?
«Che domande. Certo che la faccio»
No, perché a Roma è sentore comune che l’Ama non la faccia.
«Su questo non rispondo. L’Ama si serve di gente che fa queste cose. Mi dovete domandare un’altra cosa: se la differenziata è fatta bene, possono arrivare guadagni e posti di lavoro?
Si dia la risposta...
«Enormi guadagni, sì. E un’infinità di posti di lavoro. Queste sono le mie proposte da anni, ma chissà perché non vanno avanti. Anziché visitare i Fori i turisti andrebbero a visitare la discarica di Malagrotta».
Voce di popolo dice che lei ha pagato la manifestazione di un principe per protestare contro la discarica di Corcolle caldeggiata dal prefetto Pecoraro.
«Un principe? Ma che state dicendo?»
Tiri la riga, e faccia un rewind della sua vita. Che le viene in mente adesso?
«Er Gallina»
Chi?
«Er Gallina, un mio dipendente, l’unico capace di trovare il famoso ago nel pagliaio. Riusciva a tirare su una moneta dispersa fra tonnellate di monnezza. Per una vita sapete quanta gente importante mi ha chiesto la cortesia di fermare i camion prima dello scarico in discarica e ripescare oggetti preziosi? Ricordo la signora Angiolillo, disperata per un confanetto di lettere finito nel cestino di casa. Oppure l’ex ministro Scelba che mandò un esercito di carabinieri a presidiare l’area per salvare un astuccio di pelle con 18 milioni di lire e un pacco di lettere. Ecco, er Gallina era una specie di mago, ed io un computer già allora. Conoscevo ogni camion, ogni tratta. Avevo, e ancor oggi ho, una memoria incredibile tanto che quando la polizia giudiziaria è venuta a perquisirmi l’ufficio s’è pure storta: "Cerroni, tiri fuori i computer, sappiamo che ce l’ha". Mai avuto un computer in vita mia, alla fine si son dovuti arrendere all’evidenza. Sono il computer di me stesso».
Morale della favola dei rifiuti?
«La morale, cari giornalisti che per settimane mi avete fatto a pezzi, è che la verità alla fine viene sempre fuori, anche quella nascosta nella monnezza. Er Gallina insegna, Cerroni è la riprova».