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 2013  dicembre 20 Venerdì calendario

LE ULTIME PAROLE DEL CONDANNATO A MORTE


«Le ultime parole famose” non è soltanto una divertente e ironica rubrica de La settimana enigmistica sulle previsioni sbagliate (Wrong Predictions), ma è soprattutto un corposo registro internazionale di ultime parole pronunciate da personaggi famosi (Famous Last Word). Ultime nel vero senso della parola, perché pronunciate in punto di morte. Più si è importanti, più si sente il dovere di lasciare un aforisma in eredità. Vera o falsa che sia l’antica tradizione, il catalogo riempie ormai libri. Da Saul (1007 aC) che, vistosi sconfitto in battaglia ordina al suo servo: «Sfodera la spada e trafiggimi, prima che vengano quei non circoncisi a trafiggermi e a schernirmi», a Filippide (490 aC), l’inventore della Maratona, che porta la buona notizia ad Atena prima di schiantare: «Gioite, abbiamo vinto!». Da Archimede (212 aC): «Non guastate i miei cerchi» a Cesare (44 aC) che si rivolge al suo più caro congiurato: «Anche tu Bruto, figlio mio». Da Francesco Ferrucci che a Maramaldo dice: «Vile tu uccidi un uomo morto» a François Rabelais (1553) che chiede un ultimo favore: «Tirate il sipario, la farsa è finita». La più dolce è quella di Joe Di Maggio: «Finalmente potrò rivedere Marilyn». Da un po’ di tempo lo stato del Texas ha messo online un sito, tra il macabro e il commovente, che raccoglie le ultime parole dei condannati a morte (Final Statements). Per ogni detenuto è presente una scheda nella quale viene spiegato il reato di cui il condannato è ritenuto responsabile, il suo nome, il suo cognome, il numero di matricola, l’età, la sua razza, la data di esecuzione e la contea di provenienza. Se il malcapitato, prima che il boia abbia compiuto la sua funzione, pronuncia qualche frase, la medesima viene riportata per intero.

Iniezione letale. Qualcuno riesce a dire parole piene di speranza, qualcun altro si proclama innocente, qualcun altro ancora maledice la sorte, i giudici e i carcerieri. Secondo uno studio realizzato da uno studioso di linguaggio, Jon Millward, e riportato in Italia da Linkiesta, “perdono” non è la parola più frequente. «Love», «Family», «Thank», «Sorry» e «God» sono, nell’ordine, i termini più utilizzati dai detenuti a pochi istanti dall’iniezione letale. Per quanto riguarda le frasi composte da tre parole, invece, la più gettonata è «I love you» (“ti amo”, “ti voglio bene”), mentre seguono «I would like», (“vorrei”), «I am sorry» (“mi dispiace”) e «Thank you for» (“grazie per”). C’è chi, come David Ray Harris, nel 2004 ha dedicato le sue ultime parole agli eroi dell’11 settembre. E c’è chi, come Jeffrey Matthews, condannato in Oklahoma, è riuscito persino a fare dello spirito: «Credo che il telefono del governatore sia rotto. Per questo non ha ancora chiamato».