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 2014  marzo 18 Martedì calendario

APPUNTI PER GAZZETTA - I TAGLI DI COTTARELLI


ROMA - Matteo Renzi si tiene sul vago per evitare quei contraccolpi che potrebbero rallentare l’operazione. Ma i numeri dei risparmi sulle spese militari ci sono già. A partire dai contestati cacciabombardieri F35, per i quali il governo vuole dimezzare il piano ereditato dal passato: non più 12 ma 6 miliardi di euro da spendere nell’arco di 12 anni, non più 90 ma 45 aerei, con un risparmio previsto di mezzo miliardo l’anno. Nessuna uscita dal programma, dunque, ma una corposa rinegoziazione visto che il numero dei caccia non è fissato da alcun contratto.

Gli F35 sono al primo posto della lista, anche per il loro valore simbolico, per la presa che una mossa del genere potrebbe avere sull’elettorato di sinistra e del Movimento 5 Stelle. Ma nell’elenco dei tagli ci sono altre voci importanti, magari meno scenografiche eppure fonte di grandi risparmi. È il caso di «Forza Nec», il progetto per il cosiddetto soldato digitale. Semplificando molto si tratta dello sviluppo di un sistema che tiene connessi i militari in missione, abbattendo i tempi di comunicazione. L’intenzione del governo è di sospendere il piano, in attesa di capire come gli altri Paesi svilupperanno progetti analoghi. E con l’ipotesi di sviluppare un unico programma europeo.

Tra le idee c’è anche la dismissione e la vendita della portaerei Garibaldi, affiancata nel 2009 dalla più moderna Cavour e adesso a Taranto per lavori di ammodernamento. La Garibaldi, prima portaerei italiana ad entrare in servizio dopo il divieto imposto dai trattati di pace, ha da poco superato i 30 anni, venne varata quando presidente del consiglio era Amintore Fanfani. Un simbolo al quale la Marina non rinuncerebbe certo a cuor leggero. La vendita non servirebbe tanto a far cassa, anche se qualche offerta informale sarebbe già arrivata. Ma eliminerebbe le cosiddette «ridondanze operative», cioè il sovrapporsi di mezzi che hanno funzione analoga, difficili da sostenere in tempo di spending review . Per la stessa ragione rischiano un taglio gli elicotteri per il soccorso in mare: una cinquantina di mezzi oggi divisi fra Marina militare, Guardia costiera e Vigili del fuoco.

In tutto, il governo punta a risparmiare 1 miliardo e 100 milioni l’anno per i prossimi quindici anni. Un progetto impegnativo nel quale, progressivamente, si faranno sentire anche gli effetti della riduzione del personale e della vendita delle caserme. Nell’immediato, però, è dagli armamenti che si può ricavare di più
Consapevole che le resistenze ci saranno, sui tagli ai militari il governo giocherà di sponda con il Parlamento. Nei prossimi giorni la commissione Difesa della Camera voterà il documento conclusivo di un’indagine conoscitiva sui sistemi d’arma. Quel documento fisserà i principi generali dell’operazione. E adesso, quando si parla di investimenti militari, il parere del Parlamento è vincolante. Una novità prevista dalla legge di riforma della Difesa di due anni fa: «Prima - dice Gian Piero Scanu, deputato del Pd che ha proposto il nuovo meccanismo - sulle spese militari le decisioni spettavano a tre o quattro persone. Adesso quello che dice il Parlamento diventa decisivo. E guardate che è una vera rivoluzione».

F35 PINOTTI
Roma - Una riduzione degli F-35, che «è lecito pensare» e la chiusura di 385 caserme con la creazione di una task force per gestirne la vendita.

Sono i due principali impegni presi dal ministro della Difesa Roberta Pinotti, nel prospettare una piano di spending review per il comparto. Impegni confermati dal presidente del consiglio Matteo Renzi: «Il programma sugli F-35 sarà rivisto, la difesa deve risparmiare 3 miliardi».

Pinotti è appena tornata da New Dheli e domani sarà a Berlino, dove incontrerà la sua omologa tedesca, Ursula von der Leyen. India e Germania sono due poli chiave anche per l’azione del ministero.

Il caso Marò è irrisolto. Alle spalle, due anni in cui «sono stati fatti tanti errori, dalle regole di ingaggio alla mancanza di una chiara strategia. Ma ora non è utile concentrarsi su questo, serve grande unità nazionale», dice il ministro intervistata da Maria Latella su Sky Tg24, ribadendo con forza che Latorre e Girone «non possono essere giudicati in India» e auspicando la «solidarietà della comunità internazionale». Della vicenda «riparlerò anche domani» alla ministra tedesca, assicura.

