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 2013  luglio 22 Lunedì calendario

LE DONNE DELLA RIVA SINISTRA

Tutte le donne della riva sinistra del Tevere, dalla notte dei tempi ad oggi: le racconta Maria Pia Ercolini nel libro «Roma. Percorsi di genere femminile», edito da Iacobelli. E siccome l’autrice insegna da trent’anni geografia turistica, ha snodato i racconti in una lunga passeggiata, che parte dal ponte Sublicio e arriva alla Lungara, passando per Testaccio, Ostiense, Garbatella, Aventino, il Ghetto, via Giulia. Ad ogni tappa, guidato dalla voce corale di una quarantina di autrici che hanno affiancato Ercolini nella stesura del percorso, il lettore incontra una folla di artiste e scrittrici, eroine della Resistenza e suore, attrici e artigiane, aristocratiche e donne del popolo, carcerate e dee pagane, prostitute e benefattrici. Un universo strettamente femminile, le cui storie sono intrecciate ai luoghi della città e alle sue vicende.L’itinerario comincia nei pressi di ponte Sublicio, dove Clelia attraversò a nuoto il fiume guidando verso l’altra riva le fanciulle romane in fuga da Porsenna. Al numero 41 di via Amerigo Vespucci una targa ricorda Elsa Morante, che qui trascorse l’infanzia e l’adolescenza e in seguito vi ambientò le avventure di Ida e del suo «bastarduccio» Useppe, protagonisti del romanzo «La Storia». Al civico 18 di piazza S. Maria Liberatrice un’altra targa indica la casa natale di Gabriella Ferri, che da adulta rimpiangeva i pasti consumati con i genitori e i nonni intorno al tavolo di marmo della grande cucina, gli inquilini che la sera prendevano il fresco sui ballatoi, le donne che lavavano i panni nella fontana del cortile. Lì vicino è rimasto il ricordo di Zi’ Elena detta «la zinnona», che ai tavoli della sua gelateria servì granite dal 1945 al 1984, e di Carolina, che vendeva grattachecche in un chioschetto preso d’assalto nelle sere d’estate. Costeggiando il muro dell’ex Mattatoio capita di sentire canti e voci di strumenti, provenienti dalla Scuola popolare di musica di Testaccio, fondata da Giovanna Marini insieme a un gruppo di donne appassionate di canti di lavoro e di lotta. Più avanti ecco il cimitero acattolico, dove riposano scrittrici e poetesse come Alice Ceresa, Luce d’Eramo, Joyce Salvadori Lussu, Amelia Rosselli, Miriam Mafai. Attraversate le mura Aureliane si raggiunge il ponte dell’Industria, dove una targa ricorda le dieci donne fucilate dai nazisti il 7 aprile del 1944 per aver rubato farina al mulino Tesei, spinte dalla fame che in quei mesi attanagliava Roma. Abbattute «come si ammazzano le bestie al mattatoio», appoggiate alla ringhiera e con il viso rivolto al fiume e poi «lasciate a terra tra le pagnotte abbandonate e la farina intrisa di sangue», secondo il racconto della partigiana Carla Capponi. Altre cinquantadue donne, che morirono nel settembre del 1943 nel tentativo di difendere la città dall’occupazione tedesca, sono ricordate da altrettante piante di rose nel giardino tra via Manlio Gelsomini e via della Piramide Cestia. Su via Ostiense, nella sala macchine della centrale termoelettrica Montemartini trasformata in museo, un gruppo di amazzoni combatte da secoli contro i greci una battaglia scolpita nel marmo. Nel mosaico della vicina stazione ferroviaria, Didone si getta nel fuoco dopo l’abbandono di Enea. In largo Arrigo VII, tra le pareti dell’Accademia nazionale di danza, ritroviamo le immagini della sua fondatrice, la ballerina russa Jia Ruskaja, che la diresse dal 1940 al 1970.Si scende verso la valle racchiusa tra il Palatino e l’Aventino, oggi occupata dai resti del Circo Massimo. Nel 40 d.C. si aggirava da queste parti Messalina, moglie dell’imperatore Claudio. Nascosta sotto una parrucca bionda e avvolta in un mantello, i capezzoli tinti d’oro, sgusciava dentro un lupanare e accoglieva clienti per tutta la notte, esigendo il suo prezzo. Le autrici le rendono una sorta di giustizia, dopo che gli autori antichi, da Giovenale a Plinio il Vecchio, ne hanno tramandato l’immagine di donnaccia infedele, libidinosa e intrigante. «Ma si dimentica di dire che fu condannata a morte a soli 23 anni, dopo aver subito, ancora adolescente e bellissima, il matrimonio con un patrizio vecchio, malaticcio, balbuziente e zoppo».
Lauretta Colonnelli