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 2013  agosto 28 Mercoledì calendario

IL RISO NON È PIU’ A BUON MERCATO

Un recente rapporto segnala come i decen­ni di ’riso a buon mercato’, con produzio­ni lanciate costantemente oltre i record at­traverso soluzioni tecnologiche che hanno garan­tito la sufficienza alimentare, ma abbassato prez­zi e guadagni, sia ormai passato. Buone notizie per gli agricoltori orientali, molto meno per i consu­matori di mezzo mondo a cominciare dalle me­tropoli africane, dove oggi il consumo di riso cre­sce con i ritmi più sostenuti. «Milioni di addetti al­l’agricoltura potrebbero usufruire di salari più al­ti, con benefici potenzialmente rilevanti per ridurre la povertà, ma molte famiglie povere si troveranno ad affrontare costi maggiori per l’alimentazione, mentre in particolare i Paesi africani dovranno pa­gare di più per le loro importazioni» ricorda Kevin Watkins, che guida gli esperti riuniti nell’Oversas Development Institute.
Un rapporto dell’istituto diffuso il 15 agosto so­stiene che la discesa dei prezzi risicoli, dai primi an­ni Settanta del secolo scorso all’inizio del Duemi­la, si è basata soprattutto su migliori sementi, fer­tilizzanti e sistemi d’irrigazione. Dal 2002, tuttavia, è iniziata una risalita e, dopo il picco del 2007-2008 - quando il riso addirittura triplicò il suo valore sul mercato globale - , all’inizio di quest’anno il pro­dotto ha toccato i 550 dollari a tonnellata, il dop­pio del prezzo del 2000. Le ragioni vanno cercate nei crescenti costi di produzione: salari più alti, carburanti e fertilizzanti più costosi, maggiore stoc­caggio da parte di Paesi come Cina, India e Thai­landia.
L’accumulo di riserve, come confermato dal di­partimento per l’Agricoltura sta­tunitense, è aumentato dai com­plessivi 75 milioni di tonnellate nel 2006-2007 ai 105 milioni del 2011-2012. Dal 2007 al 2011, dice anco­ra lo studio del think-tank londi­nese, l’India ha imposto severe re­strizioni all’esportazione, mentre il programma del governo thailan­dese di acquistare la quasi totalità di prodotto dai suoi contadini ha contribuito grandemente a con­tenere l’esportazione (non senza conseguenze, da­to che il Paese oggi ha quantità enormi di prodot­to invenduto e gravi perdite economiche). La Ci­na, alle prese con necessità crescenti, produzione sempre meno ampia e con un export differenzia­to, negli ultimi due anni ha accresciuto sensibil­mente le importazioni di riso dal Vietnam, contri­buendo al nuovo ruolo di quest’ultimo come mag­giore esportatore mondiale. Un nuovo assetto che complessivamente ha con­tribuito a un maggior benessere degli 1,3 miliardi di poveri che in Asia lavorano la terra (la competi­zione ha già avuto come risultato di accrescere di un terzo negli ultimi cinque anni i compensi pa­gati ai braccianti dell’India). Questo, tuttavia, non ha frenato l’emorragia demogra­fica a favore delle città, una situa­zione che potrebbe essere d’osta­colo a un ulteriore sviluppo del­l’agricoltura, anche risicola.
Oggi, mentre il prezzo del riso sa­le in Asia, l’America Latina e l’A­frica potrebbero accrescere le lo­ro produzioni, capitalizzando la tendenza attuale in modo da andare incontro alla richiesta interna e insieme alle possibilità lasciate all’export. Ad esempio se, come ricordato, l’Africa rischia di pagare maggiormente le scelte dei gran­di produttori globali, le sue aree costiere occiden­tali avrebbero, secondo gli esperti, un alto poten­ziale produttivo.