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 2013  novembre 28 Giovedì calendario

QUANDO IL COMPAGNO GIORGIO ESALTAVA LA DOTTRINA DI LENIN


Manca la traduzione dal russo. Sì, perchè a furia di leggere citazioni del compagno Lenin viene il dubbio che l’opera si stata scritta direttamente dal padre fondatore dell’Unione sovietica. E invece no: a firmare il dotto saggio Movimento operaio e industria di Stato non è il compagno Lenin, ma il compagno Giorgio Napolitano. Proprio lui, il futuro doppio presidente della Repubblica. È il 1962, cinquantuno anni fa, un’eternità: il tempo ha sbriciolato le ideologie e ha piegato regimi d’acciaio come quello installato a Mosca. Ma nel 1962 il comunismo è ancora il sol dell’avvenire, il muro di Berlino è fresco di calce e la Guerra fredda tocca il suo picco più alto con la crisi cubana.
Giorgio Napolitano, allora trentasettenne, comunista e migliorista, prende la penna e scrive alcune considerazioni su quel colosso chiamato Iri. Poche righe sono più che sufficienti per capire che il giovane Napolitano si muove dentro una gabbia ben precisa: «In Lenin- nota l’attuale capo dello Stato - accanto alle audaci impostazioni del periodo della Nep (Nuova politica economica, ndr ) sulla “necessità di ripiegare sulle posizioni del capitalismo di Stato”, sulla possibilità di una “combinazione”fra stato sovietico, dittatura del proletariato e capitalismo di Stato, sullo sforzo da compiere per “incanalare” il risorgente capitalismo nell’alveo del capitalismo di Statoimpostazioni che tutte evidentemente avevano per premessa l’avvenuto passaggio del potere statale nelle mani della classe operaia- si trova qualche prezioso accenno a situazioni diverse, che non siano, o non siano ancora caratterizzate dall’esistenza di una dittatura proletaria, di uno Stato proletario».
Il maestro Lenin, che per Napolitano è la bussola e anche qualcosa di più,parla certamente dell’Unione Sovietica che dal 1917 è nelle mani dei bolscevichi, ma ha anche teorizzato quel che i compagni devono fare, bontà sua, negli stati a trazione borghese. E quei suggerimenti, «preziosi», vengono saccheggiati dal giovane Napolitano per impostare i suoi ragionamenti. Lenin, attraverso citazioni sempre più tortuose, detta la linea: «Nel settembre 1917 egli infatti sottolineava come già la sostituzione allo “Stato degli junker e dei capitalisti” di uno “Stato democratico rivoluzionario”, di uno “Stato cioè che distruggesse in modo rivoluzionario tutti i privilegi e che non temesse di attuare in modo rivoluzionaria democrazia la più completa” avrebbe fatto sì che il capitalismo di stato significasse “un passo, la marcia verso il socialismo” ». La marcia del lettore è faticosa, come sui tornanti di un passo dolomitico, ma la conclusione è chiara: più industria di Stato, più pubblico, più Iri, vuol dire un avvicinamento progressivo al socialismo e quindi alla felicità e a tutto il resto. Oggi, e senza voler disconoscere i meriti straordinari dell’Iri, si direbbe che Napolitano ha benedetto la dilatazione abnorme della cosa pubblica con tutto quello che ne è conseguito: deficit, spese incontrollabili, sprechi, assunzioni a pioggia e clientelari, carrozzoni ingovernabili sulle spalle dei contribuenti.
Ma il punto è un altro ed è politico: l’ossessione del giovane Napolitano, che pure appartiene alla corrente di destra del Pci, per Lenin. Del resto la domanda che l’autore si pone a pagina 21 è assai chiara: come realizzare «la via italiana al socialismo nel quadro, insomma, di una prospettiva rivoluzionaria? ». Altro che revisionismo. Con la testa il Napolitano del 1962 starebbe a Berlino Est, dall’altra parte del muro.Napolitano nel 1962 è con Lenin e con l’Urss anche se ha iniziato la sua lunga marcia dentro le istituzioni che lo porterà fino al Quirinale. E Lenin torna ovunque, riga dopo riga, in un andirivieni frenetico di citazioni e virgolette aperte e chiuse: «Assai nota è la definizione di Lenin, secondo cui il capitalismo monopolistico di Stato«è l’anticamera del socialismo».
Non è stato così. Il socialismo, quel socialismo grigio è tenebroso, non c’è più, l’Unione Sovietica è un cimelio da museo e la Nep, la Nuova politica economica varata nel 1921 e elogiata da Napolitano, è nei manuali di storia. È andata in un altro modo. Per tutti, soprattutto per lui.Ma questa è un’altra storia.