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 2014  aprile 22 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - FIDUCIA SUL DECRETO LAVORO


Sul decreto lavoro il governo alla fine è stato costretto a mettere la fiducia. La decisione è stata formalizzata dopo il vertice di maggioranza convocato in extremis in tarda mattinata e a cui hanno partecipato anche i ministri Giuliano Poletti e Maria Elena Boschi. E la stessa Boschi l’ha posta ufficialmente in Aula a nome dell’esecutivo: «Chiediamo il voto sul testo uscito dalla commissione senza articoli aggiuntivi e senza emendamenti». Il voto è previsto per il pomeriggio di mercoledì: alle 13.30 inizieranno le dichiarazioni di voto; la prima «chiama» è invece prevista alle 15.20. Il voto finale sul decreto sarà invece giovedì.
La «resa» alla fiducia
La decisione di ricorrere al voto di fiducia è arrivata dopo le forti polemiche degli ultimi due giorni e alle prese di posizione di Nuovo Centrodestra e Scelta Civica: i due principali alleati del Pd, contrari ai cambiamenti al testo originario approvati con gli emendamenti di venerdì, hanno evidenziato una frattura profonda nella coalizione che sostiene Matteo Renzi. Esternazioni pesanti soprattutto da parte degli alfaniani, dalle quali è scaturita la necessità di fare chiarezza sulle diverse posizioni. Il vertice non ha però sciolto i nodi e tutto è stato dunque rimandato all’Aula. La fermezza dell’esecutivo sembra per ora avere dato i suoi frutti: prima Scelta Civica poi l’Ncd hanno fatto sapere di essere pronti a votare a favore, annunciando però battaglia sui contenuti quando il testo approderà al Senato.
Il «muro» del Nuovo Centrodestra
Erano stati gli esponenti di Ncd, in particolare, ad usare toni perentori e a fare muro contro le modifiche introdotte. Fabrizio Cicchitto, ad esempio: «Noi non lo votiamo. Al momento non c’è accordo sul decreto». O Maurizio Sacconi:«Chiediamo il ripristino sostanziale delle semplificazioni ai contratti a termine e di apprendistato perché siamo convinti che esse sono essenziali per incoraggiare la maggiore occupazione». O, ancora, Roberto Formigoni: «Repetita juvant: il provvedimento sul lavoro presentato alla Camera con gli emendamenti del Pd è invotabile, la fiducia Ncd non la vota!». Invece la voterà. A confermarlo è l’ex ministra Nunzia De Girolamo: «Voteremo la fiducia alla Camera ma non rinunciamo a dare battaglia al Senato per difendere il Dl Poletti». A Palazzo Madama i numeri sono più ristretti e quindi il potere contrattuale dei centristi potrebbe essere maggiore.
I malumori interni
Ma Renzi dovrà fare i conti anche con i malumori interni al suo stesso partito: «C’è un grande dibattito sul decreto lavoro tra Ncd e Pd - fa notare Pippo Civati, leader della minoranza interna al Pd- . Il bello è che non vanno bene né la proposta dell’uno né il tentativo di mediazione dell’altro». E ancora: «Il decreto non va bene comunque, peccato che si voglia insistere. È peccato si faccia tanto rumore per indebolire ancora di più i lavoratori più giovani». Ma in mattinata il ministro dell’Economia, Pier Carlo Padoan, era tornato a difendere il decreto: «Accelera il beneficio in termini di occupazione della ripresa che si sta consolidano».
«Non c’è più maggioranza»
Lo scontro nella maggioranza fa insorgere l’opposizione. «È una fiducia per rinviare al Senato modifiche che non si conoscono - tuona il capogruppo di Forza Italia, Renato Brunetta - e quindi per insabbiare nel porto delle nebbie che e’ ormai diventato il Senato». «Tutto si insabbia al Senato - sottolinea l’ex ministro di Berlusconi -: l’Italicum è al Senato, la riforma del Senato e del Titolo V è al Senato, il decreto Poletti si insabbierà in Senato. Ma fino a quando?». E ancora: «Mettere la fiducia con i numeri di maggioranza potenziale alla Camera è veramente un’indecenza. Il che vuol dire che non c’è più la maggioranza». Dalle fila del Movimento 5 Stelle Riccardo Fraccaro invece annuncia: «Sarà un Vietnam»
Le modifiche contestate
Le modifiche più contestate del nuovo testo sono la riduzione delle proroghe consentite per i contratti a tempo in 36 mesi, che passano da 8 a 5, e l’obbligo per le imprese con oltre 30 dipendenti di assumere il 20% degli apprendisti. Gli altri emendamenti riguardano la conferma e l’ampliamento del diritto di precedenza per i lavoratori e lavoratrici in maternità con contratto a termine nelle future assunzioni a tempo indeterminato con la stessa mansione. Per quanto riguarda l’apprendistato, viene ripristinata una quota di formazione pubblica, la redazione scritta del piano relativo alla formazione «on the job» da inserire nel contratto di assunzione.

