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 2013  settembre 03 Martedì calendario

COME ABBATTERE VIA TWITTER I LUOGHI COMUNI CULTURALI

Se usate la parola «crisi», ricor­date l’aneddoto che in cinese lo stesso termine significa an­che «opportunità». Se parla­te di Salman Rushdie dovete avere un’opinione forte su I versi satanici, «ma non c’è alcuna ragione al mondo per leggerli». Se decidete di utilizzare la parola «fascismo, fatela sempre precedere dal­l’aggettivo «strisciante». E a proposito di televisio­ne, sostenete che «è mol­to migliorata, meglio dei romanzi», e «se qualcu­no cita The Wire , voi ribattete con I Soprano, e viceversa».
Che noia essere tutti d’accordo, ave­re le stesse identiche idee, ragionare con pensieri automatici, parlare per frasi fatte. Non c’è nulla di peggio dei luoghi comuni.
Lo disse e lo scrisse, prima e meglio di tutti, Gustave Flaubert nel suo Dictionnaire des idées reçues, pubblicato postumo nel 1913, in cui satireggiava sulle opinio­ni chic, i chiché cultura­li, i conformismi intellet­tuali, le formule standard, insomma le idee «giuste», anche se tragicamente erra­te, che ripetiamo, ogni volta - come se fossero una nuova intuizione - per pi­grizia, per pregiudizio, per ipocrisia. Per fortuna, ogni tanto c’è qualche spirito magno che ha il coraggio di rin­fa­cciandoci con ironia la nostra stupi­dità e i nostri conformismi.
Accanto a Flaubert, al Dizionario del diavolo del cinico Ambrose Bier­ce (1842-1914) e alla ormai dimenti­cata parodia dei luoghi comuni Are You a Bromide? (1906) del maestro del non sense Frank Gelett Burgess ­uno che disse che «Per apprezzare il non senso si richiede un serio interes­se per la vita» -, nello scaffale delle operette che rimettono le idee a po­sto da oggi consigliamo di conservare anche l’irresistibile dizionarietto del­lo scrittore Teju Cole: una settantina di voci in tutto pubblicate prima via twitter e poi raccolte pochi giorni fa sotto il titolo In Place of Thought nella sezione «Page-turner» del New Yorker.
Narratore,fotografo,storico dell’ar­te, autore del romanzo Città aperta , un vero caso letterario negli Stati Uni­ti - per stare ai luoghi comuni - e da po­chi mesi tradotto da Einaudi, in quali­tà di «giovane promessa» Teju Cole, nigeriano-newyorkese di 38 anni, è già stato accostato a «venerati mae­stri» del calibro di Sebald e Coetzee. Intanto, se con il suo libro ha dimo­strato di amare la narrativa «atipica», con il suo personalissimo dizionario flaubertiano ai tempi di Twitter, ha fatto capire che odia la stupidità, una cosa che ci perseguita ovunque. Dal­l’Africa («Un Paese. Povero ma felice. In crescita») a Parigi (in questo caso l’aggettivo giusto è«romantica», «no­nostante i camerieri scortesi e turisti giapponesi», e comunque non si de­ve dire semplicemente «mi piace», ma «l’adoro») fino all’India («Una ter­ra di contraddizioni») fino. Perché i luoghi comuni, la cosa più facile in as­soluto da esportare, non conoscono frontiere.