Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 09 Venerdì calendario

FASCISMO, SESSUOFOBIA E WHISKY IL LATO OSCURO DEL GRANDE ERETICO


Il suo male oscuro poté essere superato grazie al mare profondo. Il tormento esistenziale e letterario dello scrittore Giuseppe Berto, nato un secolo fa a Mogliano Veneto, venne curato dal contatto con le acque del mar di Calabria, sulle cui sponde lui visse buona parte degli ultimi anni di vita. A ricordare questa e altre fasi della biografia dell’autore, tramite aneddoti, inediti e commenti, ci pensa il saggio di Pierfranco Bruni, Giuseppe Berto. La necessità di raccontare (Pellegrini, pp. 162, euro 15), presentato al Salone del Libro di Torino, insieme ad altre iniziative commemorative dello scrittore: tra queste, la performance teatrale La passione secondo noi stessi, l’«Omaggio a Berto» di De Michelis e D’Orrico e la conferenza «Centenario della nascita», promossa da Regione Veneto e Associazione Giuseppe Berto.
Il legame col Sud, come fonte di terapia medica e ispirazione creativa, risale anche alle origini dello scrittore e al suo rapporto complesso col padre. «Da Capo Vaticano in Calabria, dove aveva costruito il suo buen retiro», ci dice Bruni, «Berto poteva guardare la Sicilia, la regione del padre, e così, a distanza di tempo e di spazio, provare a riconciliarsi con lui». Non a caso il romanzo Il male oscuro, costruito sul senso di colpa che Berto prova verso la figura paterna, si conclude con l’immagine dello scrittore che guarda le luci della Sicilia, recuperando la serenità perduta.
Ma padre è anche patria, appartenenza alla nazione. E quell’identità Berto la visse profondamente, arruolandosi per due volte volontario, sotto il fascismo, prima nella guerra d’Abissinia e poi in Nord Africa. «Berto», continua Bruni, «non rinnegò mai quell’esperienza. Anzi, negli anni del dopoguerra, quando tutti fecero il ribaltone, lui rivendicava il suo profilo di non-antifascista». Di quella militanza restano pagine mirabili nel romanzo Guerra in camicia nera, in cui si manifesta la fede di Berto nella causa insieme a una «profonda avversione per le divise».
Berto fu dunque fascista, e fascista eretico. Così come fu cristiano eretico, insofferente ai dogmi del cattolicesimo. Alcune sue opere, come La gloria (romanzo che rivaluta la figura di Giuda), furono accolte con molte riserve nell’ambiente ecclesiastico. Eppure il cristianesimo restò un punto di riferimento costante nella sua narrativa e nella sua biografia, fino a incidere nella sua relazione con il sesso. «Per molti anni», rileva Bruni, «Berto ebbe un atteggiamento sessuofobico. Ne Il male oscuro la sessualità viene vissuta dal protagonista sempre con un senso di colpa, dovuto sia al timore del giudizio paterno che ai suoi valori religiosi. Berto, se non lo considerava un “male”, di certo riteneva “oscuro” il desiderio sessuale».
Solo in opere successive, come La cosa buffa e Anonimo veneziano, oltrepassò questa concezione, passando, senza più complessi, dal lettino dello psicanalista al talamo nuziale. Quella riscoperta permise allo scrittore di riafferrare e riaffermare un amore pieno per la vita e i suoi elementi. «Trasferendosi in Calabria, l’autore venne di nuovo in contatto con la natura e avvertì il suo richiamo ancestrale. Iniziò a rivalutare i profumi e i sapori della terra, ad assaggiare i cibi del luogo e a coltivare uno speciale amore per il ballo». In un libro, La fantarca, lo scrittore descrive ammirato i balli calabresi, osservando le persone scatenarsi nella danza «come tanti pagani devoti di Bacco». E adotta perfino il linguaggio della gente del posto: «Ballate bono, se no vi faccio ballare senza sono». Un dialetto che Berto userà anche ne Il brigante, il cui protagonista sarà proprio un calabrese, Michele Rende.
Riscoperta dei piaceri significò condividere, di Bacco, non solo le ebbrezze danzanti, ma anche il nettare. Nel libro di Bruni c’è infatti l’immagine di un Berto che sorseggia whisky dalla sua bottiglietta, per allentare la tensione in attesa della prima teatrale di Anonimo veneziano. Lo stesso whisky che il protagonista di quel romanzo beve per dimenticare il male che lo affligge. L’ennesima dimostrazione del tentativo di Berto di far combaciare vita e scrittura.
Il sommarsi dei due aspetti viene confermato da un inedito che Bruni pubblica nel suo libro: la lettera di Berto allo scrittore Francesco Grisi, che nel 1967 aveva fatto dell’autore di Mogliano Veneto il protagonista di un racconto, Lettere a Fedor. Berto apprezzò molto quel passaggio pirandelliano da autore a personaggio. «Il vedermi infilato in un tuo racconto mi ha divertito moltissimo», scrive a Grisi. «E mi ha divertito anche il leggero sfottò del mio stile che in un certo punto affiora. Se le cose vanno avanti così, divento davvero celebre». Quel racconto di Grisi in cui Berto è immaginato come uno scrittore in crisi creativa verrà ripubblicato entro l’anno da Pellegrini. Così come entro il 2014 verrà pubblicata da Aragno una sceneggiatura teatrale inedita di Berto, Imitazione di Cristo, a suo tempo censurata.