VARIE 9/5/2014, 9 maggio 2014
APPUNTI PER GAZZETTA - IL MANIACO DI FIRENZE HA CONFESSATO
CORRIERE.IT
Gli agenti della polizia l’hanno arrestato all’alba nella sua casa di via Locchi, immediata periferia nord di Firenze, nella zona di Careggi dove si trova l’ospedale principale della città. L’uomo, un idraulico di 55 anni, Riccardo Viti, incensurato, si è fatto ammanettare in silenzio. È lui, secondo gli investigatori, il maniaco seriale che avrebbe assassinato Andreea Cristina Zamfir, 26 anni, prostituta romena, tossicodipendente, seviziata e «crocifissa» a una sbarra sotto il viadotto dell’Autosole a Ugnano, una frazione tra Firenze e Scandicci, e che avrebbe aggredito almeno altre tre prostitute.
La somiglianza con l’identikit (GUARDA LE FOTO DELL’ARRESTO) preparato da squadra mobile e carabinieri è assoluta, l’identificazione è avvenuta grazie alle testimonianza di diverse prostitute e forse anche al confronto del Dna. Sembra che nel corso di una perquisizione nell’appartamento dell’idraulico, la polizia abbia trovato lo scotch con la sigla della stessa Asl con cui l’assassino aveva legato i polsi della romena. Il nastro adesivo era stato sottratto dai magazzini dell’ospedale di Careggi che dista pochi minuti a piedi dalla casa del sospettato. La compagna dell’uomo, secondo quanto appreso, lavora proprio in quella struttura.
La confessione
L’uomo, interrogato, ha ammesso la violenza sulla giovane prostituta: «Sono finito. Ormai non mi salva nessuno». Poi ha aggiunto: «Ho fatto una bischerata. Speravo la trovassero come le altre», riferendosi ai precedenti casi simili nei quali le donne violentate e legate erano state trovate e salvate (le prime parole del killer: «Lo faccio per senso di rivalsa». Vai all’articolo). Secondo alcune fonti investigative, il maniaco seriale potrebbe aver colpito almeno 6 volte a partire dal 2006, anno in cui sarebbe stata compiuta la prima violenza sessuale nella zona del cimitero di Ugnano. In tutti i casi al vaglio degli inquirenti, le vittime sono state infatti ritrovate con le mani legate a sbarre con nastro adesivo ma Zamfir è l’unica donna che il maniaco seriale avrebbe finora ucciso con le sue sevizie.
Gli inquirenti confermano che il Dna dell’uomo coincide con quello trovato sul luogo del delitto.
Il questore: «Abbiamo preso la bestia»
Soddisfazione «perché la squadra mobile ed i carabinieri sono riusciti a catturare la bestia», è stata espressa dal questore di Firenze, Raffaele Micillo. Era stato lo stesso questore, a definire l’autore del gesto «una bestia», pur dispiacendosi, aveva detto, di paragonarlo agli animali. L’uomo arrestato, ha aggiunto Micillo, «è sicuramente responsabile del gesto e, probabilmente, degli altri fatti simili riscontrati precedentemente». Il ministro dell’interno Alfano si complimenta con la Polizia su Twitter, il capo della Polizia Pansa ha chiamato la questura di Firenze per complimentarsi.
Le telecamere e il giubbotto dell’omicidio
A Riccardo Viti gli investigatori sono arrivati anche ricostruendo tutto il percorso della sua auto, da quando ha preso a bordo la ragazza fino all’arrivo in via del cimitero di Ugnano, con le videoregistrazioni delle telecamere di sicurezza disseminate lungo il percorso. Al momento dell’arresto l’uomo aveva con sé anche il giubbotto indossato quella sera. Le immagini hanno consentito alla polizia di ricostruire il percorso fatto la notte tra il 4 ed il 5 maggio dal Fiat Doblò grigio di Viti dal momento in cui l’uomo ha preso a bordo la prostituta nella zona del parco delle Cascine all’arrivo nei pressi della strada che si perde in mezzo ai campi di Ugnano, interrotta dalla sbarra alla quale il corpo della ragazza era stato legato. L’auto di Viti è stata trovata parcheggiata nei pressi dell’abitazione dell’uomo e sequestrata.
