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 2014  maggio 09 Venerdì calendario

PER RISANARE POMPEI È SCESO IN CAMPO UN GENERALE. PRONTO A DIFENDERE 105 MILIONI DI EURO DA BUROCRAZIA E CRIMINALITÀ


È un generale in borghese, quello che si aggira fra le vestigia di Pompei, perlustrandole con lo sguardo. E ascoltando anche i commenti dei turisti, che a domanda gli rispondono, ignari del suo ruolo. Non è l’abito che fa il monaco, direbbe lo stesso Giovanni Nistri (romano, 62 anni) che nel suo discorrere ama di tanto in tanto intercalare citazioni (anche prendendole in prestito dai nostri migliori cantautori). A Pompei (città di morti che ogni giorno diventa città dei vivi, con afflussi che a Pasquetta hanno toccato i 15.867 ingressi, 40% in più rispetto al 2013) è entrato un generale dei Carabinieri che, solo apparentemente, ha lasciato a casa la divisa (il suo ruolo di direttore generale del Grande Progetto Pompei non la prevede). Ma lui, i gradi, li ha “cuciti” sulla pelle. Pompei non è stata “militarizzata” (il ruolo assunto dal generale non riveste alcuna natura di ordine pubblico o di sicurezza), ma necessita di essere tenuta sotto stretta sorveglianza, specie dopo il furto del volto della dea Artemide asportato da un affresco. Un guanto di sfida. Ma Nistri (forgiato dal lavoro sul campo in Calabria quando era comandante provinciale di Cosenza dal 1994 al 97), si avvale di una task force, di cui fanno parte anche ufficiali dei Carabinieri. Nel Grande Progetto Pompei (Gpp) il capitolo del rafforzamento della sicurezza tecnologica prevederà, laddove possibile, telecamere anche nelle domus, per scoraggiare i predatori di “souvenir”. La nomina a direttore generale gli è capitata tra capo e collo, quando l’8 dicembre si trovava a Berna per festeggiare con la moglie i trent’anni di matrimonio. «Nessun sentore che pensassero a me, oltretutto estraneo alle dinamiche della politica», commenta. «Ma se lo Stato chiama io non mi tiro indietro, fa parte della mia cultura». Mamma casalinga, padre funzionario dell’Automobile Club d’Italia, nessun carabiniere in famiglia prima di lui. «Al tempo delle scelte, mi era parsa la via giusta, seguendo principi come la serietà, l’onestà, la correttezza, pilastri della mia educazione». Quindi il liceo scientifico a Napoli alla Nunziatella, poi l’Accademia a Modena, la Scuola ufficiali a Roma. Tre lauree in città diverse (Giurisprudenza a Trieste, Scienze politiche a Siena e Scienza della sicurezza a Roma). L’arte è entrata a far parte della sua carriera militare quando, dal 2007 al 2010, resse il comando dei Carabinieri per la Tutela del patrimonio culturale. Ma, ancora prima, nel 1981, nella magnifica Urbino (di cui è cittadino onorario e dove sua moglie è nata) ebbe modo di irrobustire l’interesse personale per gli antichi maestri. «Comandare la compagnia di Urbino fu il mio primo incarico territoriale. Arrivai a pochi anni di distanza dal ritrovamento dei quadri di Piero della Francesca e di Raffaello rubati dalla Galleria nazionale delle Marche, uno dei primi grandi successi del Comando tutela patrimonio culturale», ricorda.
