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 2013  settembre 04 Mercoledì calendario

DALLA GRAZIA ALLA CONSULTA ECCO TUTTI I TENTATIVI DEL CAVALIERE PER EVITARE CONDANNA E INTERDIZIONE

ROMA — La Severino incostituzionale? «No». Presentare comunque il ricorso alla Consulta per provare almeno che lo sia? «No». Ascoltare il parere del maggior numero di costituzionalisti italiani favorevoli e contrari? «No». Allargare il più possibile il dibattito in giunta in modo da allungare i tempi? «No». Congelare la discussione in attesa che si pronunci la Corte di appello di Milano sull’interdizione dai pubblici uffici, quindi conquistando mesi se non altro fino all’anno prossimo? «No». Stoppare la discussione in attesa che la Corte per i diritti umani di Strasburgo decida se il ricorso di Berlusconi contro la legge Severino è ammissibile?
«No». Concedere una grazia piena a Berlusconi per cancellare anche l’interdizione e annullare gli effetti della Severino? «No». Fermarsi in attesa del 15 ottobre, quando il Cavaliere sceglierà come scontare la sua pena? «No». Aprire in giunta un vero processo, un “quarto grado di giudizio” che sconfessi la Cassazione? «No». Trattare Berlusconi come il leader politico che è e che è stato, e quindi riconoscergli tutto il tempo che chiede? «No».
In queste dieci domande e nei dieci «no» come risposta è sintetizzata tutta l’affannosa rincorsa del mese di agosto tra Berlusconi da una parte e la giunta per le elezioni e le immunità del Senato dall’altra. Lui e la sua squadra di avvocati — il senior e amico Niccolò Ghedini, il glaciale Piero Longo, il maestro del diritto Franco Coppi — freneticamente al lavoro e a spremersi le meningi per escogitare la via giusta per bloccare, quanto meno temporaneamente, la corsa della giunta di palazzo Madama verso l’inesorabile decadenza di Berlusconi.
Ogni giorno una trovata nuova e di là, in giunta, ogni ipotesi respinta al mittente da una maggioranza mai così coesa e inesorabile come quella tra Pd, M5S, Sel e Scelta civica. Una gara impari, come quella che ingaggia il giocatore di tennis contro la macchina che spara le palline. Alla fine, per forza di cose, la macchina vince e l’uomo perde.
Berlusconi sta perdendo la partita contro la giunta. Forse l’ha già persa se giunge al punto di voler cambiare i componenti. L’ultimo, disperato tentativo di ieri, è quello di riunire oggi i senatori e scovare, nelle pieghe del regolamento, una strada che possa bloccare la furia dei vincenti. Nel frattempo, ad Arcore, Berlusconi ha fatto saltare del tutto la storia della grazia. «Ma se la chiedo mi cancellano anche l’interdizione e bloccano la Severino»?». Ghedini, con lui per tutto il giorno, gli ha risposto nel modo in cui gli risponde da giorni: «No, presidente, tutte e due continueranno a fare il loro cammino». Lui, tra lo stupito e il seccato: «E allora mi spiegate che la chiedo a fare? Per umiliarmi davanti a Napolitano e al Paese? Per far dire che sono colpevole? No, io vado avanti, vado ai domiciliari e continuo la mia battaglia
politica».
Il dramma di questo torrido agosto non sta nella condanna a quattro anni per frode fiscale, e neppure nei nove mesi — «Sono solo nove», questo è il calcolo al millesimo di Coppi, Ghedini, Longo — da scontare. Il dramma si chiama legge Severino, la fossa dei leoni è la giunta dove, nonostante tutti i tentativi possibili, Berlusconi non è riuscito a scompaginare la maggioranza. Pure i pareri pro veritate dei costituzionalisti si sono rivelarti un flop, mediaticamente se n’è discusso per mezza giornata, poi via, ingoiati da chi li ha etichettati come «pareri di parte, altro che pro veritate».
Adesso ci sono ancora due sponde cui tentare di approdare. Una si poggia sulle fidate spalle di Andrea Augello, il relatore, un ex An oggi Pdl. L’altra sulla Corte di Strasburgo. In entrambi i casi Berlusconi spera di guadagnare tempo. Settimane, forse un mese, con il primo tentativo. Molti mesi — addirittura un anno dice qualcuno — con la storia di Strasburgo.
La carta Augello si gioca così. Lunedì 9 settembre, quando inevitabilmente gli daranno la parola, lui dirà che, vista la situazione, tanto vale aprire subito quella che nel gergo della giunta si chiama “procedura di contestazione”. Significa che Augello, che pure ha già scritto una relazione di 25-30 cartelle, non ne legge neppure una, le salta a piè pari, punta diritto al “processo”. Legge solo 10 righe per dire che «visti gli atti e vista la situazione» tanto vale entrare subito nel merito delle contestazioni. A quel punto, se la manovra passa, Berlusconi avrà altri 10 giorni per preparare la sua linea di difesa, poi potrà venire in giunta con tanto di avvocati, nei fatti si aprirà un dibattimento vero e proprio nel quale ognuno potrà porre domande e interrogativi, chiedere audizioni, acquisire carte e documenti. In questa trappola potrebbe impastoiarsi anche la maggioranza.
Sempre lunedì, ancor prima che Augello faccia eventualmente la sua mossa, Berlusconi presenterà la copia del ricorso per la Corte di Strasburgo. Come al solito ci sta lavorando Ghedini. Sarà una messa in mora della Severino e in particolare del suo (presunto) contrasto con la Convenzione per i diritti umani che, all’articolo 7, stabilisce il principio per cui nessuno può essere punito per un reato con una legge successiva alla commissione del reato stesso. È la teoria della Severino non retroattiva, ma legge solo per i reati futuri. La richiesta alla giunta è ovviamente quella di fermarsi in attesa — almeno — che Strasburgo decida sull’ammissibilità. Mesi, mesi e mesi. Se ne discuterà in giunta. La maggioranza dei commissari dirà di no, che si deve andare avanti. Se il tentativo fallisce, a quel punto l’ultimo appiglio è nelle mani di Augello che dovrà sacrificare la sua relazione per dare respiro a Berlusconi.