I vicini: «Una persona gentile, forse un po’ strana»
Una persona gentile anche se «un po’ ruvido e strano, a volte infantile». Così i vicini descrivono Riccardo Viti. Molti conoscono sia lui che i suoi genitori, che vengono definite persone «bravissime». I vicini confermerebbero che Viti è sposato: la moglie è dell’Est e ha un figlio adolescente da una precedente relazione, che frequenta le scuole superiori e che abita con loro. Viti è diplomato in ragioneria, ma non avendo un impiego, da anni lavora con il padre che fa l’idraulico. Nel tempo libero insegna o fa l’arbitro di karate. Una vicina, che stamani ha assistito all’arresto, racconta di averlo visto uscire in manette accompagnato dagli agenti. Dice di non conoscerlo troppo bene ma di essere rimasta colpita una volta quando in un supermercato lo vide con la madre mentre comprava dei prodotti «per lui ma più adatti ad un bambino». Viti, la moglie e il ragazzo abitano in un appartamento in zona Careggi, comunicante con quello dei genitori dell’uomo, che però ha ingresso su un’altra strada.
I genitori sono sconvolti
Ai giornalisti la madre, sconvolta, avrebbe detto poche parole:«Non so che cosa sia successo, che cosa abbia fatto mio figlio. Chiedetelo alla polizia. So solo che io sono nella disperazione più nera». E poi: «Mi hanno appena detto che ha confessato. Io non sapevo niente, non mi ero accorta di niente, credevo fosse un bravo ragazzo ma se ha fatto quello che ha fatto non posso difenderlo. Non ne voglio più parlare, sono sola nella mia disperazione». Si è poi chiusa con il marito nella loro abitazione: L’appartamento è al secondo piano di un palazzo di sei piani. Al piano terra c’è una rimessa della famiglia Viti, dove Riccardo e il padre tengono gli attrezzi di lavoro. Il locale, così come il furgone, è stato sequestrato dalla Squadra Mobile di Firenze.
Il racconto straziante del compagno di Andreea
Il compagno di Andreea Cristina Zamfir, Yean Ion Manta, 36 anni, romeno, piange e appare visibilmente scosso davanti alla questura. La coppia ha due figli, di 4 e 2 anni, che vivono in Romania con i genitori dell’uomo. «Sono molto felice per questa notizia» ha detto l’uomo che ha poi precisato: «Andreea non si drogava e non si prostituiva. A casa non avevamo i soldi per mangiare». «La sera in cui è morta - ha aggiunto - Cristina uscì intorno alle 22, mi disse che aveva un appuntamento di lavoro come baby sitter. Poi non l’ho più sentita, non ha più risposto al telefono e ai miei sms». E poi lancia un’accusa: «La fine di Cristina - ha detto ancora - è tutta colpa di sua madre, che l’ha abbandonata sei anni fa alla stazione come se fosse un bagaglio. Da sei anni non sa nulla di lei e adesso le interessa solo perché è morta». Secondo alcuni amici della vittima, Andreea «si prostituiva ogni tanto per dar da mangiare ai suoi due bambini e per avere soldi da inviare ai parenti in Romania».
