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 2014  marzo 18 Martedì calendario

MILANO, LA PROCURA ISOLA IL PM “NESSUNA INCHESTA INSABBIATA”


MILANO — Si sente danneggiato nel suo lavoro. Teme che alcune indagini siano «a rischio» di fallimento. E, in nome di questo, Alfredo Robledo, procuratore aggiunto di Milano, è andato all’attacco, in una guerra senza possibilità di ritorno, con il suo capo, Edmondo Bruti Liberati. «Ma quello che rischia il posto è lui, Robledo», si sente ripetere praticamente da tutti, al quarto piano del palazzo di giustizia.
Il procuratore aggiunto di lungo corso elenca in dodici pagine fitte cinque episodi, che, a suo parere, «hanno turbato e turbano il regolare svolgimento della funzione dell’ufficio ». Attraverso l’«arma letale » giudiziaria dell’esposto-denuncia, invia la sua protesta a tre indirizzi: il Consiglio superiore della magistratura, il consiglio giudiziario, il procuratore generale di Milano. Un paio di giornali e siti cominciano a pubblicare stralci e il caso, più che esplodere, sembra implodere. Nessun commento ufficiale si registra, com’è scontato, ma le voci che si raccolgono ieri in procura sono molto simili l’una all’altra e tendono ad accreditare un Robledo isolato e perdente: «Ma perché, ci sono forse a Milano inchieste insabbiate o fatte sparire? No, e allora, che vuole?»; ««Le procure dal 2006 sono uffici gerarchici, chi comanda è uno, in questo caso Bruti, e non i suoi aggiunti, a prescindere dalle ambizioni o dai risultati, buoni o scarsi, che hanno raggiunto».
Se questo è dunque il clima, esattamente di che cosa si è lamentato il magistrato Robledo?
CASO SAN RAFFAELE
Robledo si occupa del secondo dipartimento, e cioè dei delitti contro la pubblica amministrazione. Sostiene di aver appreso dalla stampa, il 25 luglio 2011, notizie sulla «contabilità nera» al San Raffaele. Di aver chiesto una riunione con il procuratore aggiunto Francesco Greco (responsabile del primo dipartimento) e con Bruti Liberati, «sottolineando la necessità d’iniziare il prima possibile» l’indagine. Bruti, invece, ordinando di non iscrivere nessuno nel registro degli indagati, chiede la massima prudenza. Robledo resterà così fuori dalle indagini su Roberto Formigoni. Il quale, però, come sappiamo, si trova oggi rinviato a giudizio, con vari presunti complici. Quindi, aver affidato l’inchiesta al pool di Greco - è la domanda dei magistrati della procura - è stata una scelta che ha sfavorito in qualche modo l’accertamento della verità?
CASO SEA
La procura di Firenze manda a Milano un fascicolo con atti d’indagine che riguardano Vito Gamberale, il manager che vuole acquisire quote della società milanese Sea. Il fascicolo spettava al secondo dipartimento e ci arriva, sì, ma dopo essere passato dagli uffici di Greco (se ne spogliano il 9 dicembre 2011) e solo il 16 marzo. Robledo chiede spiegazioni del ritardo, Bruti «mi rispose che aveva dimenticato il fascicolo in cassaforte». Come si vede, questione di mesi: ma se Bruti ha commesso uno sbaglio, il fascicolo è scomparso? No: e lo stesso Robledo, domandano altri suoi colleghi, non avrebbe potuto farsi parte attiva? Inoltre: dal 16 marzo 2012 ad oggi, che cosa ha ottenuto Robledo dal fascicolo tanto agognato?
CASO BOCCASSINI
Ilda Boccassini, capo della distrettuale antimafia, indagando sul crimine organizzato s’imbatte nel 2012 in alcuni casi di corruzione politica. Si tratta di un’indagine che sinora era segreta. Inoltre, sempre Boccassini, viene incaricata del fascicolo sulla «concussione» di Silvio Berlusconi (il caso Ruby), che sarebbe toccato - dice sempre Robledo - a lui. Infine, il famoso processo Ruby-ter, che riguarda le false testimonianze, per Robledo sarebbe ancora una volta roba sua. Senza tediare con discorsi giuridici che spettano al Csm, anche questi tre episodi possono aver infastidito Robledo e instillato dubbi, però possiedono spiegazioni logiche e formali non peregrine. A cominciare dal Ruby-ter: «in violazione dei criteri organizzativi (...) in assenza di qualsivoglia motivazione», protesta Robledo, il fascicolo è andato a Pietro Forno e al sostituto Luca Gaglio. Viceversa, fanno notare in procura, è il codice di procedura penale che affida i «seguiti» delle indagini «per attrazione» a chi le ha iniziate e conosce le carte. Come Forno.
Quando c’è un ricorso del genere, al di là delle strumentalizzazioni pro o contro magistrati, un fatto è certo: qualcuno, molto probabilmente, dovrà lasciare per ordine del Csm il quarto piano del palazzo di giustizia. Chi? Lo si saprà nei prossimi mesi e, mentre passerà il tempo, si vedrà giorno dopo giorno se Milano resterà immune, come sinora è stato, dai «veleni» e dai corvi.