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 2013  novembre 28 Giovedì calendario

LE MANI STRANIERE SUI NOSTRI VIGNETI “QUI LA CAMPAGNA VALE COME L’ORO”


«A. A. A. Langhe vendesi. Prezzi interessanti. Astenersi non abbienti». Hanno ancora cento colori, i vigneti del barolo. Anche se spogliati dai grappoli, sono belli e soprattutto preziosi. Le viti raccolte in un quadrato con lato di cento metri (un ettaro, pari a una volta e mezzo un campo da calcio) costano infatti un milione di euro. «E il problema non è trovare chi compra, ma chi vende». Da anni le Langhe più preziose, quelle del barolo e del barbaresco, sono diventate un Cantone svizzero. E con la crisi la trasformazione dei vigneti in una sorta di caveau all’aperto è diventata sempre più veloce. Terra come bene rifugio, come investimento per chi non si fida più delle Borse di Zurigo o di Wall Street. Un milione un ettaro di barolo, 500-600.000 euro per il barbaresco. Un milione anche per un ettaro dei vigneti più pregiati della Toscana e dell’Alto Adige. Dal 2007 al 2012 — anni in cui la crisi ha fatto crollare del 13% i prezzi delle abitazioni — il costo della terra ha invece tenuto, aumentando anzi del 2%. E la presenza degli stranieri nello stesso periodo è salita dell’11%, con 17.286 fra svizzeri (16%), tedeschi (15%), francesi (8%), romeni (5%), statunitensi e inglesi (4%) e belgi (3%) trasformati in imprenditori agricoli lungo l’intero Stivale.
«Nelle nostre Langhe — raccontano Fabrizio Rapallino e Gualtiero Menardi, tecnici della Coldiretti di Alba — il fenomeno più nuovo e preoccupante è l’arrivo dei fondi di investimento stranieri che usano la terra invece dell’oro o del petrolio. Cercano vigneti affittati, così non si occuperanno della gestione ». «Bisogna evitare — racconta Andrea Berti, che per l’associazione nazionale segue l’area economica — le operazioni speculative di quanti scelgono i terreni come bene rifugio alternativo agli investimenti più tradizionali, facendone schizzare le quotazioni verso l’alto e ostacolando quindi l’acquisto da parte degli imprenditori agricoli. Come potranno, i nostri giovani imprenditori, trovare un pezzo di terra e avviare un’impresa?».
Ma basta entrare nelle cascine dove i nuovi contadini parlano con accento svizzero o belga per capire che c’è anche un’altra faccia (buona) della medaglia. «Noi, come tanti altri qui intorno — dicono Alexander Bion e Charlotte Ineichen, arrivati da Zurigo per vivere e lavorare nella cascina Mucci — non siamo speculatori ma innamorati. Eravamo insegnanti di matematica e fisica, questa era la nostra casa di vacanza. Poi abbiamo capito che non si può stare tutto il santo giorno a guardare le nuvole. Ci piaceva il vino buono e abbiamo cominciato a produrlo. Diecimila bottiglie in tutto, che vendiamo in Svizzera e Danimarca. La produzione non è alta, ma facciamo tutto noi e allora non c’è un giorno libero».
La casa è stata ristrutturata, la piccola cantina è modernissima. «Noi non abbiamo portato via il lavoro a nessuno. Il vecchio proprietario non riusciva più a curare il vigneto. La cascina era poco più di un rudere». I racconti e le leggende rimbalzano da una collina all’altra. Si parla di un finanziere della Goldman Sachs che si sarebbe comprato venti ettari, di grossi manager di banche e assicurazioni svizzere e americane che hanno abbandonato una vita di stress per cercare la pace, investendo nelle vigne i profitti di affari e speculazioni. «Dobbiamo stare attenti — dice Bruno Rivarossa, direttore della Coldiretti Piemonte — a chi usa la terra come un caveau di una banca. Ma da noi tanti stranieri, svizzeri in testa, ci hanno insegnato a guardare con occhi nuovi la nostra terra. C’erano tanti cascinali abbandonati, tanti ciabot (casette per il ricovero degli attrezzi) diroccati… I nostri contadini li avevano dati per persi, per loro non valevano più nulla. Gli svizzeri amano i luoghi isolati, con una bella vista, ed hanno recuperato tutto. Hanno rimesso in mostra le vecchie pietre delle case, hanno trasformato i fienili in ville e cantine…».
Loredana e Annamaria Rivetti, produttrici di nebbiolo, barbera e dolcetto, guardano con invidia chi può acquistare le vigne del barolo. I loro buoni vini costano dai 4 ai 6 euro la bottiglia. Un barolo parte da 25 euro, e con un ettaro si riempiono 7.500 bottiglie. «C’è però un mercato per tutti, se si è bravi. Certo, dovessimo comprare un mezzo ettaro oggi, non sapremmo come fare. E questo impedisce che altri ragazzi possano diventare vignaioli ». Dall’azienda le Cecche, Jan De Bruyne, ex medico belga e sua moglie Paola Invrea, ex insegnante italiana si godono un panorama a 360 gradi e il Monviso là in alto. «Abbiamo iniziato con 3.500 bottiglie e ora siamo a 35.000. Le soddisfazioni non mancano. Abbiamo il marchio Slow food, riviste inglesi come Decanter danno al nostro barolo 91 punti su 100. Ma si lavora dal mattino alla sera, si viaggia non per divertimento ma per vendere. Eravamo venuti in vacanza nelle Langhe due volte e abbiamo deciso che questo era il “nostro” posto. Guardi i colori delle vigne. Solo così può capire l’effetto che fa su una persona che ha vissuto 50 anni a Bruxelles».