La Stampa 9/5/2014, 9 maggio 2014
I VERI MALI DELLA SCUOLA
Ho letto con una certa amarezza l’articolo di Luca Ricolfi di ieri relativo ai mali della scuola e ai test Invalsi; lo interpreto, almeno nella sua parte finale, come l’ennesimo attacco agli insegnanti che concedono maturità e licenze medie ad allievi carenti in numerose discipline che nonostante tutto vengono promossi.
La domanda è: come mai è stato permesso che succedesse tutto questo? Di fronte alla dilagante ignoranza, la ricetta è semplice: per evitare questo sfacelo «basterebbe che gli insegnanti rispettassero i programmi e non abdicassero al loro ruolo» (così recita l’articolo).
Rispettare i programmi? Faccio un esempio, il mio: prima che prendesse il via quest’ultima folle riforma fatta come tutte le precedenti senza alcuna logica ma solo per ottemperare al programma di tagli imposto dal Ministero, avevo a disposizione 9 ore nel triennio per insegnare la mia materia e ho sempre cercato di «obbedire» ai programmi con un discreto risultato. Adesso ho 4 ore nel biennio e il programma ministeriale mi chiede di svolgere le stesse cose di prima. Possibile?
Sa invece secondo me qual è il male maggiore della scuola? È che tutti, Lei compreso professore, mi scusi, pensano di sapere sempre ciò che si può o si deve fare, e quindi ognuno ha la sua ricetta magica che naturalmente è infallibile.
A me piacerebbe che ognuno di voi che scrivete, parlate, decidete per gli altri, veniste a vedere che cosa c’è in un’aula: il ragazzo con le crisi di panico, l’allievo che arriva pieno di lividi per le botte in famiglia, il cinese (o l’indiano, il rumeno, il marocchino) che arriva a metà anno senza sapere una parola di italiano (e che deve essere inserito, seguito, aiutato...), il disabile senza sostegno e altro ancora... Fondi da destinare a queste criticità? Zero.
Questo è il nostro quotidiano e tutti noi cerchiamo di fare il massimo, o il meglio possibile, e siamo coscienti che ci sarebbe tanto da migliorare, ma non abbiamo poi tante alternative: possiamo scegliere se seguire i programmi o cercare di far crescere le persone. Io credo che un ragazzo che crede in sé sia una conquista maggiore un vantaggio per la comunità.
Gabriella Bertero, insegnante da trent’anni in un istituto professionale