Paolo Baroni, La Stampa 20/9/2013, 20 settembre 2013
LA FACCIA DURA E IL VENTRE MOLLE DEL FISCO
Quelli di Equitalia li conosciamo bene, sono quelli che ti pelano vivo con le loro cartelle esattoriali, non solo perché sei un grande evasore.
Ma anche perché magari hai pagato in ritardo una multa per divieto di sosta o ti sei dimenticato di versare una maggiorazione di pochi euro, peccati certamente più veniali. Applicano le leggi è vero; ma a volte, troppo spesso, lo fanno (o lo hanno fatto) in maniera spietata come raccontano i tanti che sono finiti nelle sue grinfie in questi anni e che magari, causa crisi, non riuscivano a far fronte ai loro impegni - sacrosanti - col Fisco. Nei mesi scorsi abbiamo assistito a proteste, cortei nelle città, sindaci sulle barricate, crociate in parlamento al grido di «chiudiano Equitalia» e imprenditori «strozzati» dalle troppe tasse che si mettevano in mutande davanti al Parlamento. Poi addirittura la cosa è degenerata e ci sono stati pure alcuni attentati alle varie sedi sparse in giro per l’Italia. Il clima è diventato talmente pesante che prima il governo Monti e poi Letta hanno deciso di spuntare un poco le unghie agli esattori del Fisco. Solo nei mesi scorsi però sono stati bloccati i pignoramenti delle prime case e allargati tutti i margini di flessibilità nei pagamenti. Detto ciò, quando un cittadino si vede recapitare a casa una cartella esattoriale, non per un errore ma perché colto in flagrante, insomma perché ha evaso una tassa, la mazzata è sempre forte. L’avviso che ti arriva, nella percezione di tutti, conferma il «muso duro» di Equitalia. O paghi o peggio per te. Al massimo puoi rateizzare, ma non tutti sono così malridotti da poter beneficiare di questa concessione.
Ieri è arrivata però la notizia dell’inchiesta della Procura di Roma, con 5 indagati, le sedi di Equitalia di Roma, Tivoli e Genova perquisite, storie di mazzette e favori per aggiustare le posizioni di una ventina di imprenditori e professionisti, e scopriamo tutta un’altra Equitalia. Quella col ventre molle. Dove un dipendente certamente in combutta con altri colleghi, e forse con qualche superiore un po’ troppo... distratto, arriva a violare la banca dati dell’Inps e fa risultare pagati 9000 mila euro di contributi senza che sia stato fatto alcun versamento. Oppure trucca le carte, o suggerisce come taroccare i bilanci, per evitare che alcuni immobili finiscano sotto sequestro oppure per ottenere rateizzazioni che mai avrebbero potuto avere. Il tutto in cambio di pochi euro, 300 in un caso mille in un altro: ma a questo punto delle indagini si parla di «acconti», le mazzette finali potrebbero essere ben più alte. Come al solito, ancora una volta, chi può, chi ha, chi trova la strada giusta o il funzionario compiacente, in qualche modo si salva, chi è proprio scannato o paga oppure è rovinato.
Equitalia tende a ridimensionare la portata dell’inchiesta romana e parla di un solo dipendente indagato (peraltro già sospeso dal servizio) e nessun dirigente coinvolto. In realtà quelle di ieri erano solo le prime perquisizioni e la portata vera dell’inchiesta si capirà meglio solo nei prossimi mesi. Intanto però sappiamo che il «giro d’affari» scoperto dal Nucleo valutario della guardia di Finanza ha una sua consistenza, parliamo infatti di oltre 20 milioni di tasse e contributi da pagare oggetto di rimaneggiamenti vari. Non sono proprio briciole.
Chi grida contro le tasse troppo alte ora ha buon gioco nel riaccendere la polemica, chi conduce una crociata contro l’Amministrazione squaderna invece i dati sulla corruzione. In entrambi i casi si tratta di due «sport» in cui l’Italia è tristemente famosa, e che purtroppo rischiano di essere due facce della stessa medaglia: tanto più le imposte sono alte, tanto più cittadini e imprese, anche i più onesti, sono indotti ad evadere. E la corruzione, come si vede, segue a ruota.
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