Tobia De Stefano, Libero 20/12/2013, 20 dicembre 2013
DICO NO AL REDDITO MINIMO
[Yoram Gutgeld]
«Filosofo e matematico di formazione, è manager ed esperto nella soluzione dei problemi e nella gestione dei cambiamenti ». Così si definisce nella mini-biografia del suo ultimo libro (“Più uguali più ricchi”) Yoram Gutgeld. Una sorta di Mister Wolf al servizio di Matteo Renzi. Eh sì perché proprio come il personaggio interpretato da Harvey Keitel in Pulp Fiction, il neo-deputato (eletto nel 2013) è stato chiamato in causa dal vecchio amico per risolvere un “grosso problema”. Per carità, nulla a che vedere con pasticcio di sangue che angosciava Marcellus Wallace, ma quello del lavoro, con una disoccupazione giovanile che ormai supera il 40%, è per altri versi ancor più drammatico. Renzi ha promesso una rivoluzione, entro un mese sarà presentato un «job act» che cambierà nelle fondamenta il mercato italiano: tassazione, ammortizzatori sociali, contratti. E «Libero» per capirne qualcosa in più ha contattato il suo principale consigliere economico.
Partiamo dal tema dei temi: l’articolo 18. È vero che volete cancellarlo?
«Assolutamente no. L’articolo 18 resta nella sua formulazione attuale. Cancellarlo adesso significherebbe aumentare la disoccupazione. Il problema non è l’ar - ticolo 18 ma combattere la precarietà e garantire a chi perde il posto di lavoro un sussidio di disoccupazione e la possibilità di ricollocarsi nel mercato del lavoro».
Ma allora questo famoso contratto unico di inserimento con tutele progressive (più facile da chiudere nei primi anni e più difficile dopo) in cosa consiste?
«Non in un contratto unico. Perché rappresenta un’alternativa ai contratti temporanei come quello a progetto e a quelli a tempo indeterminato che resteranno in vigore con tutte le tutele previste oggi. Certo, vorremmo che questa nuova formula sostituisse i contratti precari per dare maggiore stabilità ai giovani e non escludiamo incentivi a favore delle imprese che la utilizzeranno ».
Un altro tabù per la sinistra e i sindacati è la cassa integrazione. È vero che volete rottamarla?
«Vogliamo prima di tutto allargare la platea di chi è oggi protetto con sussidi di disoccupazione. Serve anche limitare la cassa integrazione impropria».
Cosa significa?
«Che la cassa integrazione utilizzata per aiutare le imprese che hanno un temporaneo calo della domanda non va assolutamente toccata, perché dà una mano ai gruppi sani che si trovano in una situazione momentanea di difficoltà. I soldi ai lavoratori di aziende morte devono rientrare nel sussidio di disoccupazione universale. Ma anche qui suggerirei grande cautela…».
In che senso?
«Nel senso che in una situazione di difficoltà lavorativa come quella attuale tutti gli interventi vanno effettuati con gradualità in moda da evitare di aggravarla ».
È per questo che state pensando di inserire una sorta di reddito minimo di cittadinanza?
«Il reddito minimo garantito è un’idea interessante ma a oggi economicamente difficile da realizzare».
Insomma, meglio concentrare gli sforzi sul cuneo fiscale…
«La volontà di riversare le risorse che si recuperano attraverso la spending review e la lotta all’evasione in un fondo per ridurre le tasse sul lavoro mi sembra molto importante, poi tutto dipenderà da quanto si riuscirà a recuperare nel 2014 e 2015».
Ecco, quanto servirebbe?
«Guardi, un intervento significativo non può essere inferiore ai 10 miliardi di euro. Proprio per questo non mi sembra realistico agire sia sulle tasse sui lavoratori che su quelle che gravano sulle imprese».
E cosa propone?
«Di dare nell’immediato la priorità ai lavoratori. Mentre sui datori di lavoro si può pensare a un’azione nel medio-lungo periodo ».
Un’ultima sul miliardo e mezzo in arrivo dall’Europa per ricollocare i giovani tra i 15 e i 24 anni che non studiano e non hanno un impiego. La cosiddetta “Youth guarantee”. Ci sono molte aspettative…
«Logica vuole che questi fondi siano ben utilizzati se mettono più soldi in tasca ai lavoratori e se creano vera occupazione aggiuntiva».
Quindi?
«Beh l’esempio più concreto che mi viene da fare riguarda i centri per l’impiego che in alcune aree funzionano bene e in altre peggio, ma non è questo il punto. Nel caso specifico il punto è dare le risorse a fronte di risultati concreti ottenuti, cioè a quelli che trovano realmente posti di lavoro ai ragazzi».