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 2013  settembre 28 Sabato calendario

CAPOLAVORI DI TECNICA E CREATIVITÀ

Certo è difficile considerare un mezzo di trasporto un capolavoro d’arte. Ma si possono chiamare diversamente le carrozze di gran gala del ’600, ’700 e ’800, progettate da geni come, per esempio, Gian Lorenzo Bernini? Fu proprio lui a ideare il cocchio, la lettiga e la portantina che il 23 dicembre 1655 accompagnarono l’ingresso a Roma della regina Cristina di Svezia. Quei tre capolavori segnarono l’inizio del periodo più splendente della carrozza romana: Bernini dimenticò la forma aperta cinquecentesca e creò una carrozza chiusa, ricca di opulente sculture allegoriche. Come dire, mise il Barocco su quattro ruote.
«La carrozza di gala del ’600 è monumentale e sfarzosa, e nasce dalla collaborazione di grandi artisti con i migliori artigiani dell’epoca», spiega Marco Lattanzi, storico dell’arte dell’Ufficio conservazione del patrimonio artistico del Quirinale e, con Fausta Navarro e Andrea Merlotti, curatore della mostra alla Venaria Reale. «Erano destinate a occasioni speciali, non erano pensate per il viaggio, quindi il comfort era inesistente». Nel XVI secolo e nella prima metà del XVII il cocchio era infatti costituito da una monumentale “cassa” appoggiata su una struttura portante . Non esistevano ammortizzatori, quindi si stava scomodi, anche perché le strade non erano certo levigati nastri d’asfalto. «Ma c’è un’importante evoluzione tecnica dei sistemi di sospensione che avviene in Italia e in Francia nella seconda metà del ’600», prosegue Lattanzi. «La cassa viene sospesa a cinghie di cuoio agganciate alla struttura, che assicurano un certo comfort. Poi, intorno al 1720 viene introdotto un sistema misto: alle cinghie si aggiungono delle “molle a frusta” di ferro. Nel 1789, l’evoluzione della lavorazione del metallo ha portato alla forgiatura della molla detta, per la sua forma, a “C”, che era molto flessibile e assicurava una discreta comodità». I nuovi sistemi di sospensione hanno permesso di elevare la cassa rispetto alla struttura portante, un salto tecnico che ha consentito di creare intorno al 1660 la berlina, che ha una struttura più snella e funzionale, perde la monumentalità dei secoli precedenti, non è più decorata da pesanti sculture ma da raffinate pitture con colori tenui e delicati intagli. Uno splendido esempio in mostra è il Berlingotto di Vittorio Emanuele I, costruito proprio nel 1789 dagli artisti e artigiani della corte dei Savoia: come Vittorio Rapous, che dipinse la cassa del Berlingotto con allegorie femminili e putti che sorreggono il monogramma “VE”. Ma il 1789 è anche l’anno in cui si arresta, temporaneamente, l’epoca d’oro delle carrozze, che furono sistematicamente distrutte dai bonapartisti, in quanto simboli dell’Ancien Régime. Solo con la Restaurazione riprese la fabbricazione dei cocchi di gala. «Uno degli esemplari più belli si può vedere in mostra, è la Berlina del granduca Ferdinando III di Lorena, fabbricata a Firenze nel 1818», dice Lattanzi. «È la prima carrozza firmata in senso moderno: Ditta Busi e Dani. I singoli artisti e artigiani passano in secondo piano: comincia il processo che ha portato all’inizio del ’900 alla nascita dell’industria automobilistica».