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 2014  maggio 09 Venerdì calendario

IL COMPAGNO G E IL VECCHIO DC QUANDO LA PRIMA REPUBBLICA SI MANGIA LA TERZA NELLA CULLA


Uno si sveglia una mattina, sente la radio e dice: che meraviglia, sono ringiovanito di vent’anni. «Mi sono ricresciuti i capelli! E mi è sparita la pancia!», mi urla al telefono Antonio Di Pietro, che non sta più nella pelle. Per la verità dice anche che la pelle gli si è «accapponata» quando ha sentito che avevano arrestato Primo Greganti, 70 anni, e Gianstefano Frigerio, 75: «Ma com’è possibile che fossero ancora in giro a far danni?».
Millenovecentonovantadue. L’Italia è scossa da un’inchiesta inedita: si chiama Mani Pulite. Non che sia inedita la corruzione: ma è la prima volta che la magistratura riesce a mettere dentro i pezzi grossi; ad arrivare ai vertici dei partiti; agli intoccabili insomma. Cade per primo Mario Chiesa, socialista: gli trovano nel water una mazzetta da sette milioni di lire. Robetta. Però Chiesa a Milano è una potenza e, se cade lui, rischiano di venir giù tutti. Infatti è così. In breve tempo si arriva ai sindaci socialisti, Tognoli e Pillitteri, poi a Craxi e poi ancora dal Psi alla Dc. Si arrende Forlani, dovrà arrendersi per altre storie perfino Andreotti. È la caduta degli dei.
Finiscono dentro, appunto, anche Primo Greganti e Gianstefano Frigerio. Tipi diversissimi.
Greganti è un comunista di quelli di una volta. In galera si rivela più tosto del partigiano di Ma mi, quello che era stato «quaranta dì, quaranta nott/ a San Vittur a ciapaa i bott» senza mai mollare una virgola: «Mi sont de quei che parlen no!». Greganti sta dentro più del protagonista della canzone di Jannacci, oltre cento giorni, ma al pm Tiziana Parenti, che voleva sapere se i soldi che gli avevano beccato erano per il partito, nega, nega e nega ancora. Alla fine lo condannano senza coinvolgere i vertici del Pci-Pds e la cosa scatena una delle prime grandi polemiche sull’intreccio magistratura-sinistra: democristiani e socialisti dicono che vengono usati due e pesi e due misure.
Un’altra pasta, invece, il Frigerio. Era segretario regionale dello scudocrociato e per tutti i primi mesi di Mani Pulite, quando era ancora libero, inondava le redazioni di comunicati a sostegno della Procura: «È ora di finirla con i politici corrotti!». Noi giornalisti sapevamo che era nel mirino e pensavamo: mah, avrà un asso nella manica. E forse l’aveva: ma erano assi che non contavano più niente. Frigerio fu arrestato mentre stava andando in piazza del Gesù a Roma a chiedere protezione.
Antonio Di Pietro li ricorda così: «Greganti era un furbastro. Ancora non ho capito se i soldi se li è fregati lui o no. In ogni caso stava zitto perché aveva un interesse personale: come minimo aveva fatto la cresta ed era meglio non farlo sapere al partito. Frigerio invece era un numero uno. Quello che garantiva la ripartizione delle tangenti: 25 per cento alla Dc, 25 al Psi, 25 all’insieme dei partiti minori, 25 al Pci ma non in soldi: bensì come quota al sistema delle cooperative». Differenze anche nel carattere: «Greganti credo sia un paraculo ma sapeva recitare la parte del duro. Frigerio, quando lo arrestai, mi fece l’impressione del cattolico della domenica, quello che prega di giorno e frega di sera. Recitò davanti a me la parte del prete spretato, ammettendo quello che non poteva non ammettere, e tacendo su tutto il resto».
Ma per certi versi, chapeau. Se è vero che stavano tramando ancora (il che è da dimostrare, ovviamente) vuol dire che la Prima Repubblica si è mangiata la Terza. Ammesso che sia mai esistita la Seconda. Tiziana Maiolo, che non ha mai avuto in simpatia il Pci - né quando era giornalista al Manifesto, né tantomeno quando è entrata in politica con Forza Italia - su Twitter liquida così il ritorno di Greganti, detto allora il compagno G: «Continua a fare il suo mestiere di uomo delle cooperative... e del suo partito».
«La cosa che più mi rammarica e mi indigna», dice Di Pietro, «è che il nuovo che avanza si rivolge a personaggi del genere per un’opera importante come l’Expo di Milano». Ma c’è qualcuno che, anche se indignato, non è affatto sorpreso. Umberto Ambrosoli, consigliere regionale del Patto Civico e coordinatore del centrosinistra lombardo, racconta: «Un mese fa ho chiuso il mio discorso, in un’aula gelida del consiglio regionale, dicendo al presidente Maroni: “O lei fa un gesto di discontinuità o tra un po’ saremo ancora qui a parlare di tangenti». Gli chiedo se Maroni gli abbia risposto: «Certo. Con un ghigno dei suoi, mi ha detto “Caro Ambrosoli, se i lombardi avessero voluto la discontinuità, avrebbero votato lei”».
Resta forse un’altra sorpresa. E cioè com’è possibile che gente che è già stata in carcere, e che comunque sa come si sta al mondo, parli al telefono come vivesse su Marte, senza ricordarsi di aver mai letto, da qualche parte, che ogni tanto la magistratura ha questo vizio di intercettare. Forse è superficialità. O forse sfacciataggine. O forse chissà, un’intima convinzione di impunità.

Michele Brambilla, La Stampa 9/5/2014