Giornali vari, 22 aprile 2013
Anno X – Quattrocentosettantaduesima settimanaDal 15 al 22 aprile 2013Il nuovo presidente della Repubblica è ancora Giorgio Napolitano, 88 anni il prossimo 25 giugno, rieletto sabato 20 aprile dopo tre giorni di battaglia drammatica, che hanno visto andare in pezzi il Partito democratico incapace di votare i candidati da lui stesso scelti
Anno X – Quattrocentosettantaduesima settimana
Dal 15 al 22 aprile 2013
Il nuovo presidente della Repubblica è ancora Giorgio Napolitano, 88 anni il prossimo 25 giugno, rieletto sabato 20 aprile dopo tre giorni di battaglia drammatica, che hanno visto andare in pezzi il Partito democratico incapace di votare i candidati da lui stesso scelti. Anche se la nostra Carta non lo vieta, non era mai accaduto, in passato, che il presidente uscente venisse rieletto. Il mandato dura sette anni, dunque Napolitano ha il diritto di restare in cima al Colle fino a 2020, quando avrà compiuto 95 anni. Negli scorsi mesi, il Presidente aveva rifiutato con forza l’ipotesi di restare al Quirinale, e non solo per via della sua vecchiaia. «Non è un caso» aveva spiegato «se fino ad ora non è mai accaduto».
Vigilia Alla vigilia, le posizioni dei partiti si presentano così. Bersani e Berlusconi hanno concordato che i democratici presenteranno una rosa di cinque nomi e che tra questi il centrodestra sceglierà quello da votare. Il tentativo è di far uscire il nuovo presidente al primo giro, quando per eleggerlo saranno necessari i due terzi dei voti dell’assemblea. Scelta civica (Monti) è d’accordo nel votare il candidato condiviso dai due schieramenti maggiori. Grillo ha indetto una consultazione in rete, alla quale partecipano 48 mila iscritti, e che, dopo qualche intoppo provocato dagli hacker, vede al primo posto la giornalista di Report Michela Gabanelli, seguita da Gino Strada e Stefano Rodotà. Al nono e ultimo posto (Grillo, votato a sua volta, ha rinunciato) c’è anche Romano Prodi. Tutti i nomi scelti dai grillini appartengono all’area democratica. Il Movimento 5 Stelle fornisce l’ordine d’arrivo, ma non rende noti i voti presi da ciascuno.
Mercoledì 17 aprile La rosa democratica è formata dai seguenti cinque nomi: Giuliano Amato, Massimo D’Alema, Anna Finocchiaro, Franco Marini, Sergio Mattarella. La Finocchiaro e Marini sono gli ultimi rottamati da Matteo Renzi, la Lega non vuol sentire parlare di Amato, Mattarella, nel 1990, si dimise da ministro per protesta contro la legge Mammì che regolava il mercato televisivo in funzione della presenza di Berlusconi, molto rischiosa apparirebbe la scelta di far correre D’Alema in un turno in cui sono necessari, per passare, 672 voti. Berlusconi sceglie dunque Franco Marini, 80 anni appena compiuti, già capo della Cisl e presidente del Senato all’epoca del governo Prodi (2006-2008). La scelta diventa pubblica a sera, mentre Matteo Renzi è ospite da Daria Bignardi a Le invasioni barbariche. Il giudizio del sindaco di Firenze è molto duro: «Scegliere Marini significa fare un dispetto al Paese». Al cinema Capranica, dove Bersani ha riunito i suoi, all’idea di votare per un candidato condiviso con Berlusconi scoppia una mezza rivoluzione. I vendoliani dichiarano finita l’alleanza con il Pd e annunciano che voteranno per il nome scelto dai cinquestelle (Stefano Rodotà, dato che sia la Gabanelli che Gino Strada hanno rinunciato), i renziani si rifiutano pubblicamente di aderire al nome condiviso, da tutta Italia arriva l’eco di una protesta inattesa, decine di sedi del Pd vengono occupate dai militanti, i cellulari dei dirigenti democratici sono intasati dalle migliaia di tweet che condannano l’intesa con il Cavaliere. Al Capranica, dove le tribù democratiche si sono dilaniate tra di loro («non abbiamo mai visto niente di simile» è quello che dicono tutti i capi del Pd), il nome di Marini passa tuttavia con 220 sì.
Giovedì 18 aprile Primo scrutinio e bocciatura solenne del candidato Franco Marini: invece degli 850 voti potenziali dei tre partiti che lo sostengono, ne prende appena 521. Al secondo turno i tre partiti decidono di guadagnare tempo e votano scheda bianca. Bersani ammette che si è entrati in una «fase nuova» e che bisognerà trovare un nuovo nome. È già chiaro che nel Partito democratico è in corso una lotta al coltello tra le varie fazioni.
