Valentina Murelli, L’Espresso 20/12/2013, 20 dicembre 2013
COM’È PURA LA MIA TERRA
Il nemico numero uno delle pesche dell’Emilia Romagna è una farfalla brunastra, la tignola orientale, le cui larve scavano gallerie nei frutti, facendoli marcire. Fino a pochi anni fa la si combatteva a forza di insetticidi, ma ora la strategia è cambiata. In primavera si collocano sugli alberi diffusori che spargono in giro una versione sintetica dei feromoni sessuali, le molecole usate dalle femmine per attrarre i maschi. I quali vanno letteralmente in confusione: nel tripudio di "profumi" perdono le tracce delle femmine e non riescono più a raggiungerle. Niente accoppiamento, niente larve e gli insetticidi crollano. Oggi il 71 per cento dei pescheti emiliani è protetto con questo sistema. Idem per la quasi totalità di meleti e viti di Trentino e Alto Adige, contro altri parassiti specifici di queste coltivazioni. Un esempio efficace di quella che si chiama difesa integrata, cioè la protezione delle colture con metodi alternativi ai pesticidi. Dal primo gennaio 2014 una direttiva europea, la 128/2009, la impone a tutti: i pesticidi si dovranno usare in modo sempre più controllato, «privilegiando ogni qualvolta possibile i metodi non chimici».
Diciamo la verità: i pesticidi o fitosanitari sono stati fondamentali per la rivoluzione verde, quella che dagli anni Sessanta del secolo scorso ha portato alle stelle le rese agricole. Però l’aria è cambiata. Perché i pesticidi costano e non possiamo più permetterci di spargerli a pioggia. Perché molti parassiti, patogeni ed erbe infestanti sono diventati resistenti proprio alle sostanze usate per combatterli. E perché preoccupano i rischi degli antiparassitari per la salute e l’ambiente. Pensiamo alle api: la comunità scientifica è d’accordo nell’indicare tra i principali colpevoli della moria registrata in tutto il mondo proprio una classe di insetticidi, i neonicotenoidi, utilizzati in particolare nel mais. Al punto che l’Unione europea ha deciso per il momento di vietarli. Insomma, servono soluzioni differenti.
Dal punto di vista normativo in Italia siamo un po’ indietro: entro fine 2012 avremmo dovuto definire un piano d’azione nazionale per l’attuazione della direttiva, che invece è ancora in bozza (la versione definitiva è attesa per fine anno). Nei campi, però, ci si lavora da un pezzo, come confermano i dati Istat: dal 2002 al 2012 i fitosanitari distribuiti per ettaro di superficie agricola sono diminuti in modo costante, da 7,2 a 5,5 chilogrammi. In dieci anni sono state distribuite 33 mila tonnellate di prodotti in meno. E secondo dati forniti dal Servizio fitosanitario della Lombardia, oggi in Italia le produzioni integrate coprono circa 1,5 milioni di ettari, l’11 per cento del totale della superficie agricola: soprattutto frutta e alcuni ortaggi, come i pomodori da salsa coltivati nelle regioni settentrionali.
E anche nelle università e nei centri di ricerca l’attenzione è alta: sono molti, infatti, i gruppi italiani che partecipano ai tanti progetti europei dedicati alla difesa integrata. Come "Pure", che punta a fornire agli agricoltori soluzioni chiavi in mano, già validate, per alcuni raccolti fondamentali come mais, vite, frumento, ortaggi e piante da frutto. O "Envirochange", che guarda avanti e si preoccupa di trovare sostituti ai pesticidi per patogeni e parassiti che potrebbero diventare importanti con il cambiamento climatico. Ma in pratica che cosa si fa per proteggere i raccolti senza troppa chimica? «Lo dice il nome, lotta "integrata"» spiega Ilaria Pertot, responsabile del dipartimento di agroecosistemi sostenibili e biorisorse della Fondazione Edmund Mach di San Michele all’Adige: «Una costellazione di strategie che solo insieme possono portare al successo». Vediamo qualche esempio.