E adesso, generale, se la sente di dar battaglia per Pompei? Che mezzi ha a disposizione? Visti i compiti che le affida la legge del Grande Progetto Pompei, sembra un “salvatore della Patria”. «Non mi considero un miles gloriosus, si tratta piuttosto di fare il proprio lavoro nel modo più coscienzioso possibile, e per svolgere questo compito riceverò un’indennità lorda annua di 29mila euro. La legge indica che io possa avvalermi di cinque esperti in materie specifiche (economiche, giuridiche, urbanistiche, architettoniche, infrastrutturali, ciascuno di loro beneficerà di un compenso lordo di 40mila euro), di venti unità che fanno parte di una struttura di supporto, più altre dieci per quella destinata a un piano straordinario di riqualificazione, di quell’area vasta che va da Portici a Stabia». È una zona intricatissima (ma d’interesse Unesco), mosaico anche di orrori urbanistici. E quel progetto pare un miraggio. «Non si può “imporre” un piano, questo presuppone necessariamente la collaborazione interistituzionale, deve tenere conto degli interessi della popolazione, delle esigenze espresse da Regione, Provincia e Comuni e può anche innestarsi su altri piani o fondi già esistenti. Spesso il problema è il non avere chiaro su che cosa investire». Non dovrebbe essere però la Regione Campania ad avocare a sé questa parte del Piano? «Svolge un ruolo insostituibile, ma la legge ha previsto che il direttore di progetto sia propositivo». E dove trovare i fondi? «Possono concorrere finanziamenti privati e investimenti pubblici». Che idea aveva di Pompei prima di assumere questo incarico e ora che si ritrova in trincea? «Non si può escludere la criminalità in nessun settore o territorio, specialmente là dove ci sono molti soldi, e ci siano in ballo appalti e una supremazia territoriale. In questo senso la trincea è ovunque si debbano spendere soldi pubblici per opere pubbliche», dice Nistri. «Bisogna cercare di operare rispettando quel protocollo di legalità che è uno dei parametri fondamentali del Grande Progetto Pompei. Discernendo ciò che è burocrazia da ciò che è garanzia di trasparenza. La soglia è sottile. Quando si aggiudica provvisoriamente una gara, sul primo e sul secondo classificato si acquisisce la documentazione di riscontro anche da altre pubbliche amministrazioni, tra cui quella antimafia. È burocrazia o controllo di legalità? Occorre piuttosto accelerare i tempi di acquisizione di tali documenti. Questo del resto è il senso del nuovo sistema attivato dall’Autorità di vigilanza dei contratti pubblici, che consentirà, per esempio, di acquisire, in via telematica, gli esiti del casellario giudiziario in pochi giorni, anziché aspettare magari mesi». Ma se una ditta fa un ribasso al 60%, già questo dovrebbe essere la spia di qualcosa di fraudolento. «In realtà una tipologia di gara che assicura la massima trasparenza è proprio quella dell’aggiudicazione al massimo ribasso, previsto dalla legge. Però poi ci sono delle valutazioni delle soglie di anomalia, verificate da una commissione». Ma la normativa comunitaria, che regola il principio della concorrenza, non prevede l’esclusione automatica della ditta che ha fatto un eccessivo ribasso. Però da due anni, a Napoli, c’è un prefetto dedicato alle sole pratiche di Pompei (oggi è Silvana Tizzano).

Un piano in cinque punti. Il Gpp è articolato in cinque settori. Piano delle opere (85 milioni di euro) per la messa in sicurezza di tutto il sito, la riduzione del rischio idrogeologico e anche il restauro architettonico e decorativo delle domus. Piano della conoscenza (8,2). Piano della sicurezza, comprensivo della video-sorveglianza perimetrale dei 2,5 chilometri e di alcune domus (2 milioni). Piano della fruizione e della valorizzazione (copertura wi-fi, segnaletica museale, percorso disabili... 7 milioni di euro), Piano della capacità di sviluppo (2,8 milioni). Il sito può contare anche su un introito annuo di circa 20 milioni derivante dalla bigliettazione (2,4 milioni di visitatori), e ha sempre avuto a disposizione parecchi soldi, spesso scialacquandoli come nel caso di quei 102.963 euro spesi per il censimento dei cani randagi. E ora c’è un “forziere” in cui sono giacenti 105 milioni di euro (77,9 è il contributo della Ue, i restanti 27,08 arrivano da fonti nazionali pubbliche o equiparate). «Non c’è una “banca” alla quale io possa attingere. Quei soldi sappiamo solo di averli a disposizione per tutti i progetti che riusciremo a portare a termine. E saranno erogati a rendicontazione finale entro il 31 dicembre 2015. Ma se non saranno state esperite tutte le procedure previste dalle direttive europee non li vedremo mai, quindi bisogna essere ligi», avverte il generale Nistri. Siamo a una corsa contro il tempo per riuscire ad agguantare quei fondi, sappiamo bene che l’Italia ha il viziaccio di lasciare in Europa milioni di euro non spesi. A volte, dal bando di gara all’aggiudicazione definitiva sono intercorsi 15 mesi, prima di poter aprire un cantiere. I progetti riguardanti le opere portati all’attenzione della Ue (che ha approvato un piano complessivo) erano 39 poi passati a 55, tra il 2011 e il 2013. Ma scorrendo il Piano delle opere ci sono, per ora, sei cantieri attivi sul sito, più il collaudo della Casa del Criptoportico (che ha sollevato polemiche circa la congruità del restauro). E poi sei gare aggiudicate definitivamente. Un’altra gara in corso, cinque di prossimo bando, tre progetti in lavorazione. Nel frattempo, da poco, sono state riaperte le domus di Trittolemo, Romolo e Remo, e di Marco Lucrezio Frontone. Che ruolo hanno gli archeologi nel Grande Progetto Pompei? «Fondamentale. L’azione non può che svolgersi in piena concordanza con la Soprintendenza. La tutela archeologica spetta a questa istituzione, come la scientificità dei progetti presentati». E senza questi, ovviamente, non si possono bandire le gare.
