Maurizio Porro, Corriere della Sera 22/8/2013, 22 agosto 2013
UN MUSICAL DI CLASSE FIRMATO JULIE TAYMOR
Fra i generi in crisi, il musical lo è almeno quanto il western, ma Julie Taymor, regista di gran classe — prima con il Titus scespiriano che sembra un soggetto horror gore, poi col trionfo teatrale del Re Leone — tenta di rianimarlo in modo intelligente e nuovo con Across the Universe, uscito nel 2007 ma rimasto a un passo dal cult. Eppure i numeri ci sono, a cominciare da una visione camp e pop, di derivazione warholiana, di un travolgente assolo della storia del mondo, i fragorosi anni 60 con il Viet, i rivolgimenti, le rivoluzioni, le proteste e guerre e il cinema che faceva da collante dell’era dell’Aquarius. In questo musical moderno c’è alla base una simbolica storia d’amore che passa i confini del mondo col giovane operaio Jude — Jim Sturgess (foto con Evan Rachel Wood), il giovane artigiano de La migliore offerta — che lascia Liverpool, certo non scelta a caso, per andare a cercar fortuna in America, dove conosce Lucy (i riferimenti dei nomi non sono casuali), ragazzina high society da cui poi la guerra ingiusta lo separerà. Dentro c’è la sintesi di quegli anni, dalla musica rock Woodstock (alcuni personaggi sono ispirati a Jimi Hendrix e Janis Joplin), al movimento hippie, sesso, controinformazione e controcultura con la beat generation, il Village, come in Hair, mitico musical proprio del ‘67. Ma soprattutto nel film c’è un leit motiv che sono 33 canzoni famose dei Beatles, mai esplicitamente nominati ma presenti in ogni minuto, cantate dagli stessi attori (questione di diritti d’autore?), che sono le vere protagoniste della storia e per una volta non inserite in modo artificioso, ma parte di una logica di spettacolo. Scritto a sei mani dalla Taymor, Dick Clement e La Frenais, il film si nutre della cultura psichedelica d’epoca, dal kitsch, dal camp e dal rock, molto presente anche con le partecipazioni di star che fanno da testimoni oculari di quella irripetibile stagione vista con dolorosa nostalgia ma senza retorica, perché la struttura dell’opera rinnova anche sguardo e sentimenti. Nel cast l’infermiera Salma Hayek, il bravissimo coreografo Daniel Ezralow è un prete, Bono degli U2 è un santone (ispirato a Neal Cassady, compagno di strada di Kerouac e soci), Joe Cocker è diviso in tre, un vagabondo, un magnaccia e un attempato figlio dei fiori. Resta il mistero di perché in Italia abbiano sottotitolato solo i primi versi dei song.