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 2013  dicembre 20 Venerdì calendario

BANCHE DECISIONISTE E GOVERNI INCEPPATI


A pensarci bene, a partire dalla crisi finanziaria iniziata nel 2007 negli Usa con il crollo del mercato dei mutui subprime, le banche centrali dei maggiori Paesi, Federal Reserve e Bce in primis, hanno agito con decisione, facendo da argine rispetto ad alcune incertezze mostrate dal potere politico per se stesso. Da un certo punto di vista, la chiarezza decisionale — pur con qualche ombra — da parte delle banche centrali potrebbe anzi servire da modello per la politica e per i suoi meccanismi talora lenti e/o inceppati. Si pensi per esempio all’annuncio di mercoledì da parte del presidente della Fed Bernanke che, come ultimo atto del suo mandato, ha dato inizio al cosiddetto tapering, cioè alla riduzione graduale degli acquisti di titoli obbligazionari da parte della Fed stessa. La gradualità è l’aspetto qui cruciale, insieme con l’accorta e anticipata gestione delle aspettative degli investitori: già da tempo Bernanke aveva spiegato come questa politica espansiva di carattere non convenzionale sarebbe stata lentamente fatta rientrare, nel momento in cui l’economia statunitense avesse cominciato a mostrare i segni inequivocabili di una ripresa incoraggiante e robusta. Questa chiarezza decisionale non è prerogativa della sola Fed e del suo presidente: nell’estate del 2012, la promessa da parte del presidente della Bce Mario Draghi di mettere in atto tutto ciò che fosse necessario per difendere l’euro da pericoli imminenti di disintegrazione è stata con ogni probabilità decisiva nell’allontanare per lungo tempo questi rischi. Intendiamoci: la promessa è stata ritenuta molto credibile da investitori e osservatori anche per il fatto di essere stata accompagnata dall’annuncio dell’acquisto — potenzialmente illimitato — di titoli di stato già emessi attraverso le cosiddette Omt (Outright Monetary Transactions). Riguardo alla Bce si possono naturalmente muovere tutte le obiezioni di questo mondo sulle cattive conseguenze di un mandato che è quasi esclusivamente incentrato sulla lotta all’inflazione, senza lasciare spazio al tema della disoccupazione come ulteriore «male» macroeconomico da fronteggiare. Tuttavia, trovo difficile negare che la Bce sia stata capace di tenere la barra dritta della politica monetaria in presenza di rischi sistemici gravi. Non solo: essa ha anche agito come stimolo nei confronti delle autorità governative europee — sia a livello nazionale che a livello federale — perché anche dal lato del potere legislativo ed esecutivo la crisi finanziaria fosse gestita con decisione e senza scappatoie di breve respiro. Dal punto di vista istituzionale non è chiaro se l’Unione Europea assomigli di più a una federazione o a una confederazione, ma ogni occasione in cui i governi dei Paesi membri devono raggiungere un accordo unanime ci ricorda senz’altro la natura confederale dell’Unione, e con essa i rischi di contrattazioni lunghe e inefficienti tra i Paesi membri. Dal punto di vista della democrazia rappresentativa, è evidente come i cittadini di ogni singolo Paese vogliano avere informazioni sul modo in cui il loro governo si sia battuto all’interno di queste contrattazioni per ottenere il risultato più vicino alle preferenze nazionali. Queste considerazioni valgono anche per il caso recentissimo dell’Unione bancaria, su cui i ministri finanziari riuniti nell’Ecofin hanno appena raggiunto un accordo dopo 12 ore di trattative. Bisogna però notare quanto la trasparenza sulle posizioni contrapposte durante i negoziati intergovernativi si associ spesso a un disegno strategico di lungo periodo che non è chiaro e — se presente — non è ben raccontato all’opinione pubblica. La sfida dal punto di vista istituzionale è molto difficile, ma i governi nazionali che all’interno delle istituzioni europee decidono insieme su questioni cruciali come la solidità delle banche avrebbero di che imparare dalla chiarezza decisionale e dall’orizzonte di lungo periodo delle banche centrali.

@ricpuglisi