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 2013  novembre 18 Lunedì calendario

COPPA DAVIS SALVATELA


Molti aficionados, e io tra loro, hanno seguito in TV le fasi conclusive della finale di Coppa Davis, tra Repubblica Ceca e Serbia. Come sempre mi sono irritato per l’eccesso di nazionalismo, spesso degradato in sciovinismo, dei tifosi, che niente hanno a che vedere con noi aficionados. Un pubblico identico a quello del calcio o del basket, reso ancor più rumoroso dai preservativi da elefante, ultima trovata sonora e ormai irrinunciabile di ogni vicenda in cui entri in gioco il tifo.
Nell’osservare questa finale, al di là del tifo che mai sarebbe permesso in una partita dello Slam, mi sono venute in mente alcune cosette. La Davis era nata sul finire del secolo scorso, quando due appassionati tennisti americani, il Dottor Dwight e il suo pupillo Dwight Davis, concretizzarono l’idea, venuta dapprima in Europa al Dottore, primo tennista americano internazionale, N.8 delle classifiche britanniche. La coppa, cesellata dai gioiellieri Shreve, Crump e Lowe, di Boston come il Dottore, venne giocata tra USA e GB, che inviò con sufficienza un team privo dei Fratelli Doherty, abituali dominatori di Wimbledon, e perse. Nel 1901 gli inglesi si rifiutarono di giocare, ma nel 1903, sempre a Boston, si ripresero la Coppa. Si dovette attendere sino al 1907 perché una nazione immaginaria, la Australasia, iscrivesse due tennisti, Wilding e Brooks, neozelandese l’uno e australiano l’altro, per evitare il duopolio anglo-americano, e portare la Coppa a Melb ourne, la fine della guerra ‘15-‘18 per una diffusione europea, e il 1922 per vedere l’Italia battere per ritiro il Giappone, e perdere dalla GB a Londra 4 a 1.
Tutto ciò, ritiene oggi più d’uno, potrebbe finire, o quantomeno continuare con un’altra formula. Va notato dapprima che la Davis è organizzata dalla ITF (Federazione Internazionale), la stessa istituzione che detiene i 4 tornei Grande Slam, mentre il resto della stagione è amministrata dalla ATP (Ass.Professionisti) che ha come unico scopo il guadagno. I premi della Davis sono quindi molto meno incoraggianti per i campioni, e questa è una delle cause della loro reticenza a giocarla. Altra causa il calendario, che vede una fase importante della Coppa seguire immediatamente gli Australian Open e la fase finale addirittura successiva allo US Open.
Per riferirci a quest’anno, non abbiamo così visto in Davis per varie cause Nadal (infortunio) Federer (gioca per solito solo gli spareggi, consentendo così al suo paese, la Svizzera, almeno la permanenza in A) Del Potro (liti continue con dirigenti federali e il capitano) e altri. Ha giocato Murray, in serie B, con una Gran Bretagna priva di un dignitoso secondo giocatore, e abbiamo appena visto oggi Djokovic e Berdych, uno associato a tale Lajovic, N. 117 della classifica, e il secondo insieme a Stepanek, semiveterano ormai dedito al doppio, e all’accanita seduzione di tenniste.
Per restituire la Davis ai passati splendori, il miglior Presidente della ITF (e mio partner di doppio), il compianto Philippe Chatrier, aveva più volte avanzato l’ipotesi di renderla simile ai mondiali di altri sport a squadre, ritagliando per le prime otto una settimana o due, alla fine della stagione, in sede unica. Ora, dopo che le assenze sembrano divenute ancor più fitte, giungendo ad esempio a quelle di un’intera squadra, quella spagnola, con i suoi tre titolari, Ferrer, Verdasco e Almagro - oltre al convalescente Nadal – contro iIl Canada di un solo buon tennista, Raonic, si parla non solo di sede unica, ma di incontri dalla formula abbreviata, a tre set, e anche ai tre punti finali. O addirittura di una formula quadriennale, come accade abitualmente nel calcio. Una formula che permetterebbe di concentrare soprattutto la pubblicità, quella degli sponsor e la televisiva, che rappresentano, in fondo, l’unico scopo della ATP.
Secondo me, l’ostacolo principale rimane la divisione e la guerra sotterranea tra la ITF, e la ATP. Soltanto da un accordo tra le due, da un aumento dei premi dai quali i poveri milionari non sono in grado di prescindere, e da un calendario meno caotico potrebbe uscire una Davis rinnovata e qualificata. Senza nessuna di simili ristrutturazioni la Davis è destinata soltanto a peggiorare, e a rimanere nelle mani di paesi che non rappresentano certo l’avanguardia del gioco, secondo l’antico proverbio francese, ora riadattato “c’est l’argent qui fait le tennis”.