Niccolò Zancan, La Stampa 25/8/2013, 25 agosto 2013
«ITALIA ADDIO». IL TRISTE TRASLOCO DEL ROMENO SCONFITTO DALLA CRISI
«ITALIA ADDIO». IL TRISTE TRASLOCO DEL ROMENO SCONFITTO DALLA CRISI -
Le galline starnazzano in camera da letto, mentre Silvia Tanasa prepara un caffè italiano. «L’ho portato contro gli attacchi di malinconia», dice con un sorriso disperato. Dosa la polvere, prende lo zucchero, assesta un calcio alla porta, nella speranza di chiudere fuori le bestie. «Non mi piace qui, sono sincera. Non sono più abituata a questa vita. Mi trovavo bene a Torino, tenevo la casa in ordine. Mi sentivo meglio». Non c’è la doccia, neppure un rubinetto. L’acqua del pozzo è imbevibile. Una sola stanza per dormire, fare colazione e pregare. È dura tornare a Ungureni.
Ciprian e Silvia Tanasa si sono portati tutti i mobili comprati in Italia e anche la vecchia radiosveglia, con i numeri bianchi su sfondo nero che ruotano a scatti. Quella che segnava il tempo del lavoro e, in qualche misura, anche del successo e della felicità. Quando lui faceva l’escavatorista e costruiva il passante ferroviario per la nuova stazione di Porta Susa a Torino, guadagnava 1400 euro al mese, ed era convinto di aver realizzato il suo sogno. «Stavamo bene senza essere ricchi - dice - l’Italia è meravigliosa. Abbiamo fatto l’errore di vivere con fiducia, invece di mettere soldi da parte».
A metà pomeriggio, nell’unico bar del paese, quello attaccato al «Market Foky», una bambina passa mezz’ora a spolverare il motorino di suo fratello. Ci sono due avventori. L’aria è immobile. Tutto fa un rumore spropositato. L’arrivo dei coniugi Tanasa non è passato inosservato, ovviamente. Ma non hanno ancora spiegato che si tratta di un ritorno definitivo. «Non ne ho avuto il coraggio - dice Ciprian abbassando lo sguardo sulla tazzina di caffè - pensano che siamo venuti solo per una vacanza». È una resa, invece. L’incarnazione dell’incubo dell’anno 2013: ritrovarsi disoccupati, nel pieno delle forze, senza aver mai fatto nulla di sbagliato. «Ti dicono: scusa, mi dispiace, non c’è più lavoro, i fondi sono bloccati. Ho provato a resistere quasi un anno, ma non mi hanno più chiamato». Nel 2012 sono stati 32.818 gli immigrati che hanno deciso di tornare a casa (+17,9 % rispetto al 2011). È il futuro scomparso dall’Italia, come da questo orizzonte di prati e povertà.
Distretto di Botosiani, Nord-Est della Romania, mucche alla catena davanti alla porta di casa, piccole angurie succose in vendita lungo la strada che costeggia il confine con la Moldavia e finisce in Ucraina. Ciprian è nato qui, Silvia poco lontano. Quando è arrivata a Ungureni per fare la supplente alla scuola elementare, la madre di lui le ha affittato una stanza. Era un inverno uguale a tutti gli altri, con un metro di neve. Si sono fidanzati a 19 anni, sposati a 21. Lei si è laureata in Ingegneria, lui ha fatto il liceo artistico. Sono nati due bambini, Manuel e Silvio. Erano una famiglia benestante. «Sotto la dittatura di Ceausescu abbiamo passato un periodo molto difficile - dice Ciprian Tanasa - avevamo soldi, ma non potevamo ritirarli. Mancava proprio la roba da comprare. Ti davano solo tonno, biscotti secchi e mezza pagnotta, quella che voi chiamate ciabatta». Rievocare quegli anni fa un bell’effetto a entrambi. È sempre incoraggiante parlare dei problemi superati. Silvia Tanasa sorride per la prima volta: «Facevamo la coda per un po’ di pesce affumicato, però era meno brutto di adesso. Perché eravamo ignari di tutto. Non sapevamo quello che ci stavamo perdendo».
Primo viaggio in Ucraina, secondo in Polonia, terzo - ed ultimo - in Italia. Dopo tre anni, hanno preso in affitto un alloggio di 60 metri quadrati nel quartiere Parella, con sottofondo di traffico e antifurti. Ma si erano affezionati anche ai difetti della loro vita italiana. «Certe mattine mi alzo piangendo - dice Silvia Tanase - non so come ne usciremo. La Romania è rimasta troppo indietro, purtroppo. Mi sento come un elettrodomestico a cui hanno staccato la spina, completamente spenta, scollegata, inutile». Nei primi venti giorni, Ciprian Tanasa ha costruito un bagno esterno e una piccola cucina provvisoria. Il tetto della casetta, pagata 3000 euro nel 2005, è in amianto: «Hanno detto amianto ecologico, ma chissà se c’è da fidarsi.... Intanto devo piazzare la stufa prima che finisca l’estate, collegare i tubi, rendere più funzionale il pozzo. Il problema è che ci restano a malapena i soldi per mangiare».