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PAOLO BARONI
Ci risiamo col voto di fiducia. Anche il decreto lavoro verrà “blindato” dal governo. Del resto in attesa che la riforma costituzionale smantelli il bicameralismo perfetto e garantisca tempi certi all’approvazione delle leggi del governo, ad oggi non c’è altra strada per marciare veloci e portare a casa i risultati e le leggi che ci si prefigge.
E’ sempre una forzatura, perchè in questo modo si tagliano gli spazi di intervento del Parlamento, e il voto sul testo uscito dalle commissioni (come vuole la prassi) resta sempre un contentino, ma spesso non c’è altra strada. Tanto più che la maggioranza che sorregge il governo di turno, come quella di Renzi (ma non è stato diverso per Letta e per Monti, ma neanche per Berlusconi e Prodi nelle fasi più delicate dei loro governi), deve tenere assieme le posizioni di due ex ministri del Lavoro come Maurizio Sacconi dell’Ncd ed il laburista Cesare Damiano, che su questi temi sono agli antipodi tra loro. E infatti il decreto, che oggi è approdato alla Camera, in commissione ha recepito le richieste dell’ala sinistra del Pd, mentre in aula rischia il veto degli alfaniani. Anche per questo a Renzi non resta altro che blindare il decreto, che riscrive solo in parte le norme della legge Fornero concedendo alle imprese un po’ più di flessibilità.
Gesto di debolezza? Tutt’altro. Realismo semmai, voglia di tirar dritto andando “avanti come un treno” come ha proclamato l’altro giorno il presidente del Consiglio. Poi semmai, quando l’Italia diventerà davvero un Paese normale, il governo avrà una maggioranza coesa, ci sarà una sola camera che sforna le leggi ed i decreti saranno davvero riservati ai provvedimenti urgenti sarà tutta un’altra storia.

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È braccio di ferro all’interno della maggioranza sul decreto lavoro: per la sinistra del Pd si rischia un eccesso di precarietà. Secondo Ncd, invece, la flessibilità non è sufficiente.
Ecco le misure in pillole
- I contratti a tempo determinato senza causale potranno essere rinnovati fino a un massimo di cinque volte nell’arco di tre anni. Prima dell’ultimo passaggio in commissione, le proroghe possibili erano addirittura otto.
- La misura è pensata per evitare che i giovani assunti con contratto precario vengano lasciati a casa anche se c’è bisogno di loro. L’azienda sarebbe pronta a confermarli, ma non se la sente di procedere a un’assunzione a tempo indeterminato. Il sindacato teme che una regolamentazione fatta così incoraggi il precariato.
- Il congedo di maternità sarà conteggiato ai fini del diritto di precedenza. Alle lavoratrici è riconosciuto il diritto di precedenza nelle assunzioni a tempo determinato effettuate dal datore di lavoro entro i successivi 12 mesi. I contratti a tempo determinato potranno raggiungere il massimo del 20% rispetto al numero dei lavoratori assunti a tempo indeterminato con la sanzione, per chi non rispetta la regola, dell’assunzione a tempo indeterminato.
- Sempre dopo il passaggio in commissione, è stato reintrodotto (non nelle microimprese) l’obbligo di confermare almeno il 20% degli apprendisti al termine del periodo di pratica prima di procedere con l’assunzione di nuovi. Prima del passaggio in commissione non c’era nessun limite. Ripristinato anche se in forma semplificata l’obbligo di scrivere nel contratto il piano formativo dell’apprendista.
- Anche in questo caso, il sindacato teme che le aziende preferiscano ricominciare da capo con un nuovo apprendista (e con gli sgravi fiscali connessi) piuttosto che confermare una persona più formata ma più costosa. L’agevolazione, sostengono, finirebbe per sfavorire i giovani.