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 2014  maggio 09 Venerdì calendario

IL NUOVO VIGORE DELL’ITALIA


A segnalare la svolta è stata per prima l’Alenia, azienda aeronautica di Finmeccanica che, a marzo, ha deciso di far lavorare anche di domenica il suo stabilimento di Pomigliano per raddoppiare la produzione di fusoliere dell’aereo ATR 72. Poi è arrivato l’annuncio di Prada, la nota azienda del lusso: «Apriremo quattro nuove fabbriche in Italia». Infine il botto: l’Ucimu, l’associazione dei produttori di macchinari, ha reso noto che nei primi tre mesi del 2014 la domanda di robot delle industrie italiane è salita dell’80%.
Ma, allora, che succede in Italia? Si torna a correre oppure dobbiamo continuare a dar retta alla negatività quotidiana: disoccupazione che aumenta, acciaierie che chiudono, monumenti chiusi ai turisti nei giorni di festa? È possibile invertire la narrazione della Grande Crisi Italiana? E ancora: la nostra società ha la forza di cambiare marcia? In questi giorni è stato il Censis (in collaborazione con l’Eni) a tentare di mettere in fila alcune risposte con un paper di 60 pagine intitolato: «Alla ricerca del Vigore». «Il vigore è tornato ma non è come quello impetuoso e adolescenziale di un tempo, oggi si esprime in modo frammentato, in alcuni territori oppure in alcune figure sociali come le donne che diventano imprenditrici in massa o che imparano a fare bricolage», sostiene il presidente dell’istituto di ricerca, Giuseppe De Rita. Per il Censis a muoversi non è solo l’economia perché le leve sulle quali l’Italia tenta di rimettersi in piedi sono molteplici anche se non fanno né sistema né notizia.
IL FATTORE D
Le donne, diceva De Rita. Come non vedere vigore nell’esercito di 1,4 milioni di donne (ma anche di 380 mila extracomunitari) che negli ultimi anni sono diventate titolari di impresa? E le donne, sempre loro, stanno reagendo alla crisi cambiando abitudini: in 1,2 milioni fanno piccoli lavori di casa secondo la nuova moda del multitasking. Anche i giovani e le famiglie sembrano essersi sganciati dal ”bamboccionismo” di qualche tempo fa tanto che 3,7 milioni di italiani con meno di 34 anni passano ogni anno un periodo di lavoro Oltralpe di almeno tre giorni e più di un milione di famiglie ha un figlio che resta all’estero per almeno tre mesi.
L’economia, comunque, resta lo spazio più ampio dove si esprime il nuovo vitalismo italiano. Solo che individuarlo è difficile. Perché? Su questo punto, semplificando, il De Rita pensiero è il seguente: l’Italia in passato è cresciuta prima con la grande impresa pubblica e poi con l’individualismo esasperato del "piccolo è bello". Ora però l’importanza dell’impresa pubblica è calata («Nessun manager privato è voluto andare ai vertici di Eni ed Enel nel recente ricambio») e il blocco delle partite Iva si è sbriciolato contro il muro della Grande Crisi. Per fortuna c’è un altro piatto della bilancia: nel 2013 in Italia ogni giorno sono nate 1.053 imprese contro le 1.018 che chiudevano i battenti. Non solo: oggi, ogni giorno, nel Bel Paese nascono almeno quattro start up, ovvero aziende che operano in settori innovativi o ad alto valore aggiunto spesso messe in piedi da giovani brillanti. E spesso, secondo i ricercatori del Censis, la molla che fa decollare i progetti è il «meticciaggio», ovvero la contaminazione e l’intreccio fra diversi modelli culturali e di impresa per cui l’agricoltore fa anche l’operatore turistico o tramite internet vende il suo formaggio in Australia e l’artigiano sfrutta le competenze informatico dei soci o del figlio.
I CENTRI
E allora come si fa a scovare questo neodinamismo sotterraneo? Il Censis ha definito un "indicatore del vigore economico" mixando i dati delle nuove imprese e del tasso di occupazione. Ne è emersa una mappa provinciale con molte sorprese: Prato è la prima area italiana per vitalità a quota 156 assieme alla Brianza. Al terzo posto c’è quella provincia di Livorno, quota 138, dove si trova l’acciaieria di Piombino a rischio chiusura. Dimostrazione evidente di quanto sia povero e superficiale il racconto dell’evoluzione dell’economia italiana. Meritano una segnalazione anche Pescara (127) e Terni, decima (113). Per il Censis infine forti segnali di vitalità arrivano da tutta l’area di confine che va da Bolzano a Trieste e, fra le grandi città, da Milano e Torino.
«Però a mio giudizio più che di vigore bisognerebbe parlare di resilienza - spiega il sociologo Aldo Bonomi - Il che vuol dire che gli italiani in generale, ma soprattutto una discreta quota di imprese, stanno mostrando capacità di riorganizzarsi dinanzi alle difficoltà. E’ un fenomeno a pelle di leopardo. Capita così che il distretto della pesca di Mazara del Vallo oppure quello friulano del prosciutto San Daniele stiano reagendo benissimo». Il segreto? L’export o meglio la capacità di sfruttare nuove "reti lunghe", ovvero fornitori e clienti distribuiti lontano dai territori tradizionali.
LE LEVE
«Circa il 40% dei mille soggetti imprenditoriali del nostro campione si sta ristrutturando silenziosamente ma a fondo e punta su capitale umano, nuovi prodotti e nuovi processi di produzione», è la buona notizia che porta un terzo sociologo, il direttore della triestina Swg Enzo Risso. «È un ottimo dato, si sta costituendo un sostanzioso nucleo di drivers con molte sorprese. In Sicilia, ad esempio stanno nascendo più nuove cooperative che in Emilia - prosegue Risso - Ma per ora l’Italia mantiene un comportamento ossimorico, al tempo stesso è vitale e timida».