Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2014  maggio 09 Venerdì calendario

IL COMPAGNO G, IL COSTRUTTORE E IL RAS DELLA DC I PROTAGONISTI DI TANGENTOPOLI VENT’ANNI DOPO


MILANO — A volte tornano. O forse, non se ne sono mai andati. Primo Greganti, il Compagno G, quello dell’ormai indelebile conto svizzero Gabbietta, il comunista tutto d’un pezzo che davanti ad Antonio Di Pietro innalzò un muro di silenzio, smarcando l’allora Pci dal morso di Mani pulite. Si beccò 115 giorni di carcere preventivo senza fiatare e poi una condanna di 3 anni e 7 mesi per finanziamento illecito ai partiti (pena poi ridotta a 3 anni col patteggiamento). Gianstefano Frigerio, il ras lombardo indiscusso della Dc di via Nirone. Non c’era pratica che non passasse sul suo tavolo, condannato a sei anni e cinque mesi per corruzione, concussione e finanziamento illecito ai partiti, eletto parlamentare nel 2001 nelle file di Forza Italia sotto il nome «fittizio» di Carlo, consigliere fidato di Berlusconi. Enrico Maltauro, il patron vicentino dell’omonimo colosso delle costruzioni, che nel 1992 patteggiò una pena inferiore a un anno per episodi di corruzione legati agli appalti di Malpensa 2000 e per la realizzazione del collegamento tra Venezia e lo scalo aeroportuale Marco Polo.
Le lancette della storia sembrano tornare indietro di un ventennio. Gli stessi protagonisti, le stesse facce (invecchiate), le stesse storie che hanno imbastito la cronaca di Tangentopoli. La coazione a ripetere, l’eterno ritorno dell’identico con qualche piccola variazione ironica. Se prima, ognuno «lavorava» per conto del proprio partito o della propria azienda, adesso si «lavora» tutti assieme, senza scontentare nessuno, in un consociativismo che neanche la Prima Repubblica poteva lontanamente immaginare. Destra e sinistra unite per il lavoro.
Vite sommerse per due decenni quelle di Greganti e di Frigerio. Con qualche sprazzo che oggi appare surreale. «Il problema — diceva il granitico Compagno G, 70 anni, in un’intervista all’Unità del 2012 — è che la questione morale non si può affrontare ogni vent’anni e solo per un po’ (il riferimento è a Mani pulite, ndr). La tensione morale va coltivata ogni giorno». Sempre, direbbero i maligni, che non intervenga qualche piccola amnesia intermittente. Di più. «Mani pulite è stata un’occasione sprecata». Un concetto che evidentemente aveva coltivato da anni se nel 2008, in un’intervista al Corriere della Sera , diceva: «Vedo che pure nel Partito democratico l’etica è diminuita. L’attenzione alla morale pubblica cala. Invece abbiamo bisogno di più morale pubblica. Più attenzione nella scelta delle persone. Più rinnovamento, a costo di buttare a mare qualcosa e qualcuno». Di Greganti, jesino di nascita, torinese di adozione, si conosce molto di più l’ante-Tangentopoli che il post. Operaio alla Fiat, primi incarichi nel Partito comunista fino all’ingresso nella segreteria della Federazione di Torino e alla collaborazione con la direzione nazionale. Continua a ripetere la sua innocenza per i fatti degli anni ‘90. Ha avviato una nuova attività di consulenza industriale, si occupa di servizi sociali, non ha mai smesso di interessarsi di politica aderendo prima al Pds e prendendo poi la tessera del Pd. Di lui, si disse anche che aveva intrapreso una fruttuosa operazione di intermediazione immobiliare nella Cuba di Raul Castro.
Frigerio, 73 anni, nel suo blog fermo al 2012, parla di sé in terza persona: «Negli ultimi anni (dal 2007) è andato sempre di più allontanandosi dalla politica attiva, scegliendo impegni di studi storici e politologici. Svolge (a partire da 2006) il ruolo di Membro del “bureau politique” del Ppe, con sede a Bruxelles. E in tale veste la sua attività e i suoi impegni lo distolgono sempre di più dalla vita politica italiana». Non del tutto, secondo i magistrati milanesi. E anche secondo la sua agenda. Per lunedì era previsto un convegno organizzato dal suo centro culturale «Tommaso Moro» (finito al centro della nuova inchiesta) all’Istituto dei Ciechi sul «Rapporto tra medico e paziente». Un circolo molto attivo quello dedicato all’autore de L’Utopia, con la sede operativa a Cernusco sul Naviglio (di cui Frigerio è stato sindaco), ma con degli uffici anche a Milano, poco distante da piazzale Loreto e dalla Stazione Centrale. Era lì che Frigerio incontrava i suoi referenti e da lì sono passati tanti politici, dirigenti sanitari, imprenditori. Forse, di utopico c’era poco, anche se proprio all’Utopia, Frigerio aveva dedicato un suo scritto politico, «Europa, ricostruire l’utopia» in cui, con un certo realismo e notevole conoscenza, riconosceva «il declino del fondamento etico e sociale del capitalismo occidentale». Uomo di grande influenza, refrattario alla tecnologia: niente email, niente cellulare, molto meglio biglietti vergati a mano o fax. Ascoltato e riverito dallo stesso Berlusconi che nel lontano 2001 lo volle a tutti i costi in Parlamento.C’era però un problema. Per i milanesi era l’immarcescibile Gianstefano Frigerio, segretario lombardo della Democrazia cristiana dei tempi andati, della Milano da bere delle mazzette e della corruzione. Che fare? Frigerio venne spedito in Puglia, nelle liste di Forza Italia per il proporzionale. Per «sicurezza», anche se sconosciuto a gran parte dell’elettorato pugliese, si decise di utilizzare nelle liste e nei manifesti il suo secondo nome. Gianstefano divenne Carlo. E con quel nome venne eletto.
Due vite parallele con più di un incrocio premonitore. Non solo le tangenti. Sia Greganti sia Frigerio sono stati affidati ai servizi sociali dopo le varie condanne. «Non potevo uscire di casa prima delle sette, non potevo rientrare dopo le nove di sera, dovevo muovermi soltanto per lavoro, non potevo abbandonare la provincia di Torino — racconta Greganti —. E tutte le notti i carabinieri venivano a suonare il campanello e io dovevo andare a farmi vedere». Va meglio a Frigerio: nel 2002 ottenne l’affidamento in prova ai servizi sociali che gli permise di recarsi in Parlamento quattro volte al mese, di mantenere il seggio e l’indennità.
I due, alla fine si sono incontrati e le loro personali biografie sono finite nei brogliacci dei magistrati. Sono datate 2014. Ventidue anni dall’arresto del «mariuolo», Mario Chiesa. Ma non è il futuro che arriva, è il passato che ritorna.