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 2013  novembre 28 Giovedì calendario

L’EX AGENTE FBI OSTAGGIO RECORD: È SPARITO IN IRAN DA 2547 GIORNI


L’americano Robert Levinson è l’ostaggio al centro del più lungo sequestro di persona. Dal 9 marzo 2007, quando scompare sull’isola iraniana di Kish nel Golfo Persico, sono passati 2457 giorni ovvero tre in più del periodo di prigionia, nelle mani degli Hezbollah libanesi, di Terry Anderson, anch’egli americano, liberato nel 1991. L’ultima traccia di Levinson è la firma che appose sul foglio del check out dall’Hotel Maryam di Kish, dove era arrivato per condurre un’indagine sul traffico di sigarette nell’ambito della propria attività di investigatore privato iniziata dopo aver lasciato l’Fbi, per cui aveva lavorato durante 28 anni nella sede di New York. Poiché il suo nome non figura nelle liste dei passeggeri in partenza da Kish nei giorni seguenti, in aereo o in traghetto, da quel momento Levinson scompare nel nulla, anche se il 4 aprile successivo il canale iraniano PressTv afferma che «è nelle mani delle forze di sicurezza iraniane che stanno espletando le formalità procedurali e potrebbe essere liberato in pochi giorni».
Il 23 marzo di quell’anno i Guardiani della rivoluzione iraniana catturano nelle acque del Golfo 15 marinai britannici e Washington matura la convinzione che Teheran voglia trattare su entrambi i fronti, forse per ottenere il rimpatrio di alcuni pasdaran imprigionati dalle forze alleate in Iraq. Ma il 4 aprile i britannici vengono rilasciati mentre di Levinson non c’è traccia. Nel dicembre del 2007 la moglie Christine e il figlio Dan si recano a Teheran e Kish - respingendo i moniti del governo americano a non farlo - incontrano funzionari della Repubblica Islamica, ma non ottengono alcuna conferma sulla sorte del marito, che soffre di diabete, gotta e ipertensione. Washington non ha dubbi sul fatto che sia detenuto dagli iraniani. Il presidente George W. Bush, nel giugno 2007, si dice «scosso» dalla decisione di Teheran di «rifiutare di ammetterne la cattura» e nel gennaio del 2009 il senatore della Florida Bill Nelson rivela che Levinson è «detenuto in una prigione segreta in Iran». Dopo l’insediamento alla Casa Bianca, Barack Obama pone agli iraniani gli interrogativi sull’ex agente Fbi, padre di sette figli, durante i contatti segreti con gli inviati di Alì Khamenei, Leader Supremo della rivoluzione.
Le prime prove sul fatto che l’ostaggio è ancora vivo vengono consegnate alla famiglia al termine del 2010. Si tratta di un breve video e cinque foto nelle quali appare molto indebolito e dimagrito. La qualità delle immagini è talmente professionale da togliere ogni rimanente dubbio a Washington sul fatto che l’ostaggio si trova nelle mani dei servizi segreti iraniani e nel marzo del 2012 l’Fbi offre una ricompensa di 1 milione di dollari a chiunque fornisca informazioni utili a farlo tornare in libertà, con una decisione da cui trapela la convinzione che potrebbero esservi divisioni a Teheran sulla gestione del sequestro. Il presidente iraniano Mahmuud Ahmadinejad parla pubblicamente di Levinson in due interviste a tv americane: nel 2008 dice alla Nbc che «i suoi famigliari sono venuti in Iran e hanno ricevuto delle risposte» mentre nel 2012 aggiunge alla Cbs che «funzionari dell’intelligence americana e iraniana ne hanno parlato durante un incontro senza trovare un’intesa». Quando il nuovo presidente iraniano, Hassan Rohanì, parla con Obama al telefono il 27 settembre scorso discutono anche di Levinson, che ha 65 anni, e degli altri due americani scomparsi in Iran: l’ex marine Amir Hekmati e il pastore Saeed Adedini. D’altra parte Rohanì, in un’intervista a Charlie Rose, sempre in settembre, si spinge più in là del predecessore: «Non conosco i dettagli della scomparsa di Levinson ma quando una persona svanisce la famiglia soffre ed è naturale che tutti debbano aiutarla». Come dire: non ero al governo all’epoca della scomparsa, non ne sono responsabile, ed ora c’è la possibilità di trovare una soluzione.
L’intesa interinale raggiunta a Ginevra sul programma nucleare iraniano crea un clima che fa sperare alla moglie Christine in una possibile svolta. Anche perché, in coincidenza con il record di durata della detenzione, la Casa Bianca si rivolge con un comunicato scritto esplicitamente a Teheran «chiedendo rispettosamente di garantire la salute e il salvo ritorno a casa di Robert Levinson». Ciò significa che nel canale segreto di negoziati fra Washington e Teheran, creato sul nucleare grazie ai buoni uffici del Sultano dell’Oman, ora si sta discutendo anche della sua sorte. Forse nell’ambito di un possibile scambio di prigionieri fra le due parti, come ne avvenivano fra Usa e Urss durante la Guerra Fredda. D’altra parte la necessità di cementare l’intesa di Ginevra con «misure di confidenza reciproca» e «atti bilaterali» accomuna in questo momento Washington e Teheran. Resta tuttavia da vedere quale è la vera entità del riscatto che i sequestratori di Levinson si propongono di ottenere. Come restano da appurare i reali motivi che portarono Levinson a visitare Kish, dove secondo il «New York Times», incontrò Dawud Salahuddin, un cittadino americano che aveva lasciato gli Usa nel 1980 dopo aver assassinato a Washington un ex collaboratore del deposto Shah di Persia.