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 2013  settembre 28 Sabato calendario

IL FORZIERE E’ IN COMUNE

Governo che scegli privatizzazioni che trovi. Dopo quello guidato da Mario Monti, che ha iniziato a fare cassa girando Sace, Simest Fintecna alla Cdp, con un introito stimato di 10 miliardi (ed effettivo di 8,8 miliardi), adesso è l’esecutivo guidato da Enrico Letta ad avere riaperto il capitolo dismissioni. Se uscirà in piedi dalla bufera seguita agli ultimi sviluppi delle vicende giudiziarie dell’ex premier Silvio Berlusconi, si vedrà presto se e quali azioni concrete metterà in atto. Per ora, però, al di là dei buoni propositi contenuti nel documento Destinazione Italia e alla promessa di stilare un elenco degli asset valorizzabili entro la fine dell’anno, il primo atto concreto del governo Letta è stata una revisione al ribasso degli introiti che si potranno ottenere dalle dismissioni. La recente nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza (Def) ha dimezzato la precedente stima dal1’1% di pil l’anno (15-16 miliardi) a un meno ambizioso 0,5% del pil (7-8 miliardi). Anche se non è affatto scontato che questo nuovo e più modesto target sia facile da raggiungere, anzi. Soprattutto perché i due terzi del patrimonio pubblico (stimato in 350 miliardi di euro) sono nelle mani delle Regioni e degli Enti locali, con tempi di valorizzazione e successiva dismissione che non potranno essere brevi. Il valore delle partecipazioni quotate oggi in pancia al ministero dell’Economia (Eni, Enel, Fimneccanica e StMicroelectronics) si aggira intorno a 12 miliardi di euro, mentre quello delle non quotate è stimato in circa 30 miliardi, senza contare le Ferrovie, di cui non c’è una stima considerata affidabile. A queste si possono aggiungere le quote detenute indirettamente dal Tesoro, tramite Cassa Depositi e Prestiti, cui è attribuito un valore di mercato di circa 27 miliardi, considerando le 17 aziende quotate e le nove non quotate. Il piano Destinazione Italia prevede di valorizzare le partecipazioni dirette dello Stato «mediante procedure competitive o tramite operazioni di largo mercato rivolte a investitori istituzionali al pubblico retail», si legge nel documento. In soldoni il Tesoro potrebbe vendere alcune piccole partecipazioni delle società già quotate, il che sarebbe possibile se fossero approvate le nuove norme sulla golden share, oppure mettere sul mercato aziende non quotate, a partire da Poste Vita, la privatizzazione è tornata di recente alla ribalta grazie a un report riservato stilato da Credit Suisse. Ma per quanto riguarda le operazioni più rapidamente concretizzabili, come la cessione di quote di Eni, Enel e Finmeccanica, gli introiti non potrebbero essere troppo significativi, senza contare che si dovrebbe comunque prima valutare i corsi di mercato, per nun svendere. Insomma per quanto riguarda le partecipate dirette dello Stato, «si potranno realizzare alcune privatizzazioni parziali o totali, per valori comunque limitati», rileva un recentissimo paper Astrid firmato da economisti della Cassa Depositi e Prestiti, dal suo presidente Franco Bassanini e da Giuliano Amato, ma anche dal direttore del Demanio, Stefano Scalerà, dal consigliere di Invimit Federico Merola, oltre che da Marcello Misori e altri studiosi ed esperti della materia. Altri denari potranno arrivare poi da Cdp ad acquistare asset pubblici, come già fatto con Sace, Fintecna e Simest, potrebbe cedere quote di partecipate o portarle in borsa. Con i proventi di queste operazioni si potrebbe girare un dividendo straordinario all’azionista Stato ( 80,1% di Cdp). Visti gli scarsi margini di manovra sulle controllate dirette del Mef, un capitolo da affrontare con attenzione, come recita Destinazione Italia, sarà quindi quello delle partecipate degli enti locali, di cui solo quelle in aziende non quotate varrebbero circa 20 miliardi di euro (secondo un’elaborazione Kpmg su dati di bilancio 2012). Anche se per mettere ordine in questa complessa galassia servirà del tempo.
Per quanto riguarda il patrimonio immobiliare, infine, il paper Astrid suggerisce di ricorrere alle siiq e ai fondi immobiliari, con un orizzonte di medio periodo e una forte regia centrale per coordinare i diversi attori in campo: Cdp, Demanio e la neonata sgr del Tesoro Invimit. Secondo gli esperti di Astrid questo tesoro a forma di mattone potrebbe valere tra 240 e 320 miliardi, di cui il 27% vendibile, perché non utilizzato direttamente o indirettamente dalle amministrazioni. Ma anche in questo caso la parte del leone la fanno gli enti: 120-167 miliardi di asset immobiliari sono in mano ai Comuni, 24-33 miliardi alle Province e 5-7 miliardi allo Regioni. Per valorizzare questa dote il governo Letta punta su Invimit, un’eredità del precedente esecutivo, che è in attesa dell’autorizzazione di Bankitalia e Consob, prevista entro il prossimo novembre. Un compito non semplice quello della società affidata all’ex direttore del Demanio, Elisabetta Spitz, perché la missione di valorizzare il mattone pubblico potrà dirsi davvero compiuta solo se la società riuscirà a convogliare su questo mercato ingenti investimenti privati. Ma mentre Invimit aspetta ai nastri di partenza, l’esecutivo è alle prese con lo sforamento del 3% del rapporto deficit/pil, a soli pochi mesi dall’uscita dalla procedura di infrazione Ue. Cosi, nonostante i buoni propositi sulla programmazione e il disegno di un orizzonte chiaro per i processi di privatizzazione, ecco che il governo Letta si trova già alle prese con un’operazione tampone. Il ministro del Tesoro, Fabrizio Saccomanni, avrebbe infatti chiesto a Cassa di acquistare un pacchetto di immobili dal Demanio, staccando un assegno da 1 miliardo. Insomma circa un anno dopo l’operazione Sace-Fintecna-Simest, si toma a battere cassa a Cdp, che al momento è l’unico tra i soggetti pubblici che saranno chiamati a valorizzare il mattone di Stato a poter portare a termine in tempi brevi una simile missione. Cassa ha già di una sua sgr, Cdp Investimenti, e un fondo ad hoc. ma sarebbe disposta ad acquistare solo cespiti che abbiano già passato tutta la complessa trafila burocratica che la valorizzazione richiede. Per questo dovrebbero finire al suo fondo la maggior parte degli asset di pregio del programma Valore Paese del Demanio e altri non ancora ben definiti, per un pacchetto tra i 50 e i 100 immobili.