Nei racconti delle prostitute quel furgoncino chiaro
Giovedì una psicologa dei carabinieri aveva parlato con una prostituta aggredita il 28 marzo 2013 a Ugnano, lo stesso luogo dove lunedì è stata trovata morta a una sbarra la romena Andreea Cristina Zamfir. Un compito non facile, dato che si trattava di decrittare dai racconti, a volte scomposti per le condizioni psichiche e sociali di donne che fanno vita di strada, dati sul maniaco. Di lui però erano già emersi alcuni tratti definiti. I racconti verbalizzati negli anni dalle denunce delle aggredite - cinque prostitute diverse, per cinque dei sette casi finora sotto indagine - convergevano sulla descrizione fisica. Gli investigatori scientifici non potevano ancora tracciare un identikit ma tra i sospettati, che gli inquirenti cominciavano a prendere in considerazione, ci si poteva orientare su elementi che comunque già combaciavano. Un italiano di 55-60 anni, alto tra il metro e 70 e il metro e 75, tarchiato, volto ovale. In alcuni casi avrebbe indossato occhiali. Inoltre avrebbe approcciato in strada le vittime da una vettura furgonata, di colore chiaro, forse un mezzo usato anche per il lavoro. Dopo l’omicidio di Andreea, era cominciata una processione di molte prostitute negli uffici della questura e dei carabinieri. Non denunciavano violenze, ma sembravano tutte ricordare un cliente che chiedeva di praticare un «gioco erotico» particolare, come quello che ha portato alla morte della romena a Ugnano. E ricordavano anche il furgoncino chiaro: un elemento chiave nelle indagini, che si è poi trasformato nella traccia da seguire per arrestare l’assassino.
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LA SEGNALAZIONE DEL 2012, DOPO LA NOTTE BIANCA - A Riccardo Viti, gli investigatori sono arrivati non solo ricostruendo tutto il percorso della sua auto grazie alle telecamere, da quando ha preso a bordo la ragazza fino all’arrivo in via del cimitero di Ugnano, ma anche grazie al ricordo di un poliziotto del 113 - che ora lavora alla squadra mobile - di una segnalazione fatta nel 2012: dopo la Notte Bianca, una volante della polizia interviene al parco delle Cascine perché si sentono delle urla. Trovano una prostituta e un uomo che stanno discutendo davanti a un furgone Doblò bianco. Chiedono cosa sta accadendo e la prostituta spiega che il cliente le ha chiesto un gioco erotico ma che non si trovano d’accordo sul prezzo ma non fa nessuna denuncia. L’uomo viene comunque identificato: Riccardo Viti, 55 anni e il Doblò viene registrato. Quella segnalazione è rispuntata fuori in questi giorni e ha permesso di dare un nome e un cognome al killer del cavalcavia. I racconti delle prostitute sono stati poi fondamentali per buttare giù l’identikit dell’uomo: un cinquantenne calvo.
A CONFESSIONE IN QUESTURA - Viti è stato subito portato in Questura dove sta avvenendo la confessione: «Faccio questa cosa per un senso di rivalsa», avrebbe detto agli investigatori. Viti ora è interrogato dal pm Paolo Canessa che coordina le indagini sulle violenze sessuali culminate poi nell’omicidio di Andreea Cristina. Violenze che iniziano nel 2006 con il primo caso di una prostituta legata, violentata e abbandonata nuda. Da allora almeno sei i casi simili avvenuti tra Firenze e Prato. Ma il sospetto degli inquirenti è che Viti, da molti anni, possa essere l’autore di violenze sessuali. Al pm Viti starebbe confessando anche altri stupri. «Speravo che la trovassero, che trovassero anche questa come le altre... sono pentito». Poi ha aggiunto: «Ero pronto a fare altri stupri».
