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 2014  maggio 09 Venerdì calendario

IL RITORNO DEL COMPAGNO G, SEMPRE FEDELISSIMO AL PARTITO

Andò così. Che quel bran­co di lupi che­erano i cro­nisti di Mani Pulite annu­sarono l’arrivo di un mandato di cattura sul fronte del Pds, e an­darono dal giudice Ghitti a chie­dergli: chi arrestate? E quello, si­billino: «Uno col nome che co­mincia per G». Nacque così la leggenda del «compagno G», il pomeriggio del 27 febbraio 1993. Prima ancora del suo arre­sto le cronache lo definivano «militante di scarsa fama ma di sicura fede». Due mattine do­po, lo arrestarono nel corridoio dell’ufficio di Ghitti. I cronisti si trovarono davanti un tipo «tar­chiato, un po’ sovrappeso, la barba brizzolata e il giubbotto sportivo gettato sulle spalle». «Li ha presi per sé o per il parti­to? », fecero in tempo a chieder­gli prima che lo portassero via. Lui non rispose. E nei ventun an­ni successivi ha continuato a non rispondere.
Adesso che in nome di una de­sol­ante ciclicità della storia itali­ca Primo Greganti è tornato in galera, sarebbe bello andare al­dilà del cliché che in tutti questi anni gli è rimasto addosso, il co­munista tutto d’un pezzo che si fa la galera senza cantare, e si im­mola per la causa incassando la condanna a tre anni di carcere. Ma come si fa? Ognuno è il mar­chio che gli cuciamo. Lui, il «compagno G», il suo marchio ha cercato in questi anni di scrollarselo di dosso in tutti i modi, sostenendo di non avere parlato solo perché non aveva nulla da dire, e che la vera storia di quei 621 milioni di lire girati sul conto«Gabbietta»da un ma­nager del gruppo Ferruzzi era davvero una storia tutta sua, pri­vata, soldi destinati a vaghi ap­palti in Cina e non a oliare il bu­rosaurico apparato di Botteghe Oscure. Ma chi ci crede, chi ci ha mai creduto? I primi a non crederci erano i militanti del partito, che quando dopo la scarcerazione lo incrociavano ai festival dell’ Unità si alzavano in piedi ad applaudirlo come un reduce se non un eroe.
Sono passati vent’anni, e lui non è cambiato. Ingrigito, anco­ra più cicciotto, questo sì. Ma sempre lì, dalla stessa parte, co­munista e poi diessino e poi pid­dino, fino alla intercettazione di questi giorni «adesso voto Renzi»,non c’è evoluzione o in­voluzione che non lo abbia vi­sto d’accordo; d’altronde lui è uno di quelli «che condividono le decisioni del partito prima an­cora che vengano prese» ( copyright Fortebraccio): ma forse anche questo è un cliché, e Greganti è semplicemente un signore con i piedi per terra, con­sapevole che l’unica speranza di sopravvivenza per il suo parti­to è andare avanti, svecchiarsi. Di questa necessità di sopravvi­venza fanno parte in fondo an­che le esigenze di cassa di cui lui si è sempre fatto carico, a costo di defatiganti trattative con i compagni della Germania De­mocratica e con Paola Occhet­to, sorella anch’essa baffuta del segretario del partito.
Greganti riappare lì dove lo avevamo lasciato, in quella ter­ra di nessuno che sta a metà tra la politica e il business, e che è il suo vero terreno di militanza. Nella sua Torino, dove si era spe­so pubblicamente per la campa­gna elettorale di Chiamparino, ultimamente lo davano attivo nel campo dei lampioni intelli­genti, che cosa siano esattamen­te non si sa, ma di sicuro vanno venduti alle amministrazioni pubbliche. Lui, a chi gli chiede­va quale fosse il suo lavoro, ri­spondeva: quello di sempre, consulenze, intermediazioni d’affari. E faceva capire che più che finanziare il partito gli stava a cuore oggi quadrare il bilan­cio familiare, reso traballante dalle sue irrequietezze. Ma al ri­chiamo della foresta, al fare da pontiere tra casse pubbliche e casse di partito o di area non si resiste:e cosa quindi meglio del­l’Expo, di cui nelle intercettazio­ni Greganti dimostra di sapere tutto o quasi tutto, e parla con precisione da tecnico di appal­ti, consorzi, partiti. Lo fa per se stesso, per la sua società che si chiama Seinco e che campa del­l’ 1 per cento sulle commesse che procura; ma in questo mo­do, dicono i pm, «rappresenta gli interessi illeciti delle coope­rative che rappresenta».
A conoscerlo, è un tipo simpa­tico che quando gli chiedi come è andata davvero la faccenda di Mani Pulite risponde: «Alla fine ho vinto io».