Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2013  agosto 30 Venerdì calendario

DOPPIO MISTO. HASSE, LO SVEDESE DEL NAPOLI, ED EMMA, CHE NON FACEVA TARDI - A

differenza di Emma, la sua futura moglie, i futuri suoceri non si innamorarono subito di Hans Jeppson, detto Hasse, centravanti svedese del Napoli anni Cinquanta. Quando quel giovanottone biondo, dopo gli allenamenti, andava a casa della ragazza, usava intrattenersi fino a tardi. E i genitori di lei, austeri signori della Napoli bene, non potevano certo ritirarsi e andarsene a dormire finché nell’altra stanza c’era quell’ospite dalle abitudini per l’epoca fin troppo invadenti. Così una volta la mamma di Emma pensò bene di caricare e sincronizzare i numerosi orologi a muro della collezione di famiglia, che a mezzanotte si misero a suonare tutti insieme in un accavallarsi di cucù, scampanellii e varie musichette. Di fronte a quella singolare melodia Hasse sfoderò il più sincero dei sorrisi, e rivolto alla padrona di casa, disse: «Molto bello». La risposta della signora non l’avrebbe mai più dimenticata: «Non è molto bello. È’ mezzanotte, è ora che lei se ne vada».
Trasparivano da quel gesto non solo le rigide regole di una famiglia borghese di Posillipo, ma anche una certa diffidenza verso un possibile genero che per mestiere usava i piedi. L’avvocato Enrico Di Martino, direttore della Società Meridionale di Elettricità, e sua moglie Ester, non avevano mai avuto frequentazioni esterne al loro ambiente, e l’altra figlia, Costanza, aveva sposato un ingegnere. Ora invece gli arrivava in casa questo calciatore, per di più svedese, per di più figlio di un pasticciere e per di più luterano, proprio a loro che erano cattolicissimi e che per Emma, allevata tra studi classici e rigore religioso, non avrebbero mai accettato un rito nuziale diverso da quello della mamma, della nonna e di tutti gli avi.
Ma presto anche loro si affezionarono a quel ragazzo di cui Emma si era innamorata vedendolo giocare a tennis sui campi in terra rossa del circolo affacciato su via Caracciolo. Perché Hasse era, sì, un calciatore professionista, ma il tennis era stato il suo primo sport, in Svezia, e non lo aveva mai abbandonato. E poi nella Napoli di quei tempi, dove lui approdò nel 1952, pagato 105 milioni dal presidente-padrone Achille Lauro (che a dispetto della fortuna spesa per averlo non lo apprezzò mai fino in fondo), il circolo del tennis era il luogo mondano per eccellenza, e qui Hasse — che certo era bello — poteva fare i migliori incontri, anche al femminile.
Diventò famoso quello con Silvana Lazzarino, antesignana di Lea Pericoli, Flavia Pennetta, Francesca Schiavone e Sara Errani. Anche perché coincise con un periodo di scarso rendimento del giocatore, e l’allenatore Monzeglio, che lo aveva fortemente voluto, dovette sentirsi rinfacciare da Lauro di avergli fatto acquistare «uno sfaticato di svedese». Ma dal momento in cui vide Emma, che non giocava a tennis ma al circolo ci era capitata perché aveva accompagnato una amica, Hasse non ebbe occhi che per lei.
Si sposarono il 26 giugno del 1957 nella cappella di Santa Maria delle Grazie al Pizzo d’Oro sul monte Faito, che sovrasta la penisola sorrentina. Lui aveva 32 anni, lei 21. Rito cattolico, ovviamente, perché Hasse non ebbe difficoltà ad accontentare i suoceri. Amava Emma e l’avrebbe amata per tutta la vita. Una vita che li avrebbe portati in viaggio di nozze in Lapponia e a Capo Nord, non prima, però di aver fatto tappa a Kungsbacka, il paese originario di Jeppson, dove Emma assaggiò le aringhe con la panna acida e chissà se per gusto o per amore disse che erano squisite.
Poi la vita li ha portati per un anno a Torino — dove Jeppson, chiuso il rapporto con il Napoli, andò a giocare con i granata, e questo fece infuriare Lauro che per ripicca non andò al matrimonio — e successivamente a Milano, e ancora in giro per il mondo, Europa, Africa, Sud America. Infine a Roma, in una villetta vicino all’Olgiata dove Hasse è morto il 21 febbraio di quest’anno.
Negli ultimi tempi una frattura al femore gli aveva reso impossibile camminare, ed Emma, tanto più giovane e per fortuna più sana, gli aveva permesso di non rimanere chiuso in casa, spingendo ovunque la sua sedia a rotelle.
E a chi, se non a lei, Hasse corse a raccontare la sua grande emozione quando, tornato nel 2008 a Napoli perché invitato a una manifestazione, ricevette applausi e in regalo una maglia azzurra con stampati il suo nome e il suo numero 9. Le raccontò commosso: «Si ricordano di me e mi vogliono bene. È stato bellissimo: ora posso anche morire». Invece per fortuna è vissuto accanto alla sua moglie ancora quattro anni. E ora lei vorrebbe trovare qualcuno che di Hans Jeppson scrivesse la biografia. Non solo quella del calciatore che per il suo altissimo costo fu soprannominato ’o Banco ’e Napule, ma quella del compagno di tutta la sua vita.
Fulvio Bufi