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 2014  maggio 09 Venerdì calendario

G, IL COMUNISTA CHE STAVA BEN ZITTO


Il compagno G, vent’anni dopo. Al “minuto 1:20:40” di una lunga cena del 28 aprile scorso, al Giglio Rosso di Milano, vicino alla stazione centrale. A tavola ci sono Primo Greganti e gli altri commensali e sodali intrappolati nella rete giudiziaria della nuova Tangentopoli. Paris chiede a Greganti: “Tu a che ora hai il treno?”. L’eterno compagno G, mai sparito, semmai invisibile, risponde: “Alle dieci e dieci, dieci e dodici”. Paris ritorna alla sostanza: “Stavo pensando a quell’elenco dei Paesi che ti avevo detto, dov’è?”. S’intromette il cameriere: “Niente dolce?”. Tutti rispondono di no. “Il caffè? Aspettiamo?”. Interviene Cattozzo: “Qualche minuto sì”. Paris cita alcuni Paesi per i padiglioni dell’Expo, Argentina e Uruguay, e il brano dell’intercettazione ambientale si chiude con un sigillo triste e strepitoso allo stesso tempo: “Rumori di bicchieri e forchette”.
Dall’omertà comunista alle forchette bipartisan. Ecco il compagno G, vent’anni dopo. Un forchettone riformista del Pd che realizza le larghe intese con un’altra celebre faccia di due decenni fa. Quella di Gianstefano Frigerio, berlusconiano. A pagina 254 dell’ordinanza c’è un passaggio esemplare su questo clan di Sistema. Si parla di gare e di commissari amici per gli appalti e il già citato Cattozzo, una sorta di intermediario con un passato da sindacalista, esulta: “Ci sono dentro le cooperative... c’è quella cooperativa importante... ti incontri con il mondo di Primo e con il mondo del professore, io son qua a voce perché loro due mi hanno detto di venirti a parlare e quindi ho detto ti copri con il mondo di Primo e con il mondo del professore... io son qua oggi perché loro due mi han detto di venirti a parlare... quindi sennò non mi sarei permesso”.
La cupola dei due mondi. Quello del professore, alias Frigerio. E quello rosso di Primo, alias Greganti. Il compagno G fu ammanettato il primo marzo del 1993, su richiesta del pm Antonio Di Pietro. L’arresto fu firmato da Italo Ghitti, gip di Mani Pulite. L’accusa: corruzione. Greganti era il cassiere del Pci poi Pds. La prima scoperta fu in Svizzera: 621 milioni di lire dal gruppo Ferruzzi per gli appalto Enel. Parte di una tangente destinata al Partito, in genere l’1,6 per cento sul valore delle commesse. I versamenti accertati furono tre: 621 milioni depositati il 21 novembre 1990 sul conto “gabbietta” della Banca di Lugano , intestato, a Greganti; 525 milioni nel settembre 1992 su un conto della Banca del Gottardo di Zurigo, sempre nella disponibilità del compagno G; 100 milioni, infine, dati al tesoriere del Pds. Achille Occhetto, leader del Pds, sentenziò: “Il Partito è fuori da Tangentopoli”. Massimo D’Alema, al solito più arrogante, sfidò i cronisti: “Fra tre giorni di Greganti non si parlerà più”.
Quello che è certo è che fu Greganti a non parlare. Il suo silenzio, la sua resistenza ai magistrati furono un esempio. Gabriele Cagliari, il presidente dell’Eni finito in carcere come tanti, prima di ammazzarsi scrisse una lettera alla moglie in cui citava Greganti con ammirazione, per la sua forza. Il compagno G si fece cento giorni di galera preventiva e venne condannato per finanziamento illecito. In tutto tre anni col patteggiamento, scontati ai servizi sociali. A interrogarlo fu anche Titti Parenti. Lui non la conosceva e chiese: “Ma chi è quella ragazzina in minigonna che mi ha fatto tutte quelle domande?”.
Lui, il compagno G, si è sempre difeso da quelle accuse. Tutte consulenze per i suoi commerci con la Cina. Da allora Greganti si eclissò pur orbitando negli ambienti dalemiani del Partito. Nel 2006 scrisse la sua biografia Scusate il ritardo per la casa editrice Memori di Luciano Consoli, l’uomo delle sale bingo dalemiane. Due anni dopo, Greganti fu avvistato a Palazzo Grazioli. Ma non per Berlusconi. Lì aveva i suoi uffici da lobbista anche Claudio Velardi che partecipò al lancio della tv satellitare dalemiana Red, in seguito defunta. Ed è per questo che Greganti finì col prendere la tessera del Pd, sperando in un’evoluzione riformista dei postcomunisti.
Nelle 612 pagine dell’ordinanza, agli occhi di Frigerio, Greganti è la copertura a sinistra per stare tranquilli e fare affari. Quando si tratta di confermare Nucci alla Sogin, crocevia decisivo per gli appalti, le pressioni sono fortissime e “su Nucci i nostri non hanno problemi, Bersani ha detto: ‘Io sono d’accordissimo’”. Bersani perde le elezioni, meglio non vince, e Frigerio spera in un miracolo per un “governo largo”, anticamera di ogni consociativismo affaristico. E a quel punto si passa direttamente ad agganciare il governo Letta. Renzi, infine. L’importante, nella logica del Sistema, è sempre ricondurre un manager, un commissario, un decisore di appalti, a un uomo politico. In Italia è così da sempre. Per questo, vent’anni dopo, il compagno G è stato arrestato di nuovo.

Fabrizio d’Esposito, Il Fatto Quotidiano 9/5/2014