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 2013  novembre 28 Giovedì calendario

DAL FISCO AI LAVORI: LE TANTE INCOMPIUTE IN ECONOMIA


Della rivoluzione liberale promessa e, soprattutto, della liberazione dell’economia dalla stretta del fisco e dal gigantismo burocratico è rimasto solo il sogno. Un sogno reso oggi ancor più amaro dalla peggiore contrazione macroeconomica del dopoguerra, che ha bruciato 9,1 punti di Pil in sei anni e fatto schizzare debito pubblico e pressione fiscale a livelli di un paese sull’orlo del default. Quella della politica economica dei governi del Cavaliere è una storia fatta di salti in avanti e drammatici retromarcia. Tentativi (tanti) che quasi mai hanno superato la barriera dell’annuncio perché quasi mai, davanti ai tanti gruppi di interesse contrapposti, la volontà di andare avanti è prevalsa. Il racconto non può che partire da quel lontano 28 settembre del 1994, quando il primo governo Berlusconi, con un decreto, sospese i pensionamenti d’anzianità e subito dopo con la Finanziaria varò i tagli sui pensionamenti anticipati (importo ridotto del 3% per ogni anno in meno rispetto all’età di vecchiaia) e la ridusse dal 2% all’1,75% il coefficiente di rendimento dei contributi. Scoppiò una mezza rivoluzione, la Lega si mise di traverso e alla fine, dopo la grande manifestazione del 12 novembre a Roma, Berlusconi ritirò i tagli e poco dopo cadde il suo governo.
Sette anni dopo la ridiscesa in campo si materializzò con il famoso Contratto con gli italiani, firmato a Porta a Porta l’8 maggio del 2001, cinque giorni prima delle elezioni poi vinte. Cinque punti secchi e una promessa: se non se ne realizzano almeno quattro, Silvio Berlusconi s’impegna a non ripresentarsi più. Sull’attuazione di quel programma il dibattito non s’è mai chiuso. Ma alcuni punti fermi ci sono. Berlusconi voleva passare ad un sistema a due aliquote, una al 23% (per i redditi fino a circa 100.000 euro) e una al 33% (per i redditi oltre i 100.000 euro), con l’aggiunta dell’esenzione dalle tasse per i redditi minori di 11.000 euro; prevedeva inoltre l’abolizione totale delle tasse sulle successioni e le donazioni. Risultato: sono cambiati gli scaglioni fiscali e fino a 7.500 € è arrivata l’esenzione ma le aliquote sono rimaste quattro. E secondo i dati Bankitalia la pressione fiscale dal 2001 al 2006 è cresciuta di un punto, dal 44,4% al 45,5. Nel frattempo sono infatti aumentate anche le imposte locali e le tariffe; solo le tasse sulle successioni e le donazioni sono davvero abolite. Le pensioni minime a un milione al mese sono in effetti arrivate (551 euro le minime con piena indicizzazione all’inflazione) ma ci si è solo avvicinati all’obiettivo del dimezzamento del tasso di disoccupazione con la "creazione" di un milione e mezzo di posti di lavoro, nonostante il grande risultato di una vera riforma di sistema del mercato del lavoro, realizzato a un prezzo altissimo, la vita del giuslavorista Marco Biagi, trucidato dalle Brigate Rosse. Guardiamo ai dati Eurostat: al gennaio 2001 il tasso di disoccupazione era il 9,9% (il dimezzamento avrebbe richiesto di scendere quindi al 4,95%); cinque anni dopo, nel 2006 era sceso al 7,1%, il minimo storico ma comunque al di sopra del 4,95%. Nonostante nel 2006 si sia raggiunto il massimo storico di occupati, pari a 22,5 milioni, l’incremento totale degli occupati era stato 1.074.000 unità.
C’era poi la promessa del l’apertura dei cantieri per il 40% degli investimenti previsti dal "Piano decennale per le Grandi Opere". Risultato? Valutando unicamente le effettive aperture dei cantieri, i dati del ministero delle Infrastrutture mostrano che a gennaio 2006 si è raggiunto il 21,4% degli investimenti previsti.
Fuori dal Contratto rispettato o meno, di quella stagione resta il ricordo di un avanzo primario bruciato (era oltre il 4% nel 2001 e nel 2006 era a zero) di una spesa pubblica in crescita (dal 42 al 44% del Pil e, come si diceva, di una pressione fiscale mai trascinata sotto la soglia del 44-45%.
Numeri che avrebbero seguito come una maledizione Berlusconi fino all’ultima esperienza di Governo, quella del 2008, guadagnata quando la crisi dei subprime prima e di Lehman Brothers poi aveva già aperto le spaccature più preoccupanti che avrebbero poi scatenato la crisi dei debiti sovrani del 2011, anno dell’abbandono del timone di Palazzo Chigi (16 novembre) con un debito pubblico al 120,1% del Pil.