Francesco Battistini, Corriere della Sera 20/12/2013, 20 dicembre 2013
LA LETTERA DEL GIUDICE AL CARCERE «QUEL DETENUTO È UN ASSASSINO»
«Data: 19 luglio 2013. Destinatario: Direzione Casa circondariale di Genova Marassi. Mittente: Daniela Verrino, giudice di sorveglianza. Oggetto: detenuto Bartolomeo Gagliano...». Non è vero che in carcere non sapevano d’avere tra le mani un assassino: «Stando agli atti, per noi era solo un rapinatore», ha detto mercoledì sera il direttore Salvatore Mazzeo, poche ore dopo la fuga del serial killer di Genova. Gli atti dicono altro: già cinque mesi fa, proprio a Mazzeo, e alla vigilia del primo permesso premio firmato dal giudice Verrino e controfirmato dal direttore, era arrivata a Marassi un’informativa che spiegava bene con chi si avesse a che fare. È una lettera protocollata d’un paio di pagine che il magistrato ebbe il dovere d’inviare. Un riassunto del casellario giudiziale e di tutti i reati che ha commesso Gagliano nella sua lunga vita criminale, anche prima d’entrare nella prigione genovese. «Perché bastava andare su Internet per capire che non era solo un rapinatore», spiega don Paolo Gatti, il cappellano, che alla libera uscita estiva accompagnò Gagliano. O bastava leggere la prima riga di quello sterminato elenco spedito al direttore Mazzeo: «24/04/1982, sentenza del giudice istruttore di Savona: omicidio, art. 575 c.p.».
Non potevano non sapere. Lo dice una serie di documenti che in queste ore girano fra Procura, carcere, studi d’avvocati. Lo spiega la relazione del Got, il Gruppo osservazione trattamento — educatori, assistenti sociali e guardie penitenziarie — che a lungo si riunì per decidere se dare o no la scorta al detenuto Gagliano in uscita, decidendo infine per il no, ma affidandolo, comunque, all’occhio di don Paolo. Lo racconta pure il casellario: 7 pagine, 332 righe allegate al fascicolo di Gagliano, che allineano gli omicidi, le rapine, i sequestri di persona, le violenze private, le violenze sessuali, le lesioni, le violazioni di domicilio, le ricettazioni, le minacce, il falso, la resistenza a pubblico ufficiale, l’oltraggio e perfino la guida senza patente. La gaffe di Mazzeo è ormai evidente ed è su di lui che si scaricano i fulmini. Dal ministero gli è stato consigliato il silenzio, dopo le troppe dichiarazioni, e adesso gli si ritorcono le sparate contro Alfano quand’era ministro della Giustizia («ci ha voltato le spalle»), le sue ironie sull’ipotesi d’un carcere galleggiante a Genova («è come dire al detenuto: prego, s’accomodi, la porta è aperta...»), la sua convinta battaglia per una legge che conceda i domiciliari a chi ha meno d’un anno ancora da scontare (il caso di Gagliano, appunto...), le polemiche sui 450 euro al mese («e i disoccupati?») concesse ai reclusi di Marassi che, cinque ore al giorno esclusa la domenica, vanno a pulire il cimitero di Staglieno... Per non dire dei veleni che l’ammorbarono da direttore del carcere d’Aosta, un’«oscura vicenda» (parole del giudice) di secondini, botte ai detenuti, querele per calunnia.
Chi pagherà il pasticcio? La legge consente 45 giorni di permesso l’anno ai condannati che non siano socialmente pericolosi, «concessi dal magistrato di sorveglianza, sentito il direttore dell’istituto». Il premio però dev’essere seguito anche «dagli educatori, dagli assistenti sociali penitenziari, dagli operatori sociali sul territorio». E prima richiede che sia il direttore a esaminare «l’estratto della sua cartella personale». Non solo: durante il permesso, «i controlli vanno eseguiti dalle forze dell’ordine». Col rimpallo delle responsabilità, col serial killer in fuga, con le vittime sopravvissute alle mattanze d’un tempo che si corrono a nascondere, i telefoni che suonano a vuoto, giustificarsi tocca ai giudici e agli psichiatri genovesi: «Un episodio spiacevole, ma isolato», per il procuratore Di Lecce; il permesso era «legittimo», dice la Verrino, «è stato il caso più studiato da questo tribunale» e le relazioni mediche erano tranquillizzanti (nonostante Gagliano avesse tentato il suicidio, qualche anno fa) e insomma, precisa lo psichiatra Giovanni Nuvoli, «sapevamo che avesse un’importante storia criminale alle spalle, ma i suoi erano solo problemi lievi, qualche episodio d’ansia» e «nel corso della vita, in definitiva, si può modificare la personalità...». «Se parliamo del caso specifico — ammette Luigi Pagano, vicecapo del Dipartimento penitenziario del ministero —, sì, c’è stato un fallimento». Però «Gagliano sarebbe uscito fra meno d’un anno, solo mettendolo fuori si poteva capire se uno si può reinserire o no. Ogni anno ne escono 20mila, in quel modo, e mica evadono tutti... L’Europa stessa vuole che applichiamo di più le misure alternative. La fuga appartiene all’imponderabile d’ogni uomo». Neanche il prete poteva intuirlo: don Paolo, che nella bolgia di Marassi ha visto il peggio, pensa che Gagliano sia molto meno del peggio: «Lo conosco da otto anni. L’ho accompagnato a trovare il padre all’ospedale e al cimitero, la madre a casa. L’ho aiutato ad assorbire l’impatto con l’esterno. Quest’ultima uscita, era la prima da solo: non c’era obbiettivamente motivo per negargliela». Ha fatto solo una fesseria, come dice Mazzeo? «Mah... L’uomo è intelligente. Parlavamo molto, mi stuzzicava sempre su Papa Francesco, la Chiesa dei ricchi e dei potenti, io ribattevo...». Si sente ingannato? «No. Stupito».
Francesco Battistini