Certo quelle che rimangono sono le “rovine delle rovine” (nel 1740 il primo disseppellimento) come già scriveva uno storico nel 1824. Per questo oggi si deve scongiurare il pericolo di vedere “le rovine delle rovine delle rovine”. Pompei è un organismo delicato. Già minato, intorno all’89 a.C, dall’attacco delle macchine da guerra dei Romani, usate per sedare l’insurrezione della città (di origine sannitica ma ellenizzata, e diventata infine colonia romana). Poi da cause naturali, come il primo terremoto del 62 a.C (fino all’ultimo, quello dell’Irpinia nel 1980), l’eruzione del Vesuvio (79 d.C) e, nel 1943, le 150 bombe (lanciate dagli aerei alleati) che caddero sul sito, distruggendo domus e parte del Foro, e poi anche l’Antiquarium con i suoi 1378 reperti ritrovati. Danno irreparabile allo studio della storia di Pompei. Entriamo nel cantiere della domus del Marinaio, colpita dalle bombe che distrussero colonne e anfore. Da qui nei giorni di sole si vede anche Capri. Poi ci dirigiamo verso la domus di Marco Lucrezio Frontone, personaggio tra i più rilevanti della vita politica della città. «Fuori dalla sua casa c’erano persino i manifesti elettorali», dice il soprintendente (nominato il 4 marzo), Massimo Osanna (lucano, 51 anni), docente, per l’anno 2013 visiting professor presso l’ecole Normale Supérieure di Parigi. «Una casa di 460 metri quadrati, piccola rispetto alle dimensioni di altre che raggiungevano anche i 3mila, ma qui le dimensione più anguste sono compensate dalla ricchezza e bellezza delle pitture parietali». Da una parte Narciso che vede la sua immagine riflessa, dall’altra la raffigurazione di una giovane figlia che nutre al seno il vecchio padre imprigionato per non farlo morire di fame. Il peristilio del giardino è affrescato con animali esotici. «Una tipologia di giardino molto di moda in età ellenistica, e che i romani appresero dopo la conquista dell’Asia». Ma ancora pochi visitatori sanno della riapertura. «Questa domus è stata quasi sempre inagibile, salvo brevi riaperture, per via di problemi statici, ora risolti». Sopra alle nostre teste, una brutta travatura in cemento armato sostiene una porzione di tetto. «Oggi non si farebbe più, ci sono materiali nuovi e si usa anche molto il legno». Perché non sostituirla? «Quando non ci sono problemi statici i restauri si lasciano come sono. Tutte le coperture fatte tra gli Anni 60/70 sono in latero-cementizio, molti crolli dei solai avvenuti in passato erano restauri vecchi».

Sorvegliati dal satellite. Il 28 aprile si è chiuso il bando di gara del Piano della conoscenza. Ma come si fa a non averlo improntato e avviato prima? Se non conosci pienamente lo stato di un’area (66 ettari, 44 già scavati, i restanti 22 rimarranno sepolti) che ha serie problematiche, non governi la situazione. «Non è mai stato fatto un lavoro sistematico di raccolta di tutti i dati. L’obbiettivo oggi è quello di creare un sistema informativo perfettamente integrato. Monitoraggio e sopralluoghi non sono mai mancati, c’è una banca dati grazie alla quale è stata elaborata una carta dei rischi (l’ultima nel 2011)». Quest’autunno dovrebbe partire una sorveglianza anche da satellite con sensori installati sui fronti non ancora scavati, oltre che sui muri più alti (in collaborazione con Finmeccanica). «Alla mia Soprintendenza manca un dirigente amministrativo. Con il poco personale che si aveva finora non si riusciva a tenere testa a tutti i progetti e all’avvio dei cantieri, ma da poco sono stati assunti 13 giovani archeologi e otto architetti», dice Osanna. «Poi stiamo cercando un’ubicazione dove fare un Antiquarium, e mi piacerebbe riallestire alcune domus con copie degli arredi antichi». Forse è meglio non fare una fantasy world, diranno i puristi.
Il termine “patrimonio dell’umanità”, titolo onorifico dato a monumenti di speciale rilevanza, può sembrare astratto finché non si vedono le migliaia di turisti che affollano Pompei, in cerca di rivivere un passato. La mostra che l’anno scorso il British Museum dedicò alla vita e alla morte a Pompei ed Ercolano totalizzò più di 471mila visitatori, mentre il documentario realizzato dal museo, e proiettato in mille cinema di 51 Paesi del mondo, è stato visto da quasi 90mila spettatori. Ma è a fine Settecento che ha inizio la mitizzazione di Pompei. In una sua mappa del 1780 Piranesi documentò l’impresa di scavo. Un grande contributo lo diede l’architetto francese François Mazois che, nel 1809, per primo, cominciò a fare i rilievi di tutte le rovine e a disegnarle, un’impresa che gli valse la nomina di disegnatore di corte, per volontà della regina Carolina Murat. Con la diffusione della sua opera Le rovine di Pompei, Mazois cominciò a far conoscere il sito da un punto di vista storico-scientifico in Europa.