Il primo passo è la prevenzione: fare in modo che le piante che ci interessano siano attaccate il meno possibile. Le monocolture ripetute per anni esasperano il rischio: «Funghi, batteri, acari, erbe infestanti si specializzano e diventano fortissimi», spiega Stefano Bocchi, docente di agronomia e coltivazioni erbacee all’Università di Milano. E allora conviene guardare indietro, a pratiche vecchie come il mondo. «La rotazione per esempio», precisa l’agronomo: «Quest’anno mais, il prossimo soia, quello dopo ancora sorgo. Così spiazziamo i parassiti e li indeboliamo». Oppure l’agroforestazione, termine complicato per dire che tra i campi va lasciato posto anche ad alberi, siepi e cespugli. «Eliminarli è stato un errore, perché lì stanno di casa molti organismi utili, nemici naturali di quelli nocivi per i raccolti». Così, in alcune aziende agricole sta tornando la biodiversità. E intanto ci si ingegna con qualche altro trucco. Come la falsa semina, oggi la tecnica più diffusa nelle risaie italiane per la lotta a una delle infestanti principali, il "riso crodo". L’agricoltore prepara il terreno e lo allaga, ma non semina. Aspetta. Nel giro di poco nasceranno le piantine infestanti e a quel punto interverrà con un mezzo meccanico per strapparle via. Solo allora seminerà davvero, garantendo al nuovo riso un ambiente più "pulito".
Anche la scelta di varietà resistenti a patogeni e parassiti aiuta, e qui ci si può sbizzarrire. Il metodo classico per ottenerle è l’incrocio tra varietà diverse di una stessa pianta: gli agricoltori lo fanno da 12 mila anni. Poi ci sono i controversi Ogm, che contengono geni "utili" provenienti da organismi di altre specie: in Italia non si possono coltivare ma c’è chi pensa che saranno loro i veri protagonisti dell’agricoltura sostenibile. In mezzo, comunque, c’è tutto un mondo di alternative. Come la selezione assistita da marcatori: una versione più evoluta e veloce degli incroci tradizionali, in cui ci si fa guidare dalla presenza di sequenze geniche (i marcatori, appunto) associati alle proprietà desiderate. «Ancora più interessante è la cosiddetta cisgenesi, in cui l’ingegneria genetica è usata per trasferire geni tra organismi della stessa specie», racconta Pertot: «Ricercatori svizzeri e olandesi hanno già prodotto una mela cisgenica resistente alla ticchiolatura, del tutto indistinguibile da una mela ottenuta con incroci classici».
Nonostante tutto, però, la malattia o l’infestazione possono sempre capitare. E allora intervenire si può - anzi si deve, altrimenti non si porta a casa nulla - ma ad alcune condizioni. Se pesticida deve essere, che sia il più specifico e il meno nocivo possibile. «E applicato solo dove e quando serve, non più a tappeto», afferma Lorenzo Furlan di Veneto Agricoltura, azienda regionale per la sperimentazione e lo sviluppo in ambito agricolo. La parola chiave è "monitoraggio": tenere sotto controllo il campo per capire se un certo patogeno è presente in quantità preoccupanti e intervenire solo di conseguenza. Informatica e nuove tecnologie danno una mano, come dimostra il caso del bollettino delle colture erbacee messo a punto da Veneto Agricoltura negli ultimi anni. «I modelli informatici prevedono il comportamento degli organismi nocivi», spiega Furlan: «Sulla base di queste previsioni, verificate in aziende pilota, avvisiamo via e-mail o via sms gli agricoltori sul momento migliore in cui andare a controllare la situazione e indichiamo la soglia di infestazione oltre la quale bisogna trattare. Sotto la soglia non si fa nulla. Con questo sistema, nelle aziende pilota abbiamo ridotto del 90-95 per cento il volume di alcuni trattamenti». Ora la sfida è portarlo al grosso delle imprese agricole della regione.
E c’è ancora un’arma nell’arsenale dell’agricoltura sostenibile: la sostituzione di fitosanitari di sintesi con prodotti di origine biologica. «In molti paesi sono già ampiamente usati», racconta Matteo Lorito, docente di Biotecnologie fitopatologiche all’Università di Napoli Federico II: «Da noi sono stati finora prodotti di nicchia, ma qualcosa comincia a muoversi». L’Istat registra che la distribuzione di principi attivi di origine biologica è passata dalle 30 tonnellate del 2002 alle 289 del 2012: una goccia nell’oceano, ma la crescita c’è.
Tra i grandi protagonisti del settore ci sono vari microrganismi che vivono in simbiosi con le piante, potenziandone le difese immunitarie e, in alcuni casi, attaccando direttamente i patogeni. Che il settore meriti attenzione lo dicono anche i movimenti dei big di agrofarma, che hanno avviato una vera e propria campagna acquisti di piccole aziende che si occupano di biocontrollo. A inizio 2013 Bayer CropScience ha acquisito la tedesca Prophyta, specializzata in prodotti biologici a base di funghi, mentre già nel 2009 Syngenta aveva acquistato l’americana Circle One Global, incorporando così tra i suoi prodotti un biologico per il controllo di micotossine in mais e arachidi.