Nei giorni del trasloco, quando ci siamo visti a Torino, Ciprian Tanasa era dieci chili più grasso. Teneva un sassofono sul comodino, che suonava alle feste degli amici per arrotondare lo stipendio: «L’ho pagato 600 euro. Il regalo più bello di tutta la mia vita. Avevo sempre avuto solo sassofoni usati. Ma erano anni buoni, a Torino c’erano le Olimpiadi invernali, ci sentivamo forti. Mandavamo a scuola i figli, eravamo felici». Oggi è smagrito, preoccupato, con il cuore pieno di amarezza, anche se si premura di chiudere le frasi più dolorose sempre con un grande sorriso tranquillizzante: «Mi hanno tolto l’assegno di disoccupazione dopo dieci anni di contributi pagati. Il mio primo Cud è del 2003. Mi hanno tolto l’ultimo diritto, l’unico sostegno su cui facevamo affidamento. Sono molto deluso, ma spero ancora di tornare in Italia».
I coniugi Tanase non hanno parenti a Ungureni. Ciprian è angosciato soprattutto dall’idea di dover accettare, presto, soldi dal figlio Manuel, rimasto a Torino a fare l’elettricista. «È una cosa contro natura - dice - piuttosto preferisco digiunare. Sono i genitori che devono aiutare i figli, è sempre stato così». E in effetti, a ben guardare, questa è anche una storia di orgoglio ferito.
Sul volo Torino-Iasi tutti gli immigrati parlano italiano. Portano in dono ai parenti scarpe e dolci nostrani. Tifano Juventus, hanno storie da raccontare. Tornano a casa solo per una settimana, loro. Mentre Ciprian e Silvia hanno dovuto affittare un furgoncino per trasportare le loro cose, ottocento euro per il viaggio più triste. «La cosa peggiore è che non sappiamo nemmeno dove mettere i mobili dice Ciprian - qui non c’è spazio, non funziona niente, è tutto da costruire».
La prima cosa che noti, arrivando in Romania, è una campagna di sensibilizzazione del governo contro la corruzione degli agenti di frontiera. La seconda sono le facce trepidanti dei parenti rimasti ad aspettare. Qui lo stipendio medio è 200 euro. Un litro di gasolio costa 1 euro e 20. Un chilo di carne 4,50. Per 3 Lei - ovvero 80 centesimi - compri una birra da mezzo litro (ad occhio uno dei beni di consumo più ricercati). Di sera i bambini escono di casa e si siedono sul ciglio di strade buie per guardare i rari passaggi delle automobili, alle spalle hanno campi di girasoli. «Certe volte dio ti mette di fronte a prove davvero difficili - dice Silvia Tanasa stare qui è un castigo. Vieni a provare, se vuoi rendertene conto. Non credo che resisteresti molto».
In un certo senso, «la colpa» di Silvia e Ciprian Tanase è quella di essersi davvero integrati. Pagavano le tasse, 450 euro d’affitto al mese più le spese. D’estate andavano in tenda sulle montagne piemontesi. Scherzavano su Facebook con i colleghi e gli amici italiani. Non hanno mai pensato all’Italia come a un posto da cui spremere denaro da reinvestire in Romania. Hanno scommesso su di noi, e hanno perso.
«Pensavo che in questa casetta ci saremmo venuti da vecchi - dice Ciprian - con abbastanza soldi da parte per poter fare i lavori». Adesso stare fermo è la cosa che gli riesce peggio. Suda, fa il cemento, cerca di non pensare. La moglie, intanto, lava pomodori e cipolle per cena. L’unica stazione radio della zona trasmette la voce di Gianna Nannini: «Notti magicheee...». Silvia Tanasa quasi si mette a piangere, subito si scusa: «Non bisogna fare tragedie». A Torino faceva la badante, si è ammalata per colpa dell’incertezza. «Quando ho incominciato a capire che le cose andavano male e non mi chiamavano più, mi sono preoccupata tanto. Purtroppo, sono fatta così. Le emozioni mi ristagnano nel cuore». Ha avuto momenti di depressione: «Non riuscivo nemmeno ad alzarmi dal letto, ma ora va meglio. Devo stare accanto a mio marito. Insieme dobbiamo farcela». Ciprian le mette un braccio sporco di terra sulla spalla. È arrabbiato con se stesso: «Sono stato poco intelligente - dice tre anni fa molti miei colleghi hanno incominciato a spedire le famiglie a casa. Avevano capito la crisi. Hanno disdetto gli affitti. Hanno risparmiato su tutto. Anche io dovevo dormire nelle baracche del cantiere per risparmiare il più possibile. Non ho mai avuto paura di stare allo stretto. Ero felice nell’abitacolo del mio camion».
Un piccolo treno rosso, con due vagoni completamente vuoti, taglia i prati incolti che si perdono fino all’orizzonte. Un uomo con la faccia scavata gira una manovella per abbassare il passaggio a livello sulla strada principale di Ungureni. È quasi ora di cena. Sembrerà strano, ma il grande e grosso escavatorista Ciprian Tanasa si commuove pensando ai formaggi italiani: «Quanta varietà - dice - quanta scelta da voi. Buonissimi. Andavo a comprarli all’hard discount. Mi manca tutto del vostro Paese, anche il panettiere. Ogni giorno portavo a casa un chilo di pagnotte. Anche il macellaio sorrideva sempre, quando mi vedeva entrare nel suo negozio». Ed infatti, potete starne certi, anche al panettiere e al macellaio di Torino manca la famiglia Tanasa. Ciprian e Silvia sono tornati in Romania, e ci abbiamo perso tutti.