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 2013  dicembre 20 Venerdì calendario

SPORT E TECNOLOGIA, È DOPING ANCHE QUESTO?

Quando nel 1977 al torneo di ten­nis di Aix-en-Provence, il gua­scone romeno Ilie Nastase sconfisse il “poeta” della terra rossa, l’argentino Guillermo Vi­las - imbattuto da 46 match di fila - , ci fu chi gridò allo scan­dalo, dato l’utilizzo della mira­bolante arma segreta: la racchetta con l’in­cordatura a “spaghetti”.
Da quel giorno, l’attrezzo tennistico non fu più lo stesso: via il legno, dentro i metallici racchettoni. E la stessa cosa si è verificata nel­lo sci, addio a tutti i “legnosi” discesisti, i di­scendenti del «pipistrello umano», Leo Ga­sperl (che negli anni ’40 stupiva con indosso la brevettata “giacca-paracadute”) e benve­nuta alla tuta speedwyre (con cui nel ’97 ai Mondiali del Sestriere, Hilary Lindh vinse la libera per soli 6 centesimi) e alla fibra di vetro carbonio sotto gli scarponi.
Elogio dell’ipertecnologico, in tutti gli sport motoristici, rallentando, ma non troppo, fino alla poetica e un tempo la più artigianale del­le discipline su due ruote: il ciclismo. Lo svi­luppo tecnologico della bicicletta da corsa, in cui solo sellino e catena sono rimasti pratica­mente invariati nel tempo, ha visto, nell’arco di un secolo, dimezzare il suo peso (da 15 a 7 kg scarsi) e quindi aumentare notevolmente la velocità di un mezzo che ormai solo in let­teratura passa sotto la voce: pronipote del pio­nieristico “cavallo di ferro” (l’ottocentesco e primordiale velocipede).
Il terzo millennio ha, di fatto, sancito l’unio­ne inscindibile tra “Sport e Scienza” e per ap­profondire questo forte legame viene in soc­corso un saggio illuminante, Sportivi ad alta tecnologia (Zanichelli), scritto a quattro ma­ni dall’ingegnere meccanico Nunzio Lanotte e sua moglie, specialista in opere scientifiche, la francese Sophie Lem.
L’idea del moderno campione robotizzato o peggio ancora della “cavia elettronica” da spe­rimentazione in laboratorio, impressiona e fa discutere, ma spesso non rende ragione al no­tevole progresso e agli straordinari risultati ottenuti dagli scienziati anche nello sport. Per­tanto l’assioma di partenza dovrebbe essere: «È molto difficile che la tecnologia ti faccia vincere, ma non avere la tecnologia di sicuro ti fa perdere. La tecnologia non trasforma il “brocco” in campione, può fare solo una dif­ferenza marginale, ma nello sport di elite di­viene spesso decisiva», dice Lanotte, che è an­che consulente del Coni per le nuove tecno­logie. Tradotto con un esempio molto sem­plice: «Non è la racchetta in fibra di carbonio a far vincere un torneo a Nadal, ma provate voi a giocare contro Federer con una racchetta di legno e ne riparliamo…». Un azzardo da non tentare, specie in un’era in cui si assiste alla massima diffusione della tecnologia gra­zie alla miniaturizzazione e alla diminuzione dei costi dei componenti: sensori, processo­ri, pile e quant’altro. «La fibra di carbonio ha soppiantato legno, acciaio, alluminio ed altri materiali tradizio­nali in quasi tutte le applicazioni: vale a dire telai, ruote, caschi, imbarcazioni, pagaie, rac­chette », continua Lanotte. Partendo dalla galassia più nota dell’univer­so Sport, il calcio, fa quasi sorridere il ricordo dei “tacchetti avvitati” degli scarpini che fecero il loro debutto ufficiale nella finale dei Mon­diali svizzeri del 1954: la sfida vinta dalla Ger­mania contro l’Ungheria. Una diavoleria per i tempi, un oggetto da museo oggi che Messi e Ibrahimovic viaggiano a pelo d’erba come centometristi, su comode calzature persona­lizzate e in microfibra. Più o meno le stesse che nell’atletica fanno mettere ancor di più le ali ai piedi al figlio del vento Usain Bolt. Alla pel­le di canguro si è sostituito il mix esplosivo di poliestere immerso in una matrice di poliu­retano. Materiali più resistenti, più comodi e che quindi aiutano a migliorare la prestazio­ne.
