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 2013  settembre 08 Domenica calendario

VIVERE FINO A CENTO ANNI. UN SOGNO (NON DI TUTTI)

Meglio non farsi sorprendere da uno «sciopero della morte». Poco tempo fa, la rivista National Geographic è uscita con quattro copertine di bambini nati da poco, sotto il titolo «Questo baby vivrà fino a 120 anni». I passi avanti della medicina fanno pensare che un allungamento significativo della vita attiva possa essere raggiunto in un futuro vicino. Gli americani hanno iniziato a discuterne. Ne parlano scienziati, leader religiosi, filosofi, bioetici, economisti, politici. I cittadini ne sono poco informati ma sull’argomento hanno comunque opinioni forti. Un sondaggio del Pew Research ha stabilito che solo il 7% degli americani ha notizie approfondite sul possibile allungamento della vita. Ciò nonostante, il 56% degli interpellati sostiene che non si sottoporrebbe a trattamenti medici capaci di rallentare l’invecchiamento e consentire di vivere bene fino a 120 anni: il 38% dice che lo farebbe. Una netta maggioranza, il 68% contro il 27%, è però convinta che gran parte delle persone si sottoporrà a quelle cure quando saranno disponibili.
Nove su dieci interpellati ritengono che «avere più persone anziane nella popolazione» sia una buona cosa o non faccia differenza e solo il 10% dice che è una tendenza negativa. Ma per il 51% un allungamento radicale della vita a oltre 120 anni sarebbe male per la società, contro il 41% che lo ritiene una buona cosa. La lunghezza ideale sarebbe tra i 79 e i cento anni per il 69% degli americani, con un ideale mediano di 90 anni, 11 più di quelli odierni. Il 14% dice che la vita non dovrebbe superare i 78 anni, il 4% vedrebbe bene il vivere tra i 101 e i 120 anni e un altro 4% supererebbe volentieri i 121 anni.
Nel complesso, confusione e scetticismo prevalgono tra gli americani, che pure sono il popolo maggiormente sottoposto a informazioni e dibattiti sul tema. Il 63% degli adulti Usa dice che i trattamenti medici che allungano la vita sono una buona cosa ma il 32% li considera negativi perché «interferiscono con il ciclo naturale della vita». Il 79% pensa che tutti dovrebbero comunque avere il diritto di scegliere se sottoporsi a queste cure: ma il 66% è convinto che alla fine solo i ricchi vi avranno accesso. Il 66% pensa anche che gli scienziati medici metteranno in circolazione i trattamenti prima di averne a pieno capito gli effetti collaterali. E ancora due terzi di americani pensano che vivere più a lungo metterà sotto pressione le risorse naturali. Infine l’economia: sarebbe più produttiva? Il 53% pensa di no, il 44% di sì.
Trattare della vita — della sua lunghezza — e della morte — dei suoi possibili ritardi e sonni — con statistiche e sondaggi è arido. Il disorientamento che si legge nelle risposte americane serve però a confermarci che di fronte allo sciopero della Grande Livellatrice vede bene José Saramago ne Le intermittenze della morte: il mondo, le Chiese, le filosofie, gli eserciti, le economie, le mafie, le Nazioni, tutto va in confusione, perde orientamento. L’umanità smette di rinnovarsi e di avere futuro. Ma può anche succedere — così dice Saramago — che la morte, con fattezze di donna, qualche volta si addormenti non per sempre ma solo per allungare un po’ le vite, nel letto di un violoncellista. Forse anche di uno scienziato.
Danilo Taino