Sara Bennewitz, Affari&Finanza, la Repubblica 16/12/2013, 16 dicembre 2013
L’INARRESTABILE MARCIA DEL LUSSO IN BORSA È AI MASSIMI MA C’È CHI PUÒ ANCORA CRESCERE
Il lusso continuerà a crescere e altrettanto faranno gli utili delle principali aziende italiane del settore. In Borsa invece i titoli del comparto sono sui massimi di sempre e scontano scenari molto rosei, che potrebbero essere disattesi anche solo per le fluttuazioni dei cambi. Morale: le aziende sono sane e producono più cassa di quanta non riescano a investire tuttavia i titoli sono altrettanto ben valutati.
Ma non è tutto lusso quel che luccica e anche un settore che finora non ha risentito della crisi, adesso deve misurarsi con un mercato molto competitivo. Per prima cosa aprire un negozio nelle vie prestigiose è diventato molto costoso, il che restringe il campo a pochi player e spiana la strada ai grandi gruppi che in Italia scarseggiano. In secondo luogo, molti mercati a forte crescita stanno rallentando, a cominciare dalla Cina, mentre altri maturi inaspettatamente stanno tornando a crescere, come gli Usa e il Giappone, il che imporrà alle griffe di cambiare velocemente in corsa le loro strategie distributive.
Inoltre, molte aziende scontano dei multipli da società delle dot.com ai tempi della bolla, anche perché dopo le ultime acquisizioni fatte come Bulgari, Loro Piana, Brioni e Pomellato, è chiaro che le aziende belle di medie dimensioni, ancorché storiche, possono diventare facili prede. Il pregio riconosciuto nel mondo al Made in Italy, la possibilità di essere acquistate, le dimensioni ridotte che offrono ampi margini di crescita, sono tutti fattori che rendono le società tricolori tra le più care del comparto mondiale: valgono il 15-20% in più delle rivali estere. E paradossalmente i due grandi colossi del lusso Lvmh e Kering, sono anche i titoli più economici del comparto. «Lvmh tratta a 15 volte gli utili attesi per il prossimo anno e Kering a meno di 15 volte contro una media di circa 19 volte- spiega Fabio Fazzari di Equita Sim - e questo sia perché i marchi di punta dei due colossi, ovvero Louis Vuitton e Gucci hanno raggiunto dimensioni e una distribuzione tali che è difficile mantenere una crescita a due cifre, sia perché scontano il fatto di essere condannati a fare acquisizioni anche in futuro».
Insomma se le società italiane trattano a premio per il fatto di essere tutte potenziali prede, le francesi pagano lo scotto di esser in un certo senso obbligate a crescere anche e soprattutto per linee esterne. «I prezzi pagati da questi gruppi per le ultime operazioni - osserva Fazzari - data la scarsità dell’offerta di marchi buoni, sono difficili da giustificare in termini di ritorni sull’investimento a medio termine». Ma Lvmh e Kering acquistano con un’ottica di lunghissimo periodo, è quindi con logiche diverse da quelle degli investitori finanziari. «Burberry invece a nostro giudizio ha ancora ampi margini di crescita - spiega l’esperto di Equita e sia per il riacquisto delle licenze in Giappone, sia per il potenziale delle attività nella cosmesi e nella profumeria che ha ricomprato, riteniamo che abbia ancora importanti margini di upside». Burberry è inoltre una vera pubblic company, ma il fatto di essere grande e molto efficiente, finora l’ha salvata dalle incursioni ostili.
Le aziende Europee, oltre a dover fare i conti con economie e consumi stagnanti, devono misurarsi con il fatto che i consumatori locali sembrano sempre meno interessati a determinati branddi lusso. «I marchi del lusso devono stare attenti a non perdere i loro consumatori europei spiega Claudia D’Arpizio, partner di Bain & Company e guru del settore lusso -. E questo sia per diversificare il rischio, dato che i paesi emergenti stanno rallentando, sia perché i mercati maturi rappresentano comunque il 50% del bacino dei prodotti di lusso».
