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 2013  aprile 30 Martedì calendario

GOMORRA FICTION

«Ma si vedrà anche una Napoli che non è di Gomorra e di camorra?». Al termine della proiezione dei primi due episodi della serie tratta dal bestseller di Roberto Saviano, in onda su Sky Atlantic HD dal 6 maggio, la domanda polemica viene curiosamente posta da un giornalista tedesco. E un’altra giornalista, italiana ma che lavora per una radio tedesca, aggiunge la sua «preoccupazione, perché francamente nella fiction vedo dei personaggi negativi che, soprattutto da parte di giovani spettatori, possono essere vissuti come esempi di coraggio, di forza, di “ficaggine”... degli esempi da imitare». Ma il vice presidente programmi Sky Andrea Scrosati minimizza: «Empatia con i personaggi di “Gomorra”? Se qualcuno dovesse provarne ha qualche problema personale ed è bene che si faccia visitare».
Insomma, ci risiamo. Dopo la tormenta di polemiche che accompagnò «Romanzo criminale», ora tocca a «Gomorra». «Sì, ma mentre “Romanzo criminale” era un film e poi una serie in costume — spiega Riccardo Tozzi di Cattleya che, insieme a Sky, Fandango e Beta Film produce la fiction — e quindi potevamo permetterci certe licenze, perché ci riferivamo al passato, a un capitolo chiuso della criminalità romana, in questo caso raccontiamo il male senza compiacimento, la realtà attuale che non può suscitare alcuna mitizzazione o emulazione. In questa serie — aggiunge — descriviamo il “vero” non declinato in un linguaggio didascalico e con quel facile sociologismo che è la palla al piede di certe fiction, dove c’è sempre un commissario buono che combatte il male. Qui il male viene rappresentato con un linguaggio diretto e non credo che a qualcuno possano piacere certi clan camorristi. Sarebbe come guardare il “Padrino” e pensare: che bello, anche io vorrei una famiglia così».
Ma il problema evidentemente esiste se anche Saviano, in un videomessaggio, sente la necessità di affermare che «guardare “Gomorra” e poi emulare le gesta dei personaggi è profondamente improbabile, per una ragione: quei fatti già avvengono. Quei personaggi sono raccontati così come sono, con tutto l’apporto violento delle loro contraddizioni. Non sono uomini visti nel loro momento trionfante, ma nella loro miseria, nell’inferno delle loro vite. Guardare alle serie televisive come ad un ufficio stampa del male — insiste — è uno sguardo un po’ superficiale. Possono al massimo dare spunti a chi ha già scelto di essere un criminale. Il film non può mai essere un’educazione al crimine». Quanto poi alla scelta di girare la serie tv proprio a Scampia, che aveva sollevato risentite proteste da parte degli abitanti onesti del quartiere (che «non merita di essere nuovamente denigrato per interessi personali ed economici di pochi», è tornato ieri sulla questione Angelo Pisani, presidente dell’Ottava Municipalità di Napoli) Saviano risponde: «Girare a Scampia era fondamentale, perché Scampia è protagonista, è un attore, è il Dna della serie. Io sarei colui che diffama quel territorio? Centinaia di morti ammazzati per la faida. Un’organizzazione violentissima. Voti comprati. La più grande piazza di spaccio del mondo occidentale. E sarei io il diffamatore? Mi sembra un’aberrazione, però va anche detto che c’è una parte per bene di Scampia, che è la parte sana. A loro dico che queste storie, portando attenzione su queste contraddizioni, portano risorse per affrontarle» .
Intanto la serie è già stata venduta in quasi 40 paesi, tra cui gli Stati Uniti. Un kolossal di 12 episodi, firmato da tre registi (Stefano Sollima, Francesca Comencini, Claudio Cupellini)e da un plotone di sceneggiatori capeggiati da Stefano Bises, che ha per protagonista il clan dei Savastano, nella fiction una delle organizzazioni criminali più potenti e influenti del territorio napoletano. A capo della famiglia, don Pietro (Fortunato Cerlino), sua moglie Imma (Maria Pia Calzone), il figlio Genny (Salvatore Esposito) e sopratutto l’ambizioso e fedele luogotenente Ciro (Marco D’Amore).
Dice Sollima: «È un affresco composito di storie e personaggi che si intersecano». Si raccomanda Scrosati: «Ognuno ha il diritto di criticare e polemizzare come vuole. Ma non vi fermate ai primi episodi! Perché bisogna vedere come evolve la narrazione e come quei personaggi, che all’inizio appaiono in un modo, vengono poi rappresentati... e come finiscono» .