Paolo Salom, Io Donna 14/12/2013, 14 dicembre 2013
ORO IL SOGNO DEGLI UOMINI-TALPA
Nemmeno il gelo di un inverno spietato che trasforma le praterie in distese di ghiaccio riesce a fermare i “minatori ninja” della Mongolia. Ci vuole ben altro: nelle vene di questi instancabili avventurieri scorre il sangue di Gengis Khan, l’uomo- leggenda, il Padre di una nazione fiera che, nel passato, ha soggiogato quasi tutto il mondo conosciuto.
Oggi i suoi eredi vivono in un Paese sterminato (grande cinque volte l’Italia) che si è scoperto un Eldorado delle risorse naturali. Così, mentre le più grandi compagnie del mondo fanno a gara per ottenere licenze di estrazione dal governo di Ulan Bator, i ninja sfidano le autorità e scavano miniere “private”sui resti di grandi giacimenti abbandonati o in mezzo alla steppa, solo perché si è diffusa la voce che nelle viscere dell’oceano verde che ricopre il Paese asiatico ci sono oro, rame o qualche altro prezioso minerale.
«Spostiamo tonnellate di roccia ogni giorno, ci spacchiamo le mani, la tosse non ci abbandona un attimo» ha raccontato Chinzoring un minatore di 60 anni, al documentarista David Rengel. «Ma alla fine ci riempiamo le tasche d’oro. E l’oro cura ogni malattia».
Anche il freddo insopportabile che in queste zone del mondo raggiunge medie di 25 gradi sotto zeroa gennaio. O il caldo afoso che durante la breve estate trasforma le distese d’erba in polvere che riempie occhi e narici.
Ci sono 1.083 miniere nel Paese. Di queste soltanto 419 sono legali. Ma migliaia sfuggono a un censimento per forza di cose approssimativo. È sufficiente che una famiglia si allontani dalle strade battute per provare la fortuna nella vastità silenziosa - un tempo attraversata dalle orde che andavano a conquistare Paesi lontani - e sfidare condizioni proibitive: presto di loro si perderà ogni traccia. Per mesi l’orizzonte è il fondo di un’oscura galleria, o la base di un pozzo precario dove raschiare la roccia diciotto ore ogni giorno, tutti i giorni.
Il guadagno che ne possono trarre supera qualunque altra attività “tradizionale”, come la pastorizia, ormai in forte declino in tutta la Mongolia: fino all’equivalente di 500 euro al mese, una piccola fortuna (gran parte della quale sarà però spesa in alcolici). Secondo il governo, negli ultimi anni sono centomila i mongoli che hanno scelto di diventare minatori ninja. Ma questa cifra potrebbe essere tre volte più grande. Considerato che l’intera popolazione supera di poco i tre milioni, è come dire che dieci su cento lavorano sotto terra.
I ninja: li chiamano così, in Mongolia, perché quando scavano si sistemano sulla schiena la bacinella verde che usano per setacciare il terreno, e così sembrano le tartarughe mutanti dei cartoni animati. Ma il loro non è un gioco. «Con la mia famiglia - ha raccontato Khorloo, un minatore di 66 anni - ho trovato una pepita che vale 5.000 euro. Un vero tesoro. Però abbiamo dovuto scavare tre anni per raggiungere la vena aurifera».
L’altra faccia di questa moderna corsa alla ricchezza, che ricorda le avventure nel Klondike di fine Ottocento, è la devastazione che si impadronisce di una terra splendida ma avara e, soprattutto, dall’equilibrio delicato. I buchi sparsi ovunque, le fosse che si allargano sempre più alterano la natura del terreno e cancellano i pascoli.
Un serpente che si morde la coda: sempre più pastori, per tradizione nomadi, abbandonano la vecchia vita per inseguire un sogno con il colore dell’oro o il luccichio del quarzo. D’altro canto, per questi viaggiatori instancabili lo spazio si ridurrebbe comunque, anche perché nel business legale ci sono giganti mondiali, come Rio Tinto (multinazionale britannico-australiana che ha l’esclusiva sul gigantesco giacimento di rame di Oyu Tolgoi) che animano un’economia in forte espansione.
La Mongolia, tanto per far comprendere il clima che sta vivendo, cresce ogni anno con una media a due cifre: il 12 per cento e più. Chi può arrestare questo sviluppo? I mongoli vivono questo boom con animo inquieto. Temono la crescente influenza del mondo esterno sul loro fiero Paese, e per questo si moltiplicano le proteste (per esempio contro la citata Rio Tinto).
D’altro canto, le autorità fanno quello che possono per arginare le perforazioni illegali dei ninja e, ogni volta che sorprendono qualcuno all’opera, sequestrano subito i materiali di scavo. Tuttavia è quasi impossibile controllare un Paese vasto come la Mongolia (la zona dove si concentrano più ninja è a Zaamar, a cinque ore d’auto da Ulan Bator, in condizioni normali: cioè poche settimane l’anno) e quindi per una miniera illegale che viene chiusa, ne sorgono altre tre qualche chilometro più in là.
Naturalmente in aree senza servizi o strutture ospedaliere che possano prestare aiuto in caso di emergenza. Tante volte basta un dzud, una siccità estiva seguita da un inverno insolitamente rigido - ovvero con temperature che raggiungono picchi di 40 e più gradi sotto zero - per cambiare il destino di tanti, troppi ninja. E spegnere il loro sogno, il loro Eldorado.