Giuseppe Caporale, la Repubblica 20/12/2013, 20 dicembre 2013
CACCIA AL CAMORRISTA CHE UCCISE LA SUA EX
UN’ALTRA evasione. Mentre infuriano le polemiche dopo il caso di Genova, con il serial killer non rientrato dal permesso premio (oggi la Cancellieri riferisce in Senato), arriva la notizia di un secondo grave episodio.
IL KILLER di camorra Pietro Esposito manca da sabato all’appello del carcere di San Donato. Per il tribunale di sorveglianza di Pescara era diventato un detenuto modello. Tanto che gli era stato concesso, sei giorni fa, un permesso premio: otto ore di libertà. Doveva rientrare nella casa circondariale della città adriatica alle 18 di sabato. Invece, quelle ore gli sono servite per fuggire, costringendo la polizia penitenziaria e la squadra mobile di Pescara a lanciarsi in una caccia all’uomo che ancora non dà alcun esito.
E si scopre intanto che quello non era il primo permesso premio che Esposito era riuscito ad ottenere. Un altro gli era stato concesso appena pochi mesi fa. Nonostante le sue tre pagine della sua fedina penale completa di diverse condanne: due per complicità in omicidi differenti, due per rapina, una per evasione dal carcere e un’altra per associazione mafiosa.
Perché è lui il killer che partecipò — e poi confessò — al brutale assassinio (avvenuto nel 2004) di Gelsomina Verde, la ragazza di 23 anni, sua ex fidanzata: torturata, uccisa, e date alle fiamme, dal clan Di Lauro durante la faida di Scampia. Ora Esposito è in fuga. «Abbiamo il fondato sospetto che possa non essere andato troppo lontano e che si stia nascondendo qui a Pescara o in qualche appartamento nei territori circostanti », spiegano gli inquirenti. La polizia sta passando al setaccio amici e conoscenti del camorrista. Perché Esposito le ultime azioni criminali le aveva compiute in zona, nella provincia di Pescara, dopo che dal 2006 era stato trasferito nel carcere della città adriatica, nell’area speciale dedicata ai collaboratori di giustizia. In quel penitenziario ha scontato la pena a sei anni di carcere per il concorso nell’omicidio di Gelsomina Verde. Ed era ancora lì a seguito di una condanna per evasione. Ma a marzo del prossimo anno avrebbe saldato anche questo debito con la giustizia. Ma non sarebbe stata nemmeno questa l’ultima pena da scontare: altre condanne e altri processi pendono sulla sua testa. Per questo, forse, è scappato.
Ma secondo il giudice del tribunale di Sorveglianza Maria Rosaria Parruti, Esposito era «pronto ad uscire», pronto per i permessi premio «a seguito» — come è scritto nel provvedimento che gli ha consentito le otto ore di libertà — «di un’attività sociale di inserimento all’interno del carcere e alla definitiva interruzione dei suoi contatti con la criminalità organizzata ». Fu Esposito infatti il primo, nel 2004 durante la “faida di Scampia” a rivelare agli inquirenti del pool anticamorra della Procura di Napoli che era Cosimo Di Lauro “il regista della faida” e che il boss aveva avuto il ruolo di mandante nell’omicidio di Gelsomina. La ragazza fu massacrata per non aver voluto rivelare il nascondiglio dei suoi amici che erano transitati nelle file del gruppo «scissionista». Il suo corpo fu ritrovato la sera del 21 novembre del 2004 a Secondigliano: era stato abbandonato, completamente carbonizzato a bordo di una Fiat 600 incendiata dai killer dopo il fatto. Gelsomina, ricostruirono poi gli inquirenti, era stata attirata in una trappola: i sicari avevano chiesto al suo amico, Pietro Esposito, di invitarla a un appuntamento. «Mi dissero che volevano solo spaventarla », aveva sostenuto Esposito, divenuto dopo l’arresto il primo pentito della faida. Le confessioni di Esposito portarono quasi subito gli investigatori sulle tracce di Ugo De Lucia, soprannominato «‘o mostro », arrestato in Slovacchia dagli agenti della sezione Narcotici della squadra mobile (guidati dal vicequestore Lucio Vasaturo) e poi condannato in primo grado all’ergastolo. «Credo nella funzione rieducativa della pena — aveva detto in una recente intervista la Parruti — che va divisa in due momenti. La prima è la presa di coscienza del reato commesso e di ciò che non ha funzionato nella vita del detenuto. Il secondo momento consiste invece nel fornire a chi ha preso coscienza delle proprie responsabilità una serie di opportunità che non ha avuto nella vita precedente: istruzione, formazione e lavoro». Evidentemente Esposito non era pronto per questo percorso. Ed ora è un pericoloso evaso.