Tino Oldani, ItaliaOggi 9/5/2014, 9 maggio 2014
IL PREMIER CHE PROMETTEVA DI RIDURRE IL NUMERO DELLE MUNICIPALIZZATE A ROMA HA MANDATO I RENZI BOYS A LOTTIZZARE IL NUOVO CDA DELL’ACEA
Appena tre settimane fa il premier Matteo Renzi tuonava contro le municipalizzate, che sono troppe e sprecano tantissimo. «Sapete quanto costano ai cittadini?» buttò lì durante una conferenza stampa a Palazzo Chigi. «Circa un miliardo e mezzo di disavanzo l’anno. Noi proponiamo di sfoltirle e passare da ottomila municipalizzate a mille in tre anni». Perfino i giornali più critici verso il governo si inchinarono, elogiando il «colpo di scure» di Renzi su un bubbone nazionale. Ma tre settimane passano in fretta, e oplà: tutto è già dimenticato. Anzi, i primi a non credere al colpo di scure sembrano proprio i collaboratori più stretti del premier, a cominciare dal sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, Graziano Del Rio, e dal sottosegretario all’Economia, Giovanni Legnini. Lo conferma quanto sta accadendo intorno alla nomina del nuovo Consiglio di amministrazione dell’Acea, la multiutility del Comune di Roma che fornisce elettricità, gas e acqua, società quotata, da sempre vera cartina di tornasole dei giochi politici e di potere nella Capitale.
Solo pochi giorni fa sembrava tutto fatto: a casa i vecchi amministratori nominati da Gianni Alemanno, e avanti un Cda nuovo di zecca, con la presidenza affidata a Paola Severino, ex ministro della Giustizia, avvocato di fiducia di Francesco Gaetano Caltagirone, primo azionista privato, e la poltrona di amministratore delegato ad Alberto Irace, manager ben visto da Renzi e dal ministro delle Riforme, Maria Elena Boschi, che l’avrebbe accompagnato di persona al colloquio decisivo con il sindaco di Roma, Ignazio Marino. Con questa doppia mossa, come ho scritto qualche giorno fa, il sindaco (da tempo in crisi con il suo stesso partito, il Pd) si assicurava una doppia protezione, quella di Renzi e quella di Caltagirone, con il quale stringeva un accordo di potere e di buon vicinato dopo un anno di ostilità molto forti, confermate dal Messaggero, giornale di proprietà del costruttore.
Ma in politica, si sa, l’appetito vien mangiando. Così, dopo la Boschi, altri Renzi boys sono scesi in campo per sistemare i loro protetti all’Acea, obbligando Marino a riaprire i giochi. Cosa che il sindaco ha fatto senza un plisssé, visto che a guadagnarci sarà anche lui, consolidando la sua poltrona. Di più: il sindaco si è fatto letteralmente dettare la lista dei cinque componenti del nuovo Cda dell’Acea, che sarà sottoposto all’assemblea del 5 giugno. Un vero e proprio atto di sottomissione ai Renzi boys, che ha scatenato perfino le proteste del Pd romano. Ma vediamo intanto chi ha sistemato chi.
Al posto della Severino, il sindaco Marino ha proposto per la presidenza Catia Tomassetti, avvocato partner dello studio Bonelli-Erede-Pappalardo, forte dell’appoggio del sottosegretario Del Rio, con il quale aveva già lavorato a Reggio Emilia nel Forum provinciale dell’acqua pubblica. Da sempre alter ego di Renzi e sua longa manus a Palazzo Chigi, Del Rio avrebbe concordato le nomine del vertice Acea con il collega di governo Giovanni Legnini, sottosegretario all’Economia, e all’assessore capitolino Alessandra Cattoi, portavoce e alter ego di Marino. Risultato: Legnini ha sistemato nel consiglio Acea, Elisabetta Maggini, 33 anni, fidanzata di un suo consulente, nonché figlia di un costruttore romano (Agostino Maggini) amico di Caltagirone e sostenitore dichiarato di Marino, tanto che, in occasione della campagna elettorale per il Campidoglio, gli avrebbe messo a disposizione per lo staff alcuni suoi residence. L’assessore Cattoi, per parte sua, si è fatta sponsor del nuovo ad dell’Acea, Alberto Irace, già forte dell’appoggio del ministro Boschi, non solo per consolidare l’alleanza politica tra il sindaco Marino e Renzi, ma anche perché la promozione di Irace potrebbe agevolare la carriera di suo marito, Alessandro Carfì, che è manager Acea, ha avuto Irace come capo e - come rivela la cronaca di Repubblica - aspira a diventare responsabile esteri del servizio idrico.
Dopo Tomassetti (Del Rio), Irace (Boschi-Cattoi) e Maggini (Legnini), espressione dei politici vincenti, la geografia politico-clientelare della nuova Acea prevede due poltrone anche per i protegé di due ex potenti: Paola Profeta, docente alla Bocconi, è considerata lettiana in quanto già nel cda dell’Expo in quota Enrico Letta; infine il fiscalista molisano Franco Paparella sarebbe espressione del centrodestra in quanto vicino al senatore Ncd Andrea Augello, uomo forte ai tempi della giunta Alemanno.
Una lottizzazione così schiacciante non si vedeva dai tempi della vecchia Dc. Per quanto riguarda i due azionisti privati di Acea, Caltagirone (con il 16,4%) e Gdf-Suez con il 12,5%, nessuno sa dire se accetteranno di votare in assemblea la cinquina proposta dal sindaco. Entrambi, in un primo tempo, avevano cercato di difendere l’ad rimosso, Paolo Gallo, sostenendo che sul piano finanziario aveva agito bene. Ma il sindaco ha preferito fare piazza pulita e agire di testa sua, sia pure cercando il consenso di Caltagirone. E quest’ultimo, più che al sindaco, alla fine sembra avere dato fiducia ai Renzi boys, per averli poi alleati nella privatizzazione dell’Acea, se mai Renzi terrà fede alla promessa di ridurre il numero delle municipalizzate.
Rimane però l’incognita del Pd romano, che è salito sulle barricate contro il suo sindaco. Il segretario del Pd capitolino, Lionello Cosentino, sostiene che il nuovo Cda Acea ha «un profilo modesto, nessuno dei cinque nomi ha qualche esperienza manageriale significativa nel campo della produzione e distribuzione dell’energia elettrica. Questa volta evidentemente il curriculum non è servito». E il capogruppo Pd in Campidoglio, Francesco D’Ausilio, è ancora più duro: «Non consentiremo a nessuna corrente nazionale di nessun partito di mettere le mani sull’Acea». Dunque, la partita non sembra finita. E la poltrona del sindaco Marino tutt’altro che in salvo.
Tino Oldani, ItaliaOggi 9/5/2014