Venerdì 19 aprile Dopo una nottata di telefonate e baruffe, Bersani ha promesso a D’Alema di sottoporre all’assemblea dei grandi elettori democratici, di nuovo convocata al Capranica, una serie di nomi, tra cui naturalmente anche il suo. Giunta l’ora, però, il segretario propone di votare per Prodi (come voleva Matteo Renzi) e la scelta è approvata praticamente all’unanimità e con una standing ovation. Anche la controprova dà un esito analogo: alla domanda «chi è contrario?» nessuno alza la mano. Ma D’Alema lascia la riunione irritatissimo e Berlusconi, che considera la scelta di Prodi da guerra civile, dà ordine ai suoi di non presentarsi nemmeno al voto. Monti fa sapere che Scelta civica non può aderire a quella scelta, dato che non è condivisa dal centrodestra, e che scriverà sulla scheda il nome di Anna Maria Cancellieri. Il Movimento 5 Stelle scalpita rivolto al Pd: spiegateci perché non votate Rodotà. Mentre fuori dalla Camera continuano a stazionare gruppi di manifestanti, lo scrutinio va avanti e Prodi raccoglie appena 395 voti. Per eleggerlo ce ne sarebbero voluto 504, i franchi tiratori del Pd sono stati 101. Come osservano subito tutti, in due giorni i democratici hanno bocciato non solo due figure storiche del loro partito, ma addirittura due linee politiche. Il no a Marini ha sancito l’impossibilità di un accordo con Berlusconi, il no a Prodi ha reso evidente l’impossibilità di procedere senza un accordo con Berlusconi. Bersani si dimette da segretario e Rosy Bindi da presidente del partito. Seguiranno le dimissioni di tutta la segreteria.
Sabato 20 aprile È il giorno della svolta. Bersani sale al Quirinale e implora Napolitano affinché si renda disponibile alla rielezione. Ammette che il Pd non è più in grado né di proporre né di garantire l’elezione di chicchessia. Il capo dello Stato convoca anche Monti, Berlusconi e Maroni, i quali gli garantiscono il loro appoggio. Napolitano preferirebbe che Rodotà si ritirasse, ma il candidato cinquestelle («per vanità» secondo Giuliano Ferrara) su questo punto non cede. Infine, poco prima che cominci il sesto turno di votazioni, intorno alle due e mezzo del pomeriggio, il Presidente scioglie la riserva e fa sapere ufficialmente che accetterà la rielezione. Mentre migliaia di persone affollano la piazza di Montecitorio e in tutt’Italia si organizzano manifestazioni di protesta in nome di Rodotà, il voto procede stavolta senza intoppi: la presidente della Camera, Laura Boldrini, legge il nome di Napolitano 738 volte, i franchi tiratori sono appena una quarantina. Ma grillini ed elettorato della sinistra radicale tumultuano, e Grillo annuncia addirittura una marcia su Roma, costringendo Rodotà a dissociarsi.
Domenica 21 aprile Mentre i giornali ipotizzano che il prossimo presidente del Consiglio sia Giuliano Amato o Enrico Letta, Grillo frena sulle intemperanze del giorno prima, viene a Roma sì, ma condanna la violenza e si limita a una conferenza stampa con fugace apparizione alla marcia di protesta pomeridiana dei suoi verso il Colosseo. La scissione del Pd in almeno due tronconi – uno moderato, l’altro radicale – è data per sicura. Travaglio scrive sul “Fatto”: «Il cadavere putrefatto e maleodorante di un sistema marcio e schiacciato dal peso di cricche e mafie, tangenti e ricatti, si barrica nel sarcofago inchiodando il coperchio dall’interno per non far uscire la puzza e i vermi».
Boston Terroristi ceceni hanno fatto esplodere due ordigni al traguardo della maratona di Boston, lunedì 15 aprile: tre persone sono morte e tra queste un bambino di otto anni. I feriti sono 175. S’è capito abbastanza presto che non s’era trattato di un attacco dall’esterno, assimilabile a quello delle Torri Gemelle, ma di un’operazione pensata negli Stati Uniti. Dopo 48 ore gli attentatori sono stati individuati: si trattava di due fratelli ceceni, da tempo residenti in America, di nome Tamerlan e Dzhokhar Tsarnaev. I due sono poi stati sorpresi nella notte tra giovedì e venerdì mentre stavano rapinando un fast food. C’è stata una sparatoria, seguita da una fuga in macchina lungo i viali di Cambridge e Watertown. A un certo punto, secondo la versione della polizia, l’auto dei ceceni si è fermata, Tamerlan è sceso ed è stato crivellato di colpi dagli agenti. L’altro fratello è stato inseguito per un altro giorno e, prima di essere catturato, s’è sparato in bocca. È gravissimo in ospedale. In casa dei fratelli è stato trovato un intero arsenale. La cellula per conto della quale avrebbero agito i ceceni è a Londra. Fin dal 2011 russi avevano avvertito gli americani della pericolosità dei fratelli Tsarnaev.