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 2013  agosto 19 Lunedì calendario

IL PONTE SULLO STRETTO? GIA’ C’ERA

Il ponte sullo Stretto c’è già stato. Venti millenni fa, per almeno 1.500 anni, una lingua di roccia scoperta, larga un chilometro e più, univa la costa di Reggio con quella di Messina. Per quella via sono arrivate nell’isola molte specie di mammiferi, a iniziare dal cavallo. E l’Homo sapiens, che per diecimila anni e più si era limitato a osservare la Sicilia da lontano, senza poter traversare lo Stretto a nuoto o con una piroga.
A questo sorprendente risultato è arrivato, dopo anni di lavoro a terra, in mare o al computer, un team di ricercatori coordinato da Fabrizio Antonioli, geomorfologo dell’Enea. Hanno contribuito al lavoro le Università di Roma La Sapienza, Palermo, Napoli, Trieste e Messina, l’ISPRA, il Cnr di Napoli, il Max-Planck-Institut di Lipsia, in Germania. E la Australian National University di Canberra. Nel mondo scientifico di oggi, dove la competizione è sempre forte, una collaborazione di questo tipo è straordinaria.
Oggi, nella parte settentrionale dello Stretto, le acque dello Jonio incontrano quelle del Tirreno in una sella a 81 metri di profondità. «Circa 18.000 anni fa, quando gran parte dell’acqua della Terra era imprigionata nei ghiacciai, il livello del mare era di 126 metri inferiore a quello di oggi», spiega Antonioli, che studia da anni, in superficie e in immersione, le coste rocciose del Mediterraneo.
GLI INDIZI
«E’ un indizio a favore del collegamento tra le due sponde, ma non basta” prosegue il ricercatore dell’Enea. «Per capire meglio il passato bisogna considerare la spinta tettonica verso l’alto, e l’erosione che ha lavorato in senso inverso».
«Oggi, per noi oceanografi, lo Stretto di Messina è un campo di lavoro affascinante» spiega Francesco Latino Chiocci, professore di Geologia Marina alla Sapienza. «I nuovi ecoscandagli multifascio ci hanno fatto scoprire dune di sabbia e pinnacoli di ghiaie cementate accanto alla sella che separa i due mari. Di fronte a Scilla sono i resti sommersi della frana che nel 1783 ha causato un maremoto che ha ucciso millecinquecento persone».
«Durante le glaciazioni, anche Ponza e l’Elba erano raggiungibili a piedi» prosegue Chiocci. «Secondo i nostri modelli, il ponte tra la Sicilia e la Calabria è esistito per un periodo compreso tra i 1.500 e gli 11.000 anni».
A confermare le intuizioni di oceanografi e i geologi è il lavoro compiuto, da anni, da paleontologi e archeologi. «Le isole sono degli straordinari laboratori scientifici, e dimostrano l’influenza del clima sulla flora e sulla fauna», spiega Maria Rita Palombo, che insegna Paleontologia alla Sapienza.
«Dai 500 ai 300 milioni di anni fa, la fauna della Sicilia era molto diversa da quella del Continente. In Calabria c’erano elefanti simili a quelli di oggi, nell’Isola invece viveva il Paleoloxodon falconeri, un elefante in miniatura alto poco più di un metro».
L’IDRUNTINO
«Le cose sono cambiate 20.000 anni fa, quando nell’Isola è arrivato l’idruntino, un cavallo simile alle odierne zebre. Le sue ossa ritrovate nella grotta di San Teodoro risalgono a 18.800 anni fa. L’Homo sapiens, 35.000 anni fa, aveva colonizzato completamente l’Europa. Per arrivare in Sicilia, però, ha dovuto aspettare ben 15.000 anni. L’unica spiegazione è che abbia dovuto aspettare il ponte».
Conferma questa ipotesi Gian Maria Sannino, oceanografo dell’Enea. «Oggi, nel punto più stretto, tra la Sicilia e il Continente ci sono meno di 4 chilometri. Quando l’Homo sapiens è arrivato in Calabria, la distanza era molto maggiore. Secondo i modelli che utilizziamo oggi per studiare le acque del Mediterraneo, le correnti di 30.000 anni fa erano da cinque a dieci volte più forti di quelle attuali. Era impossibile, per l’uomo, traversare un braccio di mare così» conclude Sannino.
«Anche i miti degli antichi confermano le scoperte della scienza» prosegue Maria Rita Palombo. «Le correnti dello Stretto sono forti anche oggi, ma il mito di Scilla e Cariddi, i mostri che inghiottivano le navi, è nato quando erano molto più violente».
«Quando i Greci hanno trovato i teschi dei mini-elefanti siciliani, con un buco in corrispondenza della proboscide, hanno pensato a dei giganti con un occhio solo. Così è nato il mito di Polifemo» sorride la paleontologa della Sapienza.
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