REPUBBLICA.IT
"Ma che sei tu il mostro di Ugnano?" la donna è in anticamera, una vestaglia addosso e la polizia alla porta. "Sì, l’ho fatto io" risponde il figlio abbassando gli occhi. La prima confessione, Riccardo Viti, l’idraulico arrestato con l’accusa di aver ucciso la giovane romena Andrea Cristina Zamfir, la fa a sua madre, dentro le mura di casa. La squadra omicidi della questura di Firenze lo sta ammanettando nell’appartamento di via Locchi, alla periferia della città, dove vive con gli anziani genitori e con la moglie (dell’est). Più tardi, in un ufficio della questura, passandosi una mano sul viso dirà: "Sono finito. Ormai non mi salva nessuno...". E alla fine dell’interrogatorio viene fermato per omicidio
Riccardo Viti, 55 anni, fiorentino, incensurato, ha ammesso di essere il maniaco delle prostitute, quello che ha seviziato Andreea Cristina Zamfir, 26 anni, romena, morta in croce, sotto un viadotto dell’Autostrada A1 a Ugnano, alla periferia della città. Nel suo garage gli investigatori hanno recuperato il nastro adesivo usato per legare la giovane e due manici da scopa impiegati con ogni probabilità nelle violenze seriali. "Ho fatto una bischerata - ha spiegato l’uomo - speravo la trovassero viva, come le altre...". "Quello che è stato definito mostro - ha spiegato più tardi il procuratore capo facente funzione Giuliano Giambartolomei - è l’uomo della porta accanto. Una persona normale che ha un’attività lavorativa, che è regolarmente sposato e con un figlio della convivente".
Parlano i vicini: "E’ un tipo strano"
La perquisizione. Gli investigatori della squadra mobile hanno raggiunto la casa di Viti all’alba. Durante la perquisizione, il padre ottantenne, è rimasto seduto in silenzio senza parlare, la mamma invece ha reagito incredula, "Sei stato tu? Sei stato tu?" ha insistito. "Non pensavo che morisse - ha risposto l’uomo, confermando i sospetti degli inquirenti - ho fatto una bischerata...".
Gli agenti hanno perquisito la sua abitazione e la sua auto, un Fiat Doblò grigio parcheggiato in strada, accanto alla caserma dei carabinieri in via Locchi. La compagna dell’uomo lavora all’ospedale di Careggi che si trova a poche centinaia di metri da lì, è un indizio importante. La donna, straniera, si occupa di pulizie. Le braccia di Cristina Zamfir erano state legate a un palo con un nastro adesivo proprio col marchio dell’ospedale fiorentino e parte delle indagini hanno approfondito gli accertamenti su quel reperto.
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Viti, interrogato per ore in questura, ha confessato davanti al pm Paolo Canessa riferendo anche casi di violenza mai denunciati prima. La storia comincia nel 2006 con il primo caso di una prostituta legata, violentata e abbandonata nuda da un uomo. Da allora sono almeno sei i casi analoghi accaduti tra Firenze e Prato.
Il questore. Il questore di Firenze Raffaele Micillo ha ringraziato polizia e carabinieri che hanno partecipato all’indagine e dichiarato: "Abbiamo catturato la bestia". Parole forti, che segnano la tensione delle prime ore. I complimenti per l’operazione sono arrivati anche dal ministro dell’Interno Angelino Alfano, con un tweet.
Chiusi in casa, in un comprensibile dolore, i genitori del cinquantacinquenne: "Stiamo soffrendo, lasciateci in pace" hanno detto da dietro la porta.
Il dna. Il profilo genetico di Riccardo Viti coincide, secondo quanto spiegano alla squadra mobile, con l’aggressione a una prostituta avvenuta nel marzo 2013 e con altri tre casi precedenti. Ma sono dieci in tutto i casi di cui è fortemente sospettato. All’identificazione di Riccardo Viti, gli investigatori sono arrivati rapidamente grazie alle descrizioni raccolte sui viali della prostituzione, fra donne che si erano già imbattute nelle perversioni di quell’uomo a bordo di un Doblò grigio chiaro. Tuttavia la svolta è venuta grazie alle immagini delle telecamere che mostrano l’uomo in macchina con Cristina che si allontana dal Parco delle Cascine. Attraverso le telecamere disseminate sul percorso che porta a Ugnano, sono state raccolte altre preziose informazioni. Un agente delle volanti ha collegato poi questo caso a una violenza e alla denuncia di una prostituta avvenuta più di un anno fa: la vettura era la stessa.