Ma è soprattutto la razionalizzazione del sistema Difesa in Italia, il tema che il ministro dovrà affrontare a breve. Una cura dimagrante già avviata dal precedente governo, per ridurre da «190mila a 150mila i militari di Aeronautica, Marina, Esercito da qui al 2024», ha ricordato Pinotti, assicurando che «già nei prossimi anni scenderemo a 170mila». Le unità del personale civile passeranno da 30 a 20mila. Saranno chiuse 385 caserme e presidi militari e «entro un mese» Pinotti conta di presentate in Consiglio un provvedimento ad hoc per definire una task force che «metta in fila Difesa, Demanio, enti locali» e si occupi della vendita dei beni.

In fatto di tagli, il capitolo più spinoso si chiama F-35, «i cacciabombardieri nemico per eccellenza nell’immaginario comune». Nei giorni scorsi il ministro aveva già detto che c’è la disponibilità a «rivedere anche grandi progetti». Il piano F-35 è un grande progetto da 14,3 miliardi di euro in 15 anni per l’acquisto di 90 caccia: 60 a decollo convenzionale (costo medio 74 milioni di euro l’uno) e 30 a decollo verticale (88 milioni di euro l’uno), parte dei quali (una ventina) da impiegare sulla portaerei Cavour.

Oggi Pinotti è stata più esplicita, ha ribadito l’impegno a «ripensare, ridurre e rivedere» e ha detto che «è lecito immaginare una razionalizzazione». Non solo sugli F-35, certo. Ma anche sugli F-35. Alla base, «la domanda che dobbiamo porci è: ci serve l’Aeronautica? ci possono essere minacce per le quali ci serve una difesa da parte dell’Aeronautica? quale tipo di protezione ci può servire? Se non ti fai prima queste domanda - ha spiegato - è difficile poi dire: 90, 100, 30, zero, uno. C’è un impegno assunto dal governo con il Parlamento, un’indagine conoscitiva in corso», partita nel luglio scorso: «è importante attenderne la fine».

PROTESTA DI SQUINZI
MILANO - Il presidente di Confindustria, Giorgio Squinzi, è "deluso" dalla decisione del governo di pagare i debiti della Pubblica amministrazione a San Matteo. "Capita a settembre - spiega - e mi aspettavo che fosse fatto per San Giorgio, il 23 di aprile, non perché mi chiamo così, ma in onore del presidente della Repubblica. San Giorgio - prosegue - combatte il drago del debito pubblico e della disoccupazione". Per stimolare l’economia poi "no a un derby Irap-Irpef", anche se "personalmente e come Confindustria penso sia importante intervenire sul costo del lavoro". "Non è detto che sia necessario intervenire solo sull’Irap - ha aggiunto - ma tutti gli stimoli devono essere messi in direzione di rendere più competitivo il costo del lavoro".

E Squinzi rintuzza il governo anche sulla spending review. "Ho captato con terrore le voci di un possibile taglio dell’Ice", ha detto durante un dibattito in occasione dell’inaugurazione di ’Mce’, dove ha sottolineato la sua positiva esperienza con l’Istituto per il commercio estero. Bisogna ripercorrere le esperienze fatte da altri paesi, come la Spagna, poiché - ha aggiunto - "che si pensi a un possibile taglio dell’Ice nell’ambito della spending review mi fa raggelare".

Anzi, ha auspicato il numero uno di viale dell’Astronomia, "nell’Ice bisogna investire di più". Su questo si è detto d’accordo anche Carlo Calenda, vice-ministro allo Sviluppo economico. L’Ice,
ha ricordato rispondendo a Squinzi, "è stato abolito e riaperto nel 2012 e abbiamo raddoppiato la dotazione portandola a 60 miliardi, dei quali 22 fermi sin dal 1993".

Secondo il vice-ministro "l’Ice deve infatti diventare un istituto ’customer driver’ perchè - ha sottolineato - abbiamo rinunciato al turismo, non possiamo rinunciare anche all’export: altrimenti non ci resta che andare a giocare a racchettoni sulla spiaggia". Quindi, ha sintetizzato Calenda, il taglio dell’Ice "è un’ipotesi scellerata, di scuola, piuttosto "l’istituto va potenziato e monitorato, per vedere le cose che vanno e quelle che non vanno".


(18 marzo 2014)