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 2013  settembre 09 Lunedì calendario

L’URLO DELLA JUVE DAVANTI AL TABLET QUELL’APP CHE FA IMPAZZIRE I TIFOSI


«Ho fatto una app perché avevo un sogno. Sognavo di poter guardare le partite della Juve con amici e parenti. Quel sogno si è realizzato. Sono un uomo fortunato ». L’uomo che sta reinventando il modo di tifare al tempo delle app e che intanto ha già portato più di centomila tifosi della Juventus a scaricarne una, la sua, in un solo weekend facendogli urlare gol nel rispettivo iPad e facendo sentire quell’urlo a tutti gli amici collegati in rete, si chiama Fabrizio Capobianco, ma tutti lo chiamano “Capo” non solo perché di bravi come lui in questo campo ce ne sono pochi. Ma perché i capi hanno questa caratteristica: indicano la strada da seguire. Esattamente venti anni fa, quando ne aveva 23, lui prese la strada per gli Stati Uniti, e sta ancora lì, dalle parti di San Francisco, in Silicon Valley dove un giorno di qualche mese fa gli è arrivata una mail con un logo della sua squadra del cuore: «Vuoi fare una app per noi?». Un sogno.
Nato in Valtellina e cresciuto a Pavia, Fabrizio è quel che si dice un pioniere di Internet: allora il web era appena nato, il boom era imminente e lui aveva fondato una società, Internet Graffiti, per fare siti. «Dicevamo alla gente che dovevano avere un sito e non ci credeva nessuno». Finché un giorno l’amministratore delegato di un grande ente per il turismo gli disse: «Lei avrà pure ragione ma io non posso trattare con un ragazzino». In quel preciso momento “Capo” ha capito che l’Italia non era (non è?) un paese per giovani. E se ne è andato.
In realtà come vedremo da un certo punto di vista non se ne è andato mai, e non solo perché non ha mai smesso di guardare le partite della Juve (e di esultare al telefono o via Skype con il papà e gli amici rimasti in Italia); ma sì insomma è andato a vivere in America. Qui ha fatto una startup: in Silicon Valley tutti o quasi vogliono fare una startup. Ma quella fondata da Capobianco ha avuto successo, un grande successo. Si è guadagnata 30 milioni di euro di investimento da parte dei venture capital ed è diventata una azienda globale. Si chiama Funambol e risolve un problema che oggi è molto evidente a tutti, ma allora sembrava fantascienza: sincronizzare i dati (la rubrica telefonica, le foto, i video), in modo da averli disponibili in ogni momento su tutti i devices, anche di marche diverse. E’ il famoso cloud, la nuvola, di cui oggi molto si parla. Quando molti anni dopo, Steve Jobs ha lanciato iCloud, lo stesso servizio ma solo per Apple, Fabrizio Capobianco ha sorriso e ha pensato: ben arrivato, Steve!
Funambol da subito ha avuto una caratteristica che svela molto della visione del mondo di Fabrizio: il centro di ricerca e sviluppo in Italia. «Abbiamo i migliori ingegneri al mondo». Di questa cosa Capobianco è così convinto da aver girato l’America con una presentazione, “Why Italy Matters, perché l’Italia conta”, che gli serviva a convincere gli investitori a mettere i loro soldi in una azienda di software con “il cervello” in Italia. Come faceva? Gli spiegava che il software non è una roba da metalmeccanici ma è creatività e su quello noi italiani siamo imbattibili. E poi, cifre alla mano, dimostrava che lavoriamo tanto (1800 ore l’anno contro le 1400 dei tedeschi) e — purtroppo — costiamo poco.
Questo è l’antefatto. Un paio di anni fa a Capobianco è venuta voglia di fare altro, del resto gli startupper sono così: sono seriali, una volta che hanno affermato un prodotto (ma anche se falliscono) raramente si fermano lì. E così ha fondato TokTV, con l’obiettivo di sviluppare applicazioni per seguire le partite attraverso una app. Non la cronaca della partita ma ricreando l’esperienza di tifare con gli amici anche se fisicamente lontani. Come capitava a lui. L’ha lanciata per il baseball e il football americano e ha funzionato. Finché lo scorso 3 febbraio, la sera del SuperBlowl, il gran finale del football, «mentre mi leccavo le ferite per la sconfitta dei miei Niners» (la squadra di San Francisco, battuta da quella di Baltimora), gli è arrivata una mail. Quella mail. «Pensavo che fosse uno scherzo, su Internet se ne fanno sempre di scherzi così». E invece era la Juventus, «la mia squadra del cuore, un amore che mi ha trasmesso mio padre, qualcosa che fa parte del mio DNA e che lo sarà per sempre». E poi c’erano i numeri: quelli degli juventini. Quasi sette milioni di fans solo su Facebook: «Con la Juve in un paio di mesi possiamo arrivare al milione di utenti» pensa. Il 26 agosto, prima giornata di campionato, c’è stato l’esordio di Juventus Live. E quel giorno Fabrizio era lì, come un tifoso qualunque, collegato con il papà in Italia e il fratello in Mozambico, a urlare “gol” sentendo le loro voci. Con centomila download in due giorni, è arrivata la seconda giornata di campionato e quel giorno Capobianco, nel mezzo di un trasloco californiano, non poteva accendere la tv e così ha scoperto che Juventus Live funziona bene anche come la radio di una volta: senti la cronaca, i commenti degli amici e sullo schermo vedi i puntini dei giocatori che si muovono. Il suo animo geek si è commosso: «Ho sviluppato software per venti anni e ogni volta mi meraviglio per le sorprese che regala. Tu progetti un prodotto e gli utenti scoprono un modo di usarlo che non immaginavi ». Se ha ragione lui il tifo sta per cambiare per sempre.