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 2013  settembre 23 Lunedì calendario

LE POLTRONE CHE BALLANO CON LA MANOVRA

Da giorni circolano voci di dimissioni del ministro dell’Economia Fabrizio Saccomanni. Ne hanno scritto diversi giornali e lui non ha ritenuto opportuno smentirle. Ma nei corridoi del Tesoro non ci crede nessuno: l’ex direttore generale della Banca d’Italia resta al suo posto, la difficilissima legge di Stabilità per i prossimi tre anni che il governo deve scrivere è di sua competenza. Il lavoro sporco, tra giochi di prestigio con le previsioni di crescita e le stime dello spread, tagli, tasse e rinvii, è tutto suo. Ma dal giorno dopo l’approvazione della legge sul bilancio, tutto è possibile.
Stando alle voci che circolano in queste ore nei Palazzi romani, i potenziali successori sono già pronti a tentare la scalata a via XX settembre. Servono però prima molte premesse: ammesso che il governo Letta sopravviva alla sessione di bilancio, ammesso che il Pdl non esca dalla maggioranza prima del voto finale, ammesso che l’Europa non bocci il progetto di legge delegittimando tutta l’opera dell’esecutivo, ecco, ammesso tutto questo, la testa di Saccomanni potrebbe essere offerta a Silvio Berlusconi e ai suoi come risarcimento per le tante delusioni che il Pdl si sta rassegnando ad affrontare (dall’aumento dell’Iva in ottobre alla nascita di una service tax che assomiglierà molto all’Imu). Il più attivo nel chiedere, un giorno sì e l’altro pure, l’uscita di Saccomanni è Renato Brunetta, che già dopo le elezioni ambiva a diventare ministro del Tesoro, con l’appoggio del Cavaliere. Ma è chiaro che Letta, affannato com’è a emanciparsi dall’ombra berlusconiana, non potrebbe consegnare la cassa proprio a Brunetta. E quindi l’Economia potrebbe andare a un tecnico di area centrodestra. Non è sfuggito a molti l’agitarsi in queste settimane di Domenico Siniscalco, ex ministro ora banchiere, che riuscì a conquistare il tesoro nel 2004 grazie a una momentanea caduta di Giulio Tremonti. Brunetta potrebbe quindi trasferirsi in uno degli altri due ministeri economici di peso: Lavoro o Sviluppo.
Il ministro Enrico Giovannini, ex presidente del-l’Istat stimato dal Quirinale, è stato finora uno dei più visibili e attivi membri della squadra di Letta, ma ha la debolezza di essere un tecnico, quindi senza copertura politica se non quella di Giorgio Napolitano. E allo Sviluppo Flavio Zanonato non è stato in grado di consegnare poltrone e potere agli uomini del suo partito, il Pd, salvando invece parte della macchina impostata da Corrado Passera, e troppe volte ha provocato le ire del Pdl con dichiarazioni che peccavano di un eccesso di franchezza. Anche lui potrebbe essere sacrificato, liberando per il Pdl un dicastero importante e senza causare troppi rimpianti dal lato Pd.
È ovvio che per ora questi scenari sono solo suggestioni. Che però vengono fatte balenare nella consapevolezza che non c’è nulla come la promessa di una poltrona prestigiosa che possa ammorbidire anche il più bellicoso degli spiriti.
Se invece il Pdl dovesse sfilarsi dalla maggioranza prima del voto finale, per non votare una legge di Stabilità con troppe tasse e troppo rigore, comunque potrebbe innescarsi un domino di dimissioni e nomine per non lasciare vuoti prima di un voto anticipato comunque probabile. Anche in questo secondo scenario il ministero del Tesoro potrebbe essere coinvolto, congedando Saccomanni e magari affidandolo a Stefano Fassina, il viceministro più politico, per dare un segnale anche al congresso del Pd. Ma il candidato più naturale sarebbe Mario Monti, che ministro del Tesoro lo è già stato (mentre era premier) e che sta chiedendo da tempo a Letta di formalizzare gli impegni del-l’esecutivo con Scelta Civica, poco soddisfatta delle scelte fatte finora. Ma è troppo presto per fare previsioni, la fase più difficile del governo Letta è appena cominciata.