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 2014  febbraio 22 Sabato calendario

LA JUVENTUS BRASILIANA CHE HA LA MAGLIA GRANATA E UN CUORE TUTTO ITALIANO


La partita è appena iniziata quando i tifosi granata intonano il coro “Forza magica Juve”. Il compromesso impossibile della rivalità calcistica torinese si realizza in questo vecchio stadio alla periferia di San Paolo dove - alle tre di un afoso pomeriggio dell’estate brasiliana - si gioca il turno infrasettimanale del campionato paulista di serie C. Le maglie dei giocatori del Clube Atletico Juventus, che oggi sfidano il Rio Preta, sono granata fin dalla fondazione della squadra: «Nel 1930, per volere del conte Rodolfo Crespi, emigrato da Firenze con la famiglia e titolare di un cotonificio », racconta Fernando Galuppo, 34 anni, storico di “questa” Juventus. «Decise di mettere d’accordo i figli divisi dal tifo – Dino, bianconero, e Adriano, granata – scegliendo il nome della Juventus e la maglia del Toro». Oggi il presidente è Rodolfo Cetertick, 68 anni, imprenditore «nel campo dei combustibili» e sostenitore bianconero che attende di ricomporre la trattativa «avviata due anni fa, quando ci eravamo offerti al presidente Agnelli per diventare il loro club satellite in Brasile». Il nome c’è già, ma i colori? «Quelli non si cambiano, e poi la storia del Torino è gloriosa: siamo in molti a simpatizzare per loro», risponde Fernando, 31 anni e leader dei tifosi della curva, mentre la Juventus prova a rimediare al gol subito dal Rio Preta.
Perché qui alla Mooca, quartiere periferico di San Paolo caratterizzato dall’immigrazione italiana, «le tradizioni sono importanti», dice Bruno Casalotti, 26 anni, maglietta granata e tatuaggio della Juventus sull’avambraccio. «I nostri nonni, i nostri padri sono stati operai e questa squadra è il nostro orgoglio». Anche se il periodo migliore «risale agli anni Trenta e gli ultimi titoli (una coppa paulista e un campionato di serie B, ndr) li abbiamo vinti negli anni Ottanta». Ora si devono accontentare del talento del numero 10 Romarinho, che offre l’assist a Renato per il momentaneo pareggio, e sperare nell’allenatore Luis Carlos Ferreira detto “Rei do acesso”, ovvero il re delle promozioni: «Ne ha collezionate 30 tra le serie minori brasiliane».
All’intervallo, altro omaggio alla tradizione: tutti in fila per i cannoli siciliani. «Non trovi niente del genere in tutto il Brasile e forse nemmeno in Italia», ride Edu Marangon, allenatore della Juventus granata nel 2005 e giocatore del Toro nel 1988-89, stagione disgraziata conclusa con la retrocessione. «Il derby? Esperienza affascinante, Torino vive e si divide per quella partita, qui nemmeno la sfida tra Corinthians e Palmeiras offre la stessa intensità». Pronostico per domenica? «La Juve di Conte sembra imbattibile, ma i granata hanno Cerci: fortissimo, uno dei pochi italiani a giocare da brasiliano, farà bene anche al Mondiale». Accanto a lui scuote la testa Osvaldo de Lemos, 61 anni: «Da noi la maggioranza tifa Juve, per il nome ovviamente ». Osvaldo insegna calcio ai ragazzini del quartiere: «Ho allenato anche Thiago Motta, prima che venisse in Europa». Oltre all’azzurro i più noti tra i calciatori passati da qui sono Luisao, difensore del Benfica, e Lucas, centrocampista del Psg.
Intanto la partita è ripresa e la Juve granata va di nuovo sotto, sul campo dove «si allenò il Grande Torino, durante la tournée sudamericana del dopoguerra», spiega Galuppo che alla storia del club dedicherà un libro per il 90° anniversario, ad aprile. In curva i ragazzi incitano la “loro” Juventus, che grazie ai goal di Junior e Adailton, si porta sul 3-2. «Sarebbe stato troppo bello vincere oggi», sospira dopo la fine del match il trentenne Fernando Schmude, portiere che stravede per Buffon. Perché poi nel vecchio stadio intitolato al conte Crespi che realizzò il compromesso calcistico tra Juve e Toro per amore dei figli, il Rio Preta ha pareggiato all’ultimo minuto di recupero. E il 3-3 finale è lo stesso risultato che il portiere offre come augurio per il derby. Senza sapere che a Torino quel risultato evoca una storia di rimonta (14 ottobre 2011), simile a una leggenda brasiliana ma con la forma della buca scavata davanti al dischetto del rigore. Non lo sanno nemmeno i tifosi granata che nelle vie della Mooca continuano a cantare “Forza magica Juve”.