Alberto Ambrogi, SportWeek 24/8/2013, 24 agosto 2013
KITCHEN CONFIDENTIAL
Sono fra i ristoranti più esclusivi al mondo: al massimo una trentina di coperti e sempre per i soliti, pochissimi, eletti. Nelle loro cucine non entreranno mai burro, panna, funghi o olio per friggere. Ma all’ingresso non troverete gli chef ritratti in posa sulle pareti con i calciatori, perché i calciatori sono al tavolo, ogni giorno. Loro sono i cuochi delle squadre di serie A, un lusso non per tutte, ma chi può permetterselo molto spesso schiera un vero e proprio fuoriclasse dietro ai fornelli.
ALL’ESTERO COME IN CASA
Molti di loro hanno iniziato seguendo la squadra in Europa, dove spesso riuscire a mangiare un piatto di pasta non scotta è più difficile che espugnare il Camp Nou. Partono preceduti da chili di pasta, pelati, forme di grana e cosce di prosciutto crudo, prendono possesso delle cucine degli hotel e fanno sì che i giocatori si sentano a casa anche a chilometri di distanza. Così fa Antonio Canese, chef della Juve che si divide fra i bianconeri e il suo ristorante a Porto Venere, e così ha iniziato nel 1994, per una tournée in Cina, Ferruccio Minuz, ora chef a tempo pieno del Parma: «Per un po’ di anni ho portato avanti il mio ristorante e l’attività con la squadra, ma alla fine mi sono reso conto che sono meglio come cuoco che come imprenditore», scherza lo chef originario di Fidenza che dallo scorso anno si dedica a tempo pieno al centro degli emiliani a Collecchio. «Fra prima squadra e primavera siamo impegnati a colazione, pranzo e cena. Se mi manca il ristorante? No, assolutamente, anche perché la cucina per gli atleti non è più quella piatta di vent’anni fa. Certo, niente burro e intingoli, però serviamo, rigorosamente a buffet, tortelli di erbette, gnocchi di patate fatti in casa, vitello al forno nel suo sugo di cottura. Insomma si mangia bene da noi, anche perché siamo aiutati da materie prime clamorose». E i clienti non si lamentano, anzi vengono a curiosare tra i pentoloni: «Parolo è gasatissimo con la cucina, anche perché la fidanzata è molto brava ai fornelli, Rosi apprezza ma è in dieta perenne, così come il patron Ghirardi che è sempre a stecca: io cerco di indurlo in tentazione, ma più che una pasta al pomodoro e una bistecchina con l’olio di girasole non riesco a fargli mangiare».
CHE FORCHETTA ANCELOTTI
Chi viene ricordato dai suoi ex chef per essere un’ottima forchetta, è Carlo Ancelotti. «Carletto è un grande intenditore», racconta con affetto Massimo Ferrari, alla 21ª stagione da capo chef di Milanello. «E sa anche cucinare bene. Una volta tornando da una trasferta alle 2 del mattino ha trovato delle lasagne in cucina e le ha spadellate per chi voleva farsi uno spuntino». «Non mi ricordo se fosse bravo a cucinare», gli fa eco Minuz da Parma, «io me lo ricordo come un ottimo mangiatore». Chi invece aveva una passione per il pesce era Sebastiano Rossi: «Era molto competente», racconta Ferrari. «Ogni volta che arrivava una partita di pesce veniva in cucina a controllarla». Tuttora all’Inter gli appassionati non mancano: «Chivu mi ha chiesto consigli per la salsa al pomodoro e per lo stinco», racconta Giulio Lombardoni, 34 anni, da otto all’Inter alla Pinetina e in trasferta. «Un altro grande appassionato di cucina era Orlandoni, con cui sono stato ospite a MasterChef Indonesia».
MATERIE PRIME AL TOP
Al Milan la ricerca è ai massimi livelli anche in cucina. Ferrari è arrivato a Carnago, il paese di sua nonna, dopo la scuola di Stresa e l’esperienza nelle più rinomate località turistiche: «Dieci anni fa quando abbiamo introdotto nell’alimentazione la pasta di kamut nessuno sapeva cosa fosse, i medici sono attenti alla selezione degli alimenti e io a quella delle materie prime». Ma Ferrari non dimentica l’alta cucina: «Mi piace tenermi aggiornato, mi affascina vedere in tv delle preparazioni che io definisco da pazzi per la loro complicazione. Il numero uno degli chef? Sempre lui, il grande Gualtiero Marchesi». Per ora la voglia di un ristorante "vero" non è ancora tornata allo chef rossonero: «Intanto al Milan si sta bene e poi io l’ho avuto un mio locale a Ravenna con un amico e servono tanto tempo, programmazione e pazienza. Però mai dire mai».
Non ha mai avuto un suo ristorante, anche per la giovane età, Giulio Lombardoni da Busto Arsizio, anche se, ammette, è un sogno nel cassetto: «Comunque nonostante le ovvie limitazioni sui grassi e su certi tipi di cotture posso sbizzarrirmi», dice lo chef nerazzurro. «Ovviamente dopo l’ok del dottor Combi». Un esempio? «Ai ragazzi piace molto il nodino di vitello che lascio cuocere sottovuoto per 5-6 ore a 55 gradi. Quindi lo taglio, lo passo in padella per renderlo croccante sui due lati e lo accompagno con un purè di zucca, quando è stagione, o di sedano rapa». Un piatto non per tutti perché il neo arrivato Belfodil consuma solo carne macellata Halal, ossia secondo i dettami dell’Islam: «Durante il ritiro di Pinzolo ha trovato lui una macelleria islamica da cui mi sono servito», racconta Lombardoni. «Mentre da quando siamo ad Appiano mi fa avere lui la carne da cucinare». Il servizio alla Pinetina è al tavolo con i camerieri, il menu oltre al buffet di verdure, immancabile per ogni squadra, prevede due primi con sughi leggeri, carne bianca e rossa e pesce, anche se ogni tanto in cucina arriva qualche richiesta fuori lista: «Milito ha brevettato il petto di pollo con l’emmental fuso e ormai ha fatto proseliti».
Ma lo chef è un lusso solo per le big, i giocatori delle "piccole" mangiano tutti insieme solo nei ritiri, in ristoranti che realizzano i menu studiati dai medici. Innovativo il metodo del Sassuolo che tramite il centro ricerche Mapei Sport, guidato dal dottor Mondazzi, fa frequentare ai giocatori dei corsi perché acquisiscano le competenze per scegliere i cibi giusti quando si trovano da soli.