L’omicidio. Cristina Zamfir è stata lasciata nuda, crocifissa al palo di una sbarra, con i polsi legati con del nastro isolante. E’ morta per le sevizie, in pochi minuti, forse appena il tempo di gridare. Fa freddo, le finestre delle case vicino al viadotto di Ugnano sono chiuse e il rumore dell’autostrada è quello solito. Nessuno sente, nessuno vede nella notte fra il 4 e il 5 maggio. In via del Cimitero soltanto una donna racconta di aver sentito intorno alle 23,30 dei lamenti: li ha scambiati per quelli di un animale, "il mio cane abbaiava, ma di notte abbaia sempre". Il corpo senza vita della giovane prostituta romena viene trovato la mattina dopo da un passante in bicicletta. Scatta l’allarme, si collega questo ad altri episodi analoghi avvenuti a Calenzano (nel prato delle Bartoline, luogo già noto perchè nel 1981 colpì il mostro di Firenze) e proprio al viadotto di Ugnano.
L’agente delle volanti. Torna molto utile alla squadra mobile la memoria di un agente delle volanti che ricorda di essere intervenuto qualche tempo prima in una piazza di Firenze per una donna e un uomo che litigavano a bordo di un Doblò: lei raccontava che l’altro la voleva legare. Vanno a vedere nei mattinali della questura: la storia risale al 1 maggio 2012. Cominciano a combaciare diversi elementi: la donna è una prostituta con problemi di tossicodipendenza, lui si chiama Riccardo Viti, fa l’idraulico. Nella rosa dei sospettati sul tavolo degli investigatori entra così un nome e un cognome che si trascina col passare dei giorni troppi altri indizi.
La vittima. Cristina Zamfir ha vissuto una vita di povertà e di margini. E’ venuta in Italia con i genitori, il padre era muratore e ha vissuto in provincia di Benevento. Nel 2008 il padre a cui era molto affezionata, muore e lei se ne va di casa. Da allora taglia i ponti con la sorella e con il resto della famiglia. Non sapevano nemmeno che Cristina vivesse a Firenze, non sapevano che avesse due bambini piccoli, di due e quattro anni, affidati ai nonni paterni. Senza un lavoro, senza una casa, aveva occupato con il compagno un’abitazione disabitata da anni, con le finestre murate. Nella loro stanza un materasso a terra, nessun mobile, soltanto un televisore e qualche collanina. Degrado e sporcizia. Lei ogni tanto per raccattare qualche soldo, si affacciava ai viali della prostituzione. Ed è lì che ha incontrato l’uomo che l’ha uccisa offredole un passaggio su un Doblò grigio e promettendole un po’ di euro in cambio di una prestazione sessuale particolare: doveva spogliarsi e lasciarsi legare. Il compagno ha raccontato: "Nello scorso mese di marzo, Cristina si fece medicare al pronto soccorso perchè uno l’aveva legata e violentata...". Il sospetto è che fosse lo stesso maniaco.
Il compagno Si presenta fuori dalla questura questa mattina, Yean Ion Manta, 36 anni, romeno, il compagno di Cristina, piange, è scosso. Sull’arresto dice: "Sono molto felice per questa notizia". Poi precisa qualcosa che gli investigatori negano: "Cristina non si drogava e non si prostituiva. A casa non avevamo i soldi per mangiare". "La sera in cui è morta - aggiunge - è uscita intorno alle 22, disse che aveva un appuntamento di lavoro come baby sitter. Poi non l’ho più sentita, non ha più risposto al telefono e ai miei sms". "La fine di Cristina - ha accusato l’uomo - è tutta colpa di sua madre, che l’ha abbandonata sei anni fa alla stazione come se fosse un bagaglio. Da sei anni non sa nulla di lei e adesso le interessa solo perchè è morta".