Alberto Laggia, Famiglia Cristiana 20/12/2013, 20 dicembre 2013
LA TERRA PROMESSA
E adesso sono cavoli miei», esclama ridendo, mentre posa per una foto in mezzo ai cavolfiori del suo campo, aggrediti dal gelo di questi giorni. Ma Roberto Moncalvo, 33 anni, agricoltore piemontese di Settimo Torinese, nuovo (e giovanissimo) presidente di Coldiretti, non si riferisce certo ai suoi ortaggi, ma alla carica ricevuta a metà novembre e alle responsabilità di rappresentare un milione e seicentomila assodati, cioè la più grande organizzazione agricola europea.
Se il “buongiorno” si vede dal mattino, quella di Moncalvo sarà una presidenza agguerrita, decisa a far entrare subito nell’agenda politica del Governo le emergenze trascurate del mondo dell’agricoltura. Il nuovo leader della Coldiretti, infatti, ha avuto giusto il tempo di sfilarsi gli stivali, indossare giacca e cravatta, insediarsi nell’ufficio di via 24 Maggio a Roma ed è partito subito con la “battaglia di Natale”, mobilitando migliaia di allevatori e agricoltori’con bandiere gialloverdi alla frontiera del Brennero, in difesa del settore, contro le importazioni di bassa qualità spacciate come made in Italy. Una lotta, beninteso, che nulla ha a che spartire con i Forconi.
«Basta con i finanziamenti pubblici alle aziende che non valorizzano il vero prodotto italiano. Rendiamo finalmente obbligatoria l’etichettatura con indicazione d’origine del prodotto. Il finto made in Italy coinvolge due prosciutti su tre, venduti come italiani sugli scaffali dei supermercati, in realtà prodotti con maiali allevati all’estero. Una mozzarella su due con etichettatura italiana è fatta col latte o cagliate straniere. Questa si chiama concorrenza sleale. Fenomeno che, aggiunto alla crisi, ha già causato la chiusura dal 2007 a oggi di 140 mila tra stalle e aziende agricole», tuona “il Moncalvo furioso”. Per essere il più giovane presidente tra tutte le associazioni di impresa e dei lavoratori presenti in Italia, che hanno leader mediamente di età quasi doppia, niente male come inizio. «Alla Coldiretti l’età media dei dirigenti è di soli 46 anni, perché si comincia a lavorare in associazione da ragazzi. Il nostro è un mondo che non ti guarda storto se sei giovane. E ti considera tale solo fino ai 30 anni e non fino ai 40 come fanno le altre categorie», spiega con una punta d’orgoglio.
A testimoniarlo è la storia di Moncalvo che ha messo piede in una sezione a soli 17 anni. «Galeotto fu un camposcuola al quale mi convinse a partecipare mia madre», confessa. D’altra parte la Coldiretti era già di casa dai Moncalvo, perché nonno Gaspare, agricoltore con la cascina a cento metri dal centro di Settimo Torinese, era stato uno dei primi attivisti “gialloverdi” del paese. Erano gli anni in cui non si muoveva foglia che Coldiretti non volesse. Nel 1948, grazie all’organizzazione fondata da Paolo Bonomi quattro anni prima, sedevano in Parlamento 23 deputati Dc. Erano gli anni della riforma agraria e dell’arrivo nelle campagne della mutua e dei primi assegni familiari.
Ma quella di Moncalvo è soprattutto la storia di molti giovani che, pur avendo studiato per fare tutt’altro nella vita, decidono di investire sulla terra, spesso tornando ad attività della famiglia d’origine. «Da ragazzo ho due passioni: la campagna e i motori. Nel 1999 mi iscrivo al Politecnico di Torino, Ingegneria dell’auto, un corso a numero chiuso voluto dallo stesso avvocato Agnelli, per il centenario della nascita della Fiat. Mi piaceva studiare e non vedevo possibilità di guadagno nell’agricoltura in quegli anni», racconta il giovane imprenditore. Moncalvo si laurea, ma la morte prematura della madre, che gestisce l’azienda agricola della famiglia, lo pone davanti a un bivio: fabbrica o lavoro nei campi? Ingegnere o contadino? Nonostante le interessanti offerte di lavoro, sceglie la terra e apre l’azienda SettimoMiglio, in tutto 15 ettari, alla periferia di Settimo Torinese. «Con l’aiuto di mia sorella Daniela, si comincia a produrre ortaggi e fragole; non avevamo ancora né trattore, né serre, solo la zappa e le mani». Ma nella mente di Moncalvo è già ben chiara l’idea della “nuova agricoltura” multifunzionale, che non produce soltanto, ma va verso il consumatore, offre servizi e si apre al territorio.
Inserisce in azienda come tirocinante Scharif, un giovane somalo appena arrivato in Italia, poi assunto. Nel 2005 ottiene il riconoscimento di “fattoria didattica”. Quindi avvia la vendita diretta dei prodotti, all’inizio con un gazebo, ora in un negozio annesso all’azienda dove, oltre ai propri, vende i prodotti delle aziende agricole socie della cooperativa “Agricoltori consapevoli” che ha fondato nel 2011 per aumentare l’offerta alla clientela. Un nome strano per una cooperativa. No? «Abbiamo avvicinato solo aziende impegnate sul tema dell’agricoltura sociale che ci ha sempre contraddistinto», spiega Moncalvo. Infatti dal 2010 SettimoMiglio avvia un percorso di inclusione lavorativa con l’inserimento di disabili e dal 2011 collabora con i servizi sociali del Comune e due cooperative per esperienze di ortoterapia con minori provenienti da famiglie con problemi di giustizia e adulti disabili.
«Come agricoltori fino a pochi anni fa eravamo un problema sociale, consumavamo risorse pubbliche e molti economisti prevedevano la nostra riduzione a sole 20-30 mila aziende con grandi produzioni standardizzate. L’Italia invece è andata nella direzione opposta. Oggi la terra attira, offre occupazione perché abbiamo, ricostruito un legame con il consumatore e i giovani agricoltori lo hanno capito», spiega il neopresidente.
Ma non si nasconde che la partita più importante oggi è tutt’altro che vinta: «Si deve restituire valore al cibo e a chi lo produce. Ma per far questo, senza alzare i prezzi al consumo, è necessario accorciare la filiera alimentare». La carica per la prossima battaglia è suonata.