Questo spesso comporta il dibattito sul pos­sibile sconfinamento nel territorio, illecito, del “doping tecnologico”. Ma sul tema l’esperto ri­batte pronto: «La tecnologia è uno strumen­to lecito, mentre il doping è una frode. Le vi­cende delle bici dei record dell’ora o dei su­percostumi del nuoto, entrambi prontamen­te proibiti, ci mostrano che talvolta una tec­nologia troppo innovativa provoca un fisio­logico rigetto, specie se infrange le regole in­terne alle singole federazioni».
Lem e Lanotte si riferiscono ai «record azze­rati », dopo la comparsa nel ciclismo della bi­cicletta con le due ruote tubolari lenticolari (preparata dal biomeccanico Antonio Dal Monte) in sella alla quale a Città del Messico, nel 1984, Francesco Moser stabilì il primato dell’ora percorrendo 51,151 km (il preceden­te record di Merckx del 1972 era di 49,432 km, l’attuale di Ondrej Sosenka è ridisceso a 49,700 km) e nel nuoto, ai supercostumi integrali che tra il 2008 e il 2009 avrebbero fruttato decine di primati mondiali e olimpici in quanto “gal­leggianti”. «Per test effettuati di persona – smentisce il consulente del Coni – posso ga­rantire che non è assolutamente vero che i su­percostumi galleggiassero».
La tecnologia applicata allo sport, dunque, non è quasi mai da rigettare, al limite ci si può stupire, dell’utilizzo in campo di Gps che dai cruscotti delle auto passano sui parastinchi, o che l’atleta venga connesso con Internet e che Gsm e Smartphone siano applicati diret­tamente sul corpo del campione in pista o in pedana. Tutto ciò rientra nello studio del­l’aerodinamica e dell’idrodinami­ca, fondamentali nella pro­gettazione di bici, bar­che, vele, bob, caschi e tute. «Lo sport è entrato da tem­po nella galleria del vento. Si utilizzano, poi, sia la vasca idrodinamica che il software di si­mulazione (Cfd, Computational Fluid Dyna­mics) – spiega la Lem –. Grazie a questi stru­menti di misura, ora l’atleta può essere “mo­dellizzato” e la sua prestazione studiata in o­gni singolo dettaglio».
È importantissimo in tal senso il contributo che stanno fornendo le ultime tecniche di a­nalisi delle riprese video, introdotte dai giapponesi sin dai Gio­chi di Amsterdam del 1928 per “spiare” i nuotatori a­mericani.
Risulta­to? Quattro anni dopo, alle Olimpiadi di Los Angeles, la squadra nipponica sbaragliò quel­la Usa vincendo 5 ori su sei. «Quei video era­no gli antesignani dell’attuale “match analy­sis” di dominio quotidiano nel calcio e negli sport di squadra, così come i software di ana­lisi biomeccanica vengono adottati dal nuo­to, sci, atletica e da altre discipline olimpiche». Quando la tecnologia non è invasiva, e di ciò un fenomeno del motociclismo come Valen­tino Rossi si è lamentato spesso invocando «meno elettronica sulle moto», porta co­munque con sé un sensibile miglioramento della sicurezza e del benessere psicofisico de­gli atleti. E anche in questo caso si concretiz­za con gli innovativi gel, materiali viscoelasti­ci, gore-tex. La creatività del talento non è messa in di­scussione, ma probabilmente il campione del futuro dovrà confrontarsi sempre più, oltre che con gli avversari, anche con le avanguar­distiche “nanotecnologie”, con le tecniche di manifattura su misura (stampanti 3D). E non ultimo, con l’inserimento di parti artificiali nel corpo umano, microchip e sensori sotto­cutanei compresi. Fantascienza? «Niente affatto. Forse – con­clude Lanotte –, non è lontano il giorno in cui vedremo un telaio di bicicletta che pesi 100 grammi o una canoa di due etti appena. I ma­teriali sportivi su misura diventeranno veri e propri oggetti intelligenti, capaci di cambia­re il proprio comportamento in base alle con­dizioni atmosferiche rilevate da sensori sem­pre più piccoli e accurati».