Il consumatore europeo è inoltre quello che detta le mode, poi seguite dagli Usa (maggior mercato al mondo) e dal Giappone. «È un fenomeno che si sta verificando un po’ perché si è scelto di accontentare anche i gusti dei nuovi consumatori - incalza la D’Arpizio - e un po’ perché si è spinto sulla distribuzione diretta a scapito dal canale whoolesale, disaffezionando il cliente della provincia ricca, dove invece il monomarca spesso non arriva». Alcuni marchi, invece, hanno fatto della coerenza ai propri valori una bandiera: è il caso di Brunello Cucinelli, che al momento ha anche il primato di essere quella più cara in termini di valutazioni, sia per l’esclusività del marchio sia per le dimensioni ridotte anche in termini di distribuzione.«Abbiamo avuto un 2013 particolarmente bello perché siamo identificati come un’azienda italiana di alto artigianato - spiega Brunello Cucinelli- e dal 2014 ci aspettiamo un altro anno speciale. Le vendite della campagna estiva sono appena finite e sono particolarmente contento». Per la stagione invernale, Cucinelli presenterà a Pitti la prima collezione abiti uomo, dopo l’acquisizione del ramo di azienda d’Avenza. Resta però che il titolo tratta a premio perfino rispetto a Hermés. «Ma siamo fortunati ad avere investitori di lunghissimo termine - minimizza Cucinelli - la metà dei nostri soci sono fondi americani: il 38% sono inglesi e solo l’8% del nostro capitale è in mano a investitori italiani ». Ma anche Tod’s è sempre rimasta fedele all’eredità della griffe, solo che il gruppo controlla due marchi come Fay e Hogan che sono noti soprattutto in Italia, e produce ma non controlla il brand Roger Vivier. Il fatto di essere molto dipendente dai consumi domestici, penalizza l’azienda di Diego Della Valle, che di fatto ancora non è riuscita a internazionalizzare gli altri due marchi di proprietà, né a emancipare il marchio Tod’s dalle calzature che ancora pesano per oltre la metà dei ricavi. Per questo motivo i giudizi degli analisti su Tod’s sono neutrali, con target che oscillano tra 100 e 125 euro per azione. Ferragamo, invece, partendo dalle scarpe si è ritagliata spazi anche in abiti e accessori e ha il pregio di essere più famosa negli Usa che in patria. La ridotta marginalità del brand fiorentino, la scarsa rete di negozi diretti rispetto alle rivali e la ramificazione della famiglia Ferragamo che porta a scommettere su futuri riassetti, rendono il titolo interessante agli occhi degli investitori, ma i prezzi raggiunti dal titolo portano gli analisti a essere cauti.
Quello che gli italiani non sono riusciti a fare nella moda e nella pelletteria, dove a eccezione di Prada ( vedere box) non ci sono gruppi capaci di competere da pari con i colossi esteri, sono invece riusciti a realizzare nell’occhialeria, dove quattro delle maggiori cinque società al mondo sono italiane. Ma anche Luxottica è sui massimi. Il colosso mondiale e unico gruppo ad avere un buon mix di marchi propri e in licenza, oltre a una potente rete distributiva, tratta a premio del 10% rispetto ai multipli storici. Se è vero che la società guidata da Andrea Guerra è più efficiente che in passato, è anche vero che date le sue dimensioni e le difficoltà di alcune divisioni come LensCrafters, è difficile immaginare una crescita a due cifre per linee interne. Resta che aumentare i ricavi del 7% all’anno consente al gruppo di incrementare i profitti del 15-20% che è comunque un discreto risultato.
Safilo, invece, si trova di nuovo in una fase di cambiamento e gli analisti aspettano di capire cosa vorrà fare il nuovo management per far crescere il gruppo di Padova. Infine Italia Independent è tanto piccola quanto interessante e di sicuro ha ottimi potenziali. «La quotazione ci ha dato solidità e credibilità - osserva l’ad del gruppo Andrea Tessitore - abbiamo tanti progetti per il 2014 e siamo fiduciosi di poter continuare a crescere sviluppandoci soprattutto all’estero,». Dopo Milano, il gruppo conta di aprire a Parigi, New York e Miami e intanto lavora a nuove collaborazioni anche con l’agenzia Independent Ideas.