Piero Ottone, Il Venerdì 20/12/2013, 20 dicembre 2013
LA RIVINCITA DI UNA NOSTRA GLORIA: IL CONGIUNTIVO
Il congiuntivo è una nostra gloria. Indica in chi ne fa uso consapevolezza della precarietà nelle cose umane.
Raramente vi ricorrono i bambini, anime semplici. Ed è una gloria di noi italiani perché le altre lingue europee (del cinese non so nulla) ne hanno perso l’uso, in un mondo sempre più tranchant, ormai un po’ grossolano. I francesi, per quella loro razionalità, tutto bianco o tutto nero, lo hanno quasi abolito. I tedeschi, poco fantasiosi, lo relegano a una funzione meccanica: lo usano solo nel discorso indiretto, quando riferiscono dichiarazioni altrui, risparmiandosi le virgolette. Gli inglesi lo hanno abolito. E i russi, non sanno neanche che cosa sia. Noi resistiamo: non è questa, da parte nostra, una prova di raffinatezza intellettuale?
Adesso il congiuntivo trova la sua celebrazione in un libro il cui titolo molto asciutto non si presta a equivoci: si intitola appunto Il congiuntivo. Gli autori, Daniela Mancini e Tommaso Marani, che hanno a lungo insegnato italiano agli stranieri, dicono di averlo scritto su suggerimento dei loro studenti, evidentemente in difficoltà (o incuriositi) di fronte a un modo verbale da loro così distante. Sfoglio il libro col dovuto rispetto, essendo del congiuntivo un cultore (anche se qualche volta lo tradisco: segno dei tempi). Quante cose ho scoperto! Il congiuntivo è uno strumento dal quale si possono trarre infiniti arpeggi: sfumature, supposizioni. Sono indicati nel libro i casi in cui è «obbligatorio», e l’aggettivo induce a sorridere. Obbligatorio perché? Ma per indicare che si parla in modo corretto, evidentemente. Obbligatorio per indicare che si appartiene a una certa categoria intellettuale, e non è questione di snobismo: è questione di rispetto verso se stessi e verso le persone con le quali parliamo. Contano ancora, questi concetti, in un mondo nel quale si tende a fare i propri comodi, come non mi stanco di osservare ogni venerdì? Si vede che contano. Non è una bella cosa?
La sorella dell’autore mi ha raccontato che il figlioletto l’altro giorno le ha detto: «Mamma, vorrei che spegnessi la luce». Anni tre: ma